Ritratto di gruppo - 1915 - Charles Dawson è il terzo da sinistra in piedi. |
Esistono argomenti nei quali le
certezze sono veramente poche. E perciò –
in alcuni casi – sono aperti a dispute, anche molto accese, specialmente quando
il tema è caro a molti (cioé: conflittuale).
Un esempio non conflittuale è
rappresentato dai dinosauri, che
sono abbastanza lontani da tutti
e dal presente, tanto da essere del tutto impersonali e astratti.
Dei dinosauri si sa con certezza
che sono esistiti e che hanno fortemente improntato di sé l’ambiente
circostante coevo. La loro esistenza è dimostrata dalle tracce che ci sono
giunte: principalmente i loro scheletri, in numero impressionante. Nel caso dei
dinosauri abbiamo anche zanne,
squame, impronte e addirittura penne (colorate!)[1].
Se la loro esistenza non è in dubbio, nondimeno ancora molte incertezze
lasciano aperta la porta a differenti teorie. Talvolta queste teorie sono
fantasiose ed affascinanti, alcune sono state dimostrate scientificamente.
Ad esempio: le penne hanno
portato ad ipotizzare (ed in seguito dimostrare[2])
che gli attuali uccelli derivino da alcuni di quei dinosauri. Sarebbe errato
concludere che tutti gli antichi dinosauri avessero sangue caldo e penne o
piume.
Sarebbe, però, addirittura anti-scientifico ipotizzare l’esistenza di grandi
rettili volanti che sputano fuoco: in realtà questa sarebbe, piuttosto, una
favola.
Naturalmente, non c’è nulla di
sbagliato nelle favole, specialmente in quelle didattiche, che preparano i
bimbi al mondo adulto che dovranno affrontare, rappresentandoglielo sotto forma
di simboli edulcorati. L’errore (e l’orrore) sta invece in quelle favole create
ad arte da adulti furbi (venditori) per altri adulti creduloni (compratori) e
proposte con grande insistenza ed insopportabile arroganza come assolute verità
dimostrate...
Chiudendo l’esempio dei
dinosauri, dobbiamo ammettere che ancora non conosciamo completamente ed in
dettaglio la loro forma esteriore, i colori, la loro spanna di vita, gli usi, i
modi della loro prima comparsa e della loro scomparsa, le interrelazioni tra
loro e con l’ambiente. Abbiamo solamente ipotesi. E questo è il nocciolo del problema. Ma non è poi così grave, se
l’argomento è a bassa conflittualità, perché poco sentito da tutti… Si provi,
però, a sostituire alla parola “dinosauri” una parola qualunque, relativa ad un
problema conflittuale, sensibile ed attuale della Sardegna: si rilegga quanto scritto fin
qui sostituendola con “nuraghe” (o Nuragici, Fenici, Shardana, Atlantide, LSC,
etc: altri ancora non riguardano solo la Sardegna). Si vede subito che ci si
trova in un ambito più accanitamente dibattuto, in quanto si ha a che fare con
il sentimento d’identità nazionale, con l’autostima di un intero gruppo etnico,
con meccanismi di rivalsa ormai inveterati di una popolazione che – per il solo
fatto d’essere isolana – è per sua natura ostinata e conservatrice, chiusa e
tradizionalista, orgogliosa e territoriale e possiede, purtroppo, un molto
travagliato passato comune...
Abbiamo anche qui principalmente
o quasi solamente le ipotesi: come riconoscere quelle giuste da quelle
infondate, se non si è del mestiere? Come
riconoscere un falso se non si è archeologi, né storici, né esperti in alcuna
materia?
Un metodo c’è, in fondo, anche per i non addetti ai lavori:
basta utilizzare un poco di buon senso. Non
si deve dimenticare che – nel formulare le proprie ipotesi – ognuno
autodefinisce e legittima anche la propria posizione: uno scienziato offrirà
sempre subito le proprie buone credenziali ed un ciarlatano eviterà
costantemente di farlo. Ecco come, in otto semplici passi. Partiamo dalla
formulazione di un’ipotesi.
Un’ipotesi può essere formulata a
seguito d’alcune osservazioni attente, meglio se numerose, tanto da costituire
già un esempio significativo (campione)
comprendente tutte le possibili variabilità di presentazione di un fenomeno.
Talvolta si ha la fortuna che tutte le osservazioni iniziali puntino in una
sola direzione, indicando già, quasi naturalmente, l’ipotesi da formulare.
= Questa è la prima
discriminante tra vero e falso: il
ricercatore offrirà al lettore queste osservazioni iniziali per motivare
solo il fatto di avere iniziato la propria ricerca, mentre il
millantatore la considererà non come punto di sola partenza, bensì come punto d’arrivo definitivo e finale del
proprio “lavoro”. In altre parole: l’ipotesi è solo l’inizio del
lavoro scientifico, non il lavoro intero, come alcuni credono. Viene da chiedersi il perché nascano lavori
“apocrifi”, infondati e non scientifici. I motivi sono molteplici:
l’auto-celebrazione, la promozione di sé (e di un gruppo, spesso un cosiddetto
“movimento di pensiero”, che appoggia le idee dell’autore), motivi economici e
di potere politico, ma anche, più semplicemente e più spesso, la semplice
necessità di evasione da una cronica e stagnante posizione di insoddisfazione
nei confronti della realtà isolana presente e passata. Ne consegue la
funzionale creazione, talvolta o almeno inizialmente innocente, di una “realtà
secondaria”, che soddisfi la necessità, i
desideri, le ambizioni di un singolo o di una comunità intera, di riconoscersi
in caratteristiche idealizzate e distintive di se stessi. Ciascuna favola, poi,
camminerà con le proprie gambe quanto più lontano possibile, in proporzione al
gradimento che incontrerà. Questo è proprio ciò che sta accadendo in
Sardegna, di questi tempi. I motivi
d’insoddisfazione e di rivalsa insulare sono numerosi, vari, e di vecchia data.
Su quelli storici, si sono ultimamente affastellate anche nuove ed urgenti
istanze locali, regionali e nazionali, anche drammatiche. Ed hanno risvolti
politici evidenti[3].
= Ed ecco quindi il secondo
punto utile, per distinguere falso da
vero: Il lavoro falso racconterà sempre al proprio possibile pubblico
soltanto cose gradite, che questo desidera sentirsi raccontare. Va
da sé che – sardi o no – ci piaccia di più sapere che discendiamo da gente
gloriosa e forte, d’intelligenze superiore, invincibile, con tecnologia avanzata per i propri tempi,
piuttosto che semplicemente da gente laboriosa e volenterosa, ma in fondo del
tutto normale. E’ questo il vecchio e noto meccanismo della genesi del mito, che ha saputo trasformare efficacemente i resti fossili di un elefantino nel
terribile Ciclope, trovando anche splendidi cantori – come Omero – che ne hanno
certificato e perpetuato l’esistenza fino a noi. E così, oggi, abbiamo miti
grandi e piccoli, effimeri ed immortali, per alcuni dei quali nutriamo tanta
irrazionale affezione che siamo quasi anche tentati, talvolta, di cercarne e
trovarne i fondati motivi scientifici.
= Un terzo punto è dato dal tono di trionfale rivelazione
messianica dell’autore del falso: egli si pone molto spesso come
colui che – primo ed unico – ha finalmente risolto un enigma che era lì, da
sempre sotto gli occhi di ognuno, ma
costantemente e inspiegabilmente ignorato da tutti (specialmente e colpevolmente
dai cattedratici, notoriamente svogliati ed incapaci e tutti ovviamente
raccomandati). Ciò che egli solo
ha scoperto, che per propria alta missione offre generosamente al Mondo,
rivoluzionerà per sempre il Sapere umano e cambierà la Storia come noi
l’abbiamo conosciuta fino ad oggi, avrà conseguenze epocali. Egli infila con
irrisoria facilità, una dopo l’altra, come perle di una collana meravigliosa,
tutti i presunti “fatti” che
conducono alla dimostrazione della sua tesi, incurante di tutto: cronologia,
chimica, fisica, geografia, gravità e logica. Per ingannare meglio il
compratore, egli correderà la propria paccottiglia con abbondanti fotografie,
mappe, grafici e disegni accattivanti e multicolori, di grande effetto, ma di
poco significato, spesso inutili e ripetitivi e non correlati al testo: se
gli specchietti funzionano con le allodole, perché non dovrebbero funzionare
con i “polli”? Talvolta, l’italiano stesso
è approssimativo, se non addirittura dialettale. Di solito, non conosce il
lavoro d’equipe e firma da solo i propri lavori. Questo non avviene
quasi mai in una pubblicazione scientifica, che deve incontrare una serie di
filtri di controllo, di requisiti e d’approvazioni da parte d’esperti non
sempre benevoli, prima di passare alle stampe, oltre che limitare le spese di
pubblicazione[4].
= E’ poi sufficiente
applicare, come quarto punto, la sana e
abituale prudenza – meglio se diffidenza – che ogni compratore deve usare di
fronte al venditore: si noterà, leggendo la bibliografia del lavoro
infondato, che essa è spesso inesistente, oppure rappresentata solo da testi
antichi classici (Platone, Erodoto e simili, che notoriamente non sono
scientificamente affidabili), oppure consta di pochissimi e ormai datati lavori
scientifici, interpretandoli liberamente. Contrariamente, ogni ricercatore
tiene sempre molto a dimostrare –
già nella bibliografia – quanto le proprie conoscenze siano, oltre che
profonde, anche aggiornate fino alle più recenti pubblicazioni (magari delle
ultime settimane, o ancora in via di pubblicazione, ma già annunciate da una
comunicazione orale: ogni categoria ha in fondo le proprie piccole vanità).
= Un quinto consiglio è insito nel verificare la presenza o assenza di un
Metodo d’esposizione.
La Pubblicazione seria è ordinata,
organica e consequenziale, quasi salendo
progressivamente un’ideale scala, gradino per gradino e senza salti, per potere
superare senza affanni l’ostacolo della trasformazione dell’ipotesi iniziale
nella tesi finale dimostrata. Oltre a non fare salti pindarici sul vuoto, non
mescola alla rinfusa fatti non dimostrati e quantità disomogenee tra loro.
Il Metodo Scientifico prevede
innanzitutto un’introduzione, contenente l’esposizione dei motivi che hanno portato alla formulazione di un’ipotesi
iniziale da dimostrare (detta ipotesi di lavoro), con la quale il ricercatore giustifica la ricerca
(ogni ricerca ha un costo, in termini di tempo ed impegno del ricercatore e di
denaro pubblico e privato).
Seguono l’esposizione chiara e completa (Materiali e Metodi) dell’elenco integrale delle osservazioni
effettuate, dell’oggetto o degli oggetti delle osservazioni, del metodo (spesso
standardizzato ed accettato dal consenso comune) di trattamento di tali oggetti
e delle interrelazioni rilevate o messe in atto, in quali condizioni naturali o
artificiali: il tutto allo scopo di rendere quanto più possibile ripetibile l’esperimento effettuato, perché esso possa essere
ripetuto precisamente anche da altri e sempre producendo risultati identici. Un
esperimento scientificamente valido deve essere sempre ripetibile[5].
Ad esempio, nell’analisi della composizione dei bronzetti sardi, il risultato è
noto, è stato descritto ed è ripetibile[6].
Questo è talvolta meno vero per lavori quali le stratigrafie e per gli studi
genetici di popolazione[7],
ma regge per la maggior parte degli studi scientifici. È chiaro, però, che i
falsari possono talvolta ingannare anche i veri esperti[8].
I Risultati della ricerca scientifica devono essere elencati in
modo chiaro e comprensibile, quanto più schematico ma completo, usando misure
ed unità e concetti internazionalmente accettati, in modo da essere comparabili
con altri lavori simili. Il ricercatore esporrà infine chiaramente le proprie Conclusioni, correlandole e motivandole logicamente con i
risultati ottenuti dal trattamento del proprio materiale e dalle sue
osservazioni. Questo spessissimo non accade nei falsi: talvolta si
sostengono alcune tesi con ragionamenti circolari che partono dalla loro già
implicita accettazione a priori, per non parlare dell’approssimazione nel
riferire datazioni ignote all’autore, o procedimenti che egli non ha
evidentemente affatto compreso. Il falso
s’insinua proprio in mezzo alle incertezze, ai fatti in ombra, di cui tutto può
essere detto, perché poco o nulla è conosciuto o può essere provato[9].
Ma – soprattutto – nel falso manca il Metodo Scientifico, perché troppo spesso
è costruito da autori autodidatti, che al Metodo non sono stati educati.
= Un sesto punto importante è che l’autore di un falso riesce
sempre e costantemente a dimostrare la propria tesi, per quanto
assurda essa sia. Nel lavoro scientifico questo, invece, non accade
invariabilmente ogni volta: esistono lavori seri che ammettono di offrire
risultati solamente parziali o provvisori,
da migliorare o espandere in future ricerche. Esistono addirittura lavori con conclusioni
negative: in questi lavori i ricercatori
mettono in guardia gli altri scienziati dal percorrere inutilmente la loro
stessa particolare strada, dimostrata concettualmente erronea e quindi da
evitare, proprio grazie al loro lavoro. Questi lavori, se eseguiti in modo
ineccepibile, sono altrettanto utili alla Scienza quanto gli altri: la ricerca procede infatti per tentativo
ed errore, allo scopo di trovare la strada
giusta da seguire. Essi sono una dimostrazione di vera onestà intellettuale.
Non è pensabile, invece, che
il millantatore faccia una simile ammissione: per definizione, egli conosce e
riferisce sempre il Vero.
Nell’esposizione scientifica
seria, si esegue una “Discussione”,
nella quale l’autore veste i panni di un critico o detrattore del proprio
lavoro (quasi un “avvocato del Diavolo”), allo scopo di trovarne i possibili
punti deboli, gli aspetti discutibili, gli eventuali errori e le controversie,
controbattendo punto per punto ogni singola obiezione circa ogni scelta
effettuata nel proprio lavoro: se questo procedimento è assolto con cura e
onestà, il lavoro sarà, alla fine, inoppugnabile (e scientificamente molto
apprezzato).
Ma, così, si vede bene come un
lavoro scientifico sia sempre e comunque un po’ prolisso e noioso, per il
lettore comune, anche quando l’autore cerchi di esprimersi in modo discorsivo e
divulgativo (il che non avviene molto spesso, per la verità: purtroppo si cade
spesso in tecnicismi e riferimenti che risultano piuttosto oscuri ai profani).
Inoltre, in genere, il lavoro scientifico non offre mirabolanti novità o
conclusioni reboanti, che possano facilmente catturare la fantasia del lettore.
= Ed ecco quindi il settimo
punto: il lavoro scientifico non è – in
genere – uno scoppiettante rendiconto di novità meravigliose, d’avvenimenti
brillanti o d’affascinanti episodi d’avventura. Indiana Jones appartiene
alla fantasia. Il lavoro scientifico formula ipotesi prudenti e
ponderate (talvolta un po’ troppo, è vero: ma chi non è criticabile?),
giungendo a conclusioni finali che siano, quanto più possibile, verosimilmente
correlate ai dati obiettivi disponibili al momento. Senza fuochi d’artificio,
né razze superiori, né squilli di tromba, né epopee “Salgariane” di Popoli del
Mare o simili.
= Un ottavo consiglio utile può essere quello di considerare quale sia
l’editore che ha prodotto il lavoro. Normalmente, l’editore non tiene molto
conto della reale scientificità del lavoro che pubblica, ma ha ben presente
invece la vendibilità – quindi gli introiti possibili – che gli garantisce
l’autore. Il che significa che un affermato autore di favole
troverà facilmente un editore, proprio come qualsiasi altro romanziere[10].
Chi desideri essere sicuro d’acquistare un lavoro scientifico, invece che una
storiella, farà quindi meglio ad affidarsi a Case Editrici Universitarie e alle
riviste scientifiche specializzate. Potrà forse restare deluso ed anche
annoiarsi, ma almeno avrà molte più probabilità di non essere preso in giro[11].
Perché si devono combattere i
falsi?
Un buon esempio del motivo è dato
dal cosiddetto “Uomo di Piltdown”. Nel
1912 l’archeologo dilettante Charles Dawson riferì alla Geological Society di
avere trovato parecchi frammenti cranici molto spessi ed una mandibola incompleta
in uno strato che conteneva ossa d’animali estinti, presso Piltdown Commons,
nel Sussex. Il Curatore del reparto di Storia Naturale del British Museum
(l’anatomista Smith Woodward) lo appoggiò: secondo lui si trattava dell’anello
mancante, come si diceva allora, cioè di un
uomo estremamente antico e primitivo (anzi, il più antico), con un cranio
voluminoso simile in tutto all’uomo moderno[12],
e con una mandibola ancora scimmiesca i cui canini (mancanti nel reperto)
avrebbero dovuto essere a forma di zanne sporgenti ed acute (secondo un’errata
teoria in voga allora e derivata da Darwin) e propose il nome di Eoanthropus
Dawsoni (uomo primitivo di Dawson)[13].
Un sacerdote cattolico francese (Teilhard de Chardin) appassionato
d’archeologia, trovò proprio quei canini nel sito: erano perfettamente uguali a
quelli di una scimmia. Niente di strano: qualcuno – rimasto ancora oggi ignoto
– aveva costruito un abile falso. Si era procurato un cranio moderno
insolitamente spesso, lo aveva spezzato in frammenti, aveva dipinto le ossa di
marrone con materiale terroso fossile, aveva aggiunto una mandibola d’orango
spezzata all’estremità articolare (altrimenti si sarebbe capito che non
apparteneva al cranio umano), e ne aveva limato i molari per simulare il
consumo dato dalla masticazione umana. Completò il tutto mettendo nel sito
(solo in un secondo tempo, in un posto dove sarebbero state trovate dal
sacerdote) zanne di scimpanzè, anch’esse limate e trattate ad arte per renderle
“fossili”.
L’uomo di Piltdown fu chiuso sotto chiave, in una
bacheca del Museo di Storia Naturale, gioiello della corona britannica. Gli
studiosi non avevano accesso altro che a calchi in gesso: ecco perché il falso
durò così tanto. Solo nel 1953, nel corso di un programma di verifica generale,
si esaminò il reperto con l’allora nuovo metodo di datazione al fluoro, che
denunciò il falso. Poi bastò il microscopio per riconoscere i segni della lima
(J.S. Weiner, antropologo, Oxford). Infine si trapanò l’osso e si scoprì che
l’interno era chiaro e moderno.
Una beffa umiliante!
Ma questo era stato considerato
per 41 anni l’uomo più antico del Mondo intero. Aveva distolto ogni attenzione
accademico-scientifica dagli studi faticosi e seri che da anni erano condotti
in Sudafrica sull’Australopithecus Africanus (scimmia meridionale dell’Africa) da Raymond Dart dell’Università di
Witwatersrand. Nel 1950 Robert Broom aveva rinvenuto, oltre ad altri esemplari
d’Africanus, anche un’altra australopitecina che chiamò, per le sue
caratteristiche Australopitecus Robustus. Con la dimostrazione del falso di Piltdown, gli studi s’incentrarono finalmente sull’Africa:
oggi sappiamo con certezza che la Rift Valley fu abitata da almeno due tipi di
scimmie antropomorfe, in un periodo compreso tra 3 milioni e un milione e trecentomila
anni fa[14].
Nel 1973 D. Johanson scoprì, nel Triangolo di Afar, un’australopitecina ancora
più antica, (Australopitecus Afarensis, 3.250.000 aa fa), che
divenne più nota con il nome di Lucy,
essendo di sesso femminile[15].
Da allora, una vasta messe di nuove ricerche (Mary Leakey, Steven Ward e Andrew
Hill) dimostrarono che l’età degli
ominidi era ancora più antica: fino a 5 milioni di anni fa.
E rivelarono che questi ominidi
lasciarono per 25 metri le impronte solamente dei piedi, su uno strato di cenere proveniente dal vulcano
Sadiman, che ci è stato gentilmente conservato dalla natura: camminavano come
noi. Altre, numerose e più recenti scoperte ci parlano dell’antichità dell’Ardipithecus
Ramidus (e dell’Ard. Kadabba, suo
predecessore, risalente ad epoche anche precedenti), scoperto nel 1993 e
pubblicato nel 2009.
Tutte queste rigorose ed
affascinanti ricerche sull’origine vera dell’Uomo sono state terribilmente
ritardate ed ostacolate da un falso, che adesso – forse – ci può far sorridere,
ma che ha indubbiamente prodotto danni gravi alla scienza e mietuto numerose
vittime innocenti tra i ricercatori seri. La sola considerazione finale dei
danni creati dal falsario e dalla sua opera è sufficiente per convincersi che
questo fenomeno va combattuto in ogni modo, sempre.
In fondo si tratta solamente di
seguire un semplice percorso di qualità,
con lo stesso buon senso con il quale le massaie scelgono con amorevole
saggezza ogni giorno il cibo con cui alimentare la propria famiglia. Sono ben
consce dei problemi che la produzione industriale, la distribuzione globalizzata e le filiere troppo lunghe possono produrre:
diffidano di quei pomodori troppo rossi e clonati tutti uguali, di quelle mele
troppo lucide e belle, quasi finte, tutte senza sapore... Quando sono
fortunate, si rivolgono direttamente al piccolo produttore, di cui conoscono
orti e frutteti, allevamenti e metodi affidabili, anche quando i loro prodotti
possiedono un aspetto ben più dimesso e meno accattivante degli altri prodotti
in massa. Ecco il consiglio finale, quindi: anche nel nutrimento della mente, seguire
la qualità e l’affidabilità.
A meno che davvero non si desideri
proprio scoprire – addentando con avidità
una merendina sintetica, colore ed aromi artificiali – in quali e quanti modi
bellissimi i Sardi attuali discendano eroicamente da Atlantide e dal folletto
delle sette berrette, e come essi dettero gloriosamente origine alla Civiltà
Occidentale con le formule trigonometriche annotate per comodità nei propri
bronzetti, scrivendo ed operando nel nome di Yahvé, già duemila anni prima di
Cristo.
Unicuique suum.
[1]
Gli eumelanosomi e feomelanosomi fossili rinvenuti fanno pensare alla possibile gamma
tra nero e grigio, e a una gamma da giallo a marrone rossiccio.
[2]
Che gli uccelli attuali e i dinosauri abbiano un antenato in comune non è in
discussione: ma esiste una teoria che vede derivare gli antichi rettili piumati
(Archeopteryx e Sinosauropteryx) da antichi uccelli che perdettero la capacità
di volare partendo dal suolo, conservando però quella di planare.
[3]
Non è questa la sede adatta per dibattere a fondo indipendentismo, separatismo,
sardocentrismo, né i sentimenti che li sottendono; né per criticare l’eventuale
inefficienza della classe politica sarda.
[4]
Il che non rende automaticamente inconfutabili tutti i lavori scientifici e non
rende incorruttibili ed onesti tutti gli accademici. Certi falsi “d’autore”
sono molto benfatti e non facilmente riconoscibili.
[5]
Fu proprio la non ripetitibilità che determinò la bocciatura scientifica della
“fusione nucleare fredda” riportata nel 1989 dai ricercatori dell’Università di
Salt Lake City (Utah - USA), Martin Fleischmann e Stanley Pons.
[6] L'argento è
raramente presente in grandi quantità ed un elevato tasso d'argento fa sempre
pensare ad un falso, oppure ad un'opera voluta deliberatamente così, per la sua
importanza e per motivi religiosi e votivi (che però devono almeno essere
ipotizzabili nella specifica forma stessa del particolare bronzetto in esame).
Il silicio è soltanto d'introduzione recente, per sostituire lo stagno nella
lega del bronzo moderno. Era assente nei bronzetti antichi. Il rame costituisce
in genere 80% - 90%, non solamente il 65% come in bronzi recenti. Lo stagno è
in genere presente in ragione del 5% - 10% (ma può giungere persino al 13%
talvolta), invece in manufatti moderni è presente nel 1,1%. Lo zinco è presente
solo in tracce accidentali (0,3%), mentre è al 1,8% nei bronzi più recenti. Il
piombo è presente in tracce nei bronzi antichi. Infine esistono tracce di
nichel, cobalto, e soprattutto arsenico. Le altre misurazioni più sofisticate,
che misurano la firma radioattiva del materiale, aggiungono ulteriori
informazioni di provenienza e non sono indagini alla portata dei comuni
falsari.
[7] Quando si
agisce distruttivamente sull’oggetto
dello studio (strati geologici o materiale genetico): ma si tratta di lavori
basati su metodi rigorosamente ottenuti ed approvati universalmente.
[8]
I geoglifi di Nazca sono un falso, come
ha dimostrato nel 2001 l’archeologo bresciano Giuseppe Orefici.
E’ falso che i giganteschi monoliti inglesi di Stonehenge risalgano al 3000 avanti Cristo e che,
misteriosamente, siano sempre rimasti intatti e in equilibrio magico per cinque
millenni. Il falso fu smascherato da Brian Edwards, alle prese
con una tesi di storia, che rinvenne le foto del 1901, con un gruppo d’operai al
lavoro con tanto di cazzuola. Erano solo le prime di una serie: per tutto il
‘900 Stonehenge ospitò un cantiere che ha continuato a rimaneggiarne il volto
almeno fino al 1964. Scavatrici, corde, cemento e gru hanno ricostruito,
spostato, innalzato, sistemato, riallineato quei monoliti, che milioni di
turisti ignari hanno ritenuto fossero sempre rimasti immutati nella loro magica
geometria, astronomicamente precisa e
mirabilmente allineata. Le teste di Modigliani, i “diari di Hitler”, Il Papiro
Artemidoro, le tavolette di Tzricotu ed il busto di Nefertiti sono altri
esempi, più recenti e più o meno noti, che hanno messo in imbarazzo anche gli
esperti.
[9]
E’ ovvio che il falso s’interessa molto spesso d’argomenti che la Scienza
trascura, perché non è possibile trattarli. Gli scienziati sono prudenti e
responsabili: non esserlo significa perdere la faccia ed i finanziamenti. Da
questo partì la molto ingenerosa critica agli archeologi sardi, accusati
addirittura di nascondere la verità, per
oscuri motivi. Un esempio? Le statue di Monte Prama non sono mai state
nascoste, pur non essendo ancora esposte: Sardegna Antica ne dette un
esauriente resoconto anni fa, proprio quando – per alcuni – esse erano tenute
malvagiamente segrete.
[10]
Spesso, però, è disposto a pubblicare a proprie spese, correndo l’alea di non
avere un riscontro economico. In seguito, proporrà la propria opera in ogni
festa, congresso politico, riunione culturale e ricorrenza alla quale riuscirà
ad intervenire, dopo avere contattato gli organizzatori locali. Diverrà un
agente pubblicitario di se stesso ed utilizzerà tutti i contatti possibili per
promuoversi.
[11] Potrà – ad
esempio – trovarsi di fronte ad un’appropriazione indebita di un’idea o di una
scoperta, il cui valore scientifico resterà immutato, malgrado la miseria
intellettuale del sedicente autore.
[12]
Esisteva il preconcetto che l’anello mancante dovesse avere un cervello molto sviluppato. Pertanto, il Pitecanthropus
Erectus trovato a Giava da Eugene Dubois
nel 1890 fu considerato insignificante, come progenitore dell’uomo (in seguito,
fu riqualificato come Homo Erectus,
ma Dubois morì convinto di avere trovato ‘solo una specie estinta di gibbone’,
come ammise egli stesso).
[13] Darwin, in
realtà, pensava ad un antico
progenitore comune alle scimmie e all’uomo, non ancora umano.
[14] Datazione
con decadimento del potassio radioattivo in argon radioattivo ed inversione del
campo magnetico terrestre.
[15] Dalla
canzone allora notissima e di moda: “Lucy in the Sky With Diamonds”, dei Beatles.