domenica 17 febbraio 2013

COSIDDETTA 'scrittura Nuragica'






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Nessuno dubiterà del fatto che le insegne e la prefazione qui sopra siano sarde ed appartengano ad autori dotati di diplomazia e misura. Infatti, ospitano il primo capitolo di un libro a firma di un archeologo sardo noto e stimato, che parla di scrittura nuragica. Nella presentazione, gli autori stessi - che non dubito siano veri sardisti usano anch'essi prudentemente, come il buon senso consiglia il termine: COSIDDETTA scrittura e mettono tra virgolette il termine 'scrittura nuragica'.

Apprezzo molto questa ferma e garbata distinzione che essi operano tra politica e cultura (che altri non conoscono) e mi permetto di riportare l'anteprima che essi stessi hanno riprodotto. 

Anteprima del saggio di Raimondo Zucca sulla cosiddetta ‘scrittura nuragica’

Nel prossimo numero del Bollettino di Studi Sardi già in stampa e che può essere richiesto in libreria o attraverso il sito della Cuec di Cagliari, verrà pubblicato l’importante studio del prof. Raimondo Zucca sulla cosiddetta ‘scrittura nuragica’, Si tratta di uno studio molto articolato e ampio (80 pagine) di cui riporto il primo paragrafo. Buona lettura.
I. La nascita del problema della ‘scrittura nuragica’
Il fondatore del problema della ‘scrittura nuragica’ è lo stesso padre dell’archeologia sarda, il canonico Giovanni Spano, che nel suo lavoro generale sulla Paleoetno-logia sarda, sull’onda della partecipazione al V Congrès international d’anthropologie et de archéologie préhistoriques a Bologna, nel 1871, scriveva:
Per quante ricerche si siano fatte dentro ed attorno i Nuraghi, non si è scoperto mai un monumento scritto.[1]
In realtà Giovanni Spano si era già imbattuto, nel 1857, in «monumenti scritti» rimontanti «alla stessa antichità dei Nuraghi Sardi», per i quali l’archeologo si domandava se recassero o meno «lettere o note di qualche segno di religione»: si tratta degli oxhide ingots di produzione cipriota, recanti segni del sillabario cipro minoico, rinvenuti a Nuragus, nella località di Serra Ilixi:
I monumenti che andiamo a descrivere, e dei quali diamo l’incisione in questo luogo, li crediamo molto rari e di una sublime antichità. Annunziamo questa bella scoperta nel num. 6 del 3 anno di questo Bullettino (pag. 64). Il Sig. G. Medda Serra del villaggio di Nuragus, nel mentre che i contadini aravano in una sua terra, detta Serra Ilixi, in vici-nanza di detto villaggio, vedendo che in uno il vomere faceva molta resistenza, dopo qualche sforzo, rovesciò una lapide di molto peso, ed avendo osservato ch’era di bron-zo, si fece a scalzare il terreno da dove n’estrasse sino al numero di cinque, tutte ad un dipresso della stessa figura […] Queste lapidi sono di diverso peso, la prima pesa chil. 37, e l’altra chilogr. 28. Le altre tre ad un dipresso più o meno, ma al di là di 30 chilo-grammi. La materia è di rame perfetto, ma senza essere purificato, in modo che annun-ziano l’arte primitiva della docimastica, e per così dire la prima fonderia che usò l’uomo […] Tutte le dette stele hanno qualche segno incavato a taglio con istrumento nel mezzo o nella parte superiore, imitante la croce egiziana, o la rozza forma umana colle mani alzate, simili ad una lapide cartaginese illustrata dal Bourgade (V. Toison d’or de la Langue Phenicienne, ecc. Paris 1852, Tav. A). Dalla qual cosa noi non possiamo de-prendere altro che di essere stele mortuarie delle prime immigrazioni orientali nella Sardegna […] Ma questi segni diversi delle nostre stele, saranno lettere o note di qual-che segno di religione? A noi pare che se non sono rozze figure, siano un monogramma della voce Thaut o Thut, divinità adorata dai primi Egiziani o Fenicii alla quale attribui-vano l’uffizio di registrare il supremo giudizio che il Dio grande pronunziava sulle ani-me dei morti nell’Amenti, cioè nella regione infernale, d’onde passavano alla sfera della luce, e si trasmigravano in altri corpi […] Le stele in proposito adunque crediamo che possano rimontare alla stessa antichità dei Nuraghi Sardi.[2]
L’ipotesi interpretativa di Giovanni Spano degli oxhide ingots di Nuragus, con-siderati «stele mortuarie», seppure di età nuragica, non dovette soddisfare l’archeologo che, quattordici anni dopo, in seguito alla individuazione di matrici di fusione (a Belvì, Suelli e nella Nurra), e di panelle in rame e di scorie di fusione, formulava la corretta interpretazione dei lingotti di Serra Ilixi come «pani di offi-cina» dotati di «marca dell’usina da cui sono uscite»:[3]
A questi strumenti od armi [in bronzo] possono annettersi quelle stele di puro rame, scoperte a Nuragus nel 1857, nel sito di Serra Elixi [sic]. Se non sono stele votive o mortuarie (Bullett. Arch. Sardo an. IV, p. 12) saranno pani di officina, e quindi il mono-gramma in vece di Thaut, sarà marca dell’usina da cui sono uscite.
Fu Ettore Pais, nel 1884, a inserire definitivamente i lingotti di Serra Ilixi nell’am¬bito dei pani di rame individuati in diverse fonderie della Sardegna nura-gica, soprattutto nella forma delle panelle a sezione piano-convessa:
Assai notevoli sono i cinque pani di rame trovati a Serra Ilixi presso Nuragus, dei quali tre possiede il Museo di Cagliari […] Essi pesano da 28 a 37 chilogrammi l’uno e sono lunghi in media m. 0,700 e si rassomigliano assai al pane di stagno trovato a Falmouth v. Evans, L’age du bronze pag. 464 sg. fig. 514.[4]
Ettore Pais suggeriva di riconoscere nel segno (che consideriamo corrispon-dente al sillabogramma 08 del Cipro Minoico 1-2-3) di uno dei pani di Serra Ilixi la resa schematizzata del «pugnale sardo», ipotizzando così una origine sarda dei lingotti.[5]
Questa ipotesi fu respinta nel 1887 nell’Histoire de l’art dans l’antiquité di Geor-ges Perrot e Charles Chipiez, in base all’osservazione dei diversi segni presenti nei pani di Serra Ilixi, irriducibili alla forma del pugnaletto sardo e in rapporto alla scarsità del rame in Sardegna, dato che induceva a credere che «une partie au moins du cuivre que l’on y [en Sardaigne] consommait y fût apportée du de-hors».[6]
L’osservazione merita di essere sottolineata poiché anticipa le scoperte di Ar-thur Evans a Cnosso e, a fortiori, le analisi archeometriche sul rame (di origine ci-priota) degli oxhide ingots sardi eseguite allo scorcio del XX secolo.
Allo scadere del XIX secolo i segni dei lingotti di Serra Ilixi ebbero una prima decifrazione in chiave iberica da parte di Emil Hübner, l’allievo di Theodor Mommsen che aveva redatto il secondo volume del Corpus Inscriptionum Latinarum relativo alle epigrafi latine delle provinciae della penisola iberica.
Nell’VIII volume dell’Ephemeris Epigraphica, edito a Berlino nel 1899, lo Hübner pubblicava, su invito di Ettore Pais, sia il cippo calcareo con iscrizione iberica sco-perto anteriormente al 1891 nella necropoli orientale di Karales,[7] sia i segni scrit-tori dei tre lingotti di Nuragus-Serra Ilixi, considerati grafemi di scrittura iberica dallo stesso Pais, ma ricondotti dallo Hübner al segnario delle scritture paleoi-spaniche solamente nel caso dei segni dei due primi lingotti, mentre il terzo lin-gotto recava, a giudizio dello Hübner, un segno non iberico, a meno che non si i-potizzasse un nesso fra vari grafemi iberici:
Massae grandes ex aere tres, servatae in museo Caralitano, in quibus extant litterae hae profunde incisae post fusionem. Hector Pais, qui memoravit tertiam (c) Bullet. Archeo-logico Sardo ser. II vol. I 1884 p. 149, mihi misit a se descriptas et litterae fortasse Iberi-cas esse adnotavit. In a est m certo Iberica, in b potest l esse, utraque ex Hispaniae cite-rioris monumentis satis nota. Quod in c est signum, littera Iberica non est, nisi duo lli vel ujt coniunctae indicantur. In aerifodinis Sardis operas fuisse originis Iberae facile credemus.[8]
Indipendentemente dallo Hübner era stata pubblicata nel 1900 da Wilhelm Freiherr von Landau l’iscrizione iberica di Karales.[9]
Una relazione fra l’ethnos sardo e l’ethnos iberico era ugualmente affermata da Luigi Ceci,[10] che pure ignorava l’editio princeps dello Hübner, in base al cippo iberico caralitano, ottenendo una violenta ripulsa da parte di Ettore Pais,[11] in un quadro polemico legato alla edizione da parte di Luigi Ceci dell’iscrizione latina del cippo del Lapis niger[12] e al conseguente conflitto fra l’ipercriticismo germanico nei confronti delle fonti annalistiche (accettato dal Pais) e i fautori, tra cui il Ceci, di una conciliazione tra fonti antiche e interpretazione critica.[13]
Nel 1896 a Enkomi, nel settore orientale dell’isola di Cipro, venne scoperto, nel corso degli scavi promossi dal British Museum, un oxhide ingot dotato di un segno sillabico ritenuto cipriota (in realtà cipro-minoico), edito da Alexander Stuart Murray nel 1900 con un preciso confronto, suggerito da Arthur Evans, con i lingotti di Serra Ilixi, che risultavano, anche per la presenza di marchi, testimonianza del commercio cipriota in Sardegna.[14]
Nel 1903 vennero in luce diciannove esemplari, di cui cinque provvisti di marchi, di oxhide ingots ad Haghia Triada in Creta a opera della missione italiana gui-data dallo Halbherr.[15]
Infine il celebre articolo nel «Bullettino di Paletnologia italiana» del 1904, del fondatore della moderna paletnologia italiana, Luigi Pigorini, rivendicava con lu-cida acribia i lingotti di Serra Ilixi all’ambito egeo dell’età del bronzo, chiarendo definitivamente l’ascrizione dei segni dei lingotti rinvenuti in Sardegna ai sistemi scrittori dell’area egea.[16]
Note
[1] G. SPANO, Paleoetnologia sarda ossia l’età preistorica segnata nei monumenti che si trovano in Sardegna, Cagliari 1871, p. 9.
[2] G. SPANO, Stele mortuarie di bronzo, in «Bullettino Archeologico Sardo», IV (1858), pp. 11-15.
[3] G. SPANO, Paleoetnologia sarda cit., pp. 26-27; ID., Scoperte archeologiche fattesi in Sardegna in tutto l’anno 1871 con appendice degli oggetti sardi della esposizione italiana, Cagliari 1872, pp. 48-49.
[4] E. PAIS, Il ripostiglio di bronzi di Abini presso Teti, in «Bullettino Archeologico Sardo», s. II, I (1884), p. 149, n. 166 (figg. pp. 130, 149).
[5] Ivi, p. 130.
[6] G. PERROT, CH. CHIPIEZ, Histoire de l’art dans l’antiquité. IV. Judée, Sardaigne, Syrie, Cappadoce, Paris 1887, p. 99, n. 3, fig. 97.
[7] AE. HÜBNER, Ephemeris Epigraphica, VIII, Berolini 1899, pp. 163-164, nr. 298.
[8] Ivi, p. 164, nr. 299.
[9] W. FREIHERR VON LANDAU, Neue phönicische und iberische Inschriften aus Sardinien, in «Mitteilungen der Vor-derasiatischen Gesellschaft», III (1900), p. 105, taf. III, 4. L’autore riconosceva, a torto, un secondo testo iberico nella III linea di una epigrafe punica del tofet di Nora. A. GARCIA Y BELLIDO, Los Iberos en Cerdeña, segun los textos clásicos y la arqueología, in «Emerita», III (1935), pp. 234-235, ritenne, invece, ascrivibile al se-gnario iberico levantino l’iscrizione norense.
[10] L. CECI, Per la storia della civiltà italica. Discorso inaugurale dell’anno accademico 1900-1901 nella R. Università di Roma, Roma 1901, p. 51, n. 24.
[11] E. PAIS, Sulla civiltà dei nuraghi e sullo sviluppo sociologico della Sardegna, in «Archivio Storico Sardo», VI (1910), pp. 126-127.
[12]L. CECI, in G.F. GAMURRINI, Stele con iscrizione latina arcaica scoperta nel Foro romano, in «Notizie degli Scavi di Antichità», s. 5, VII (1899), pp. 23-72; L. CECI, L’iscrizione antichissima del Foro e la storia di Roma, in «Rivista d’Italia», II (1899), pp. 432-453; L. CECI, Il cippo antichissimo del Foro, in «Rivista d’Italia», II (1899), pp. 500-521.
[13] T. DE MAURO, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXIII, 1979, s.v. Ceci, Luigi.
[14] A.S. MURRAY, Excavations at Encomi, in ID., A.H. SMITH, H.B. WALTERS, Excavations in Cyprus, London 1900, p. 15.
[15] R. PARIBENI, Lavori eseguiti dalla Missione archeologica italiana nel palazzo e nella necropoli di Haghia Triada dal 23 febbraio al 15 luglio 1903, in «Rendiconti della R. Accademia dei Lincei», Cl. di Sc. Morali, s. 5, XII (1903), pp. 317-318.
[16] L. PIGORINI, Pani di rame provenienti dall’Egeo scoperti a Serra Ilixi in provincia di Cagliari, in «Bullettino di Paletnologia italiana», XXX (1904), pp. 91-107.