FIABA E FAVOLA
Fiaba, dice il vocabolario, riprendendo in parte il
solito pregiudizio, è una 'favola per fanciulli e specialmente novella che
abbia del meraviglioso.'
La novella a sua volta è 'racconto non lungo di
un fatto inventato'
La favola invece viene
definita 'narrazione in prosa o in versi di carattere morale in cui parlano
e operano animali o esseri immaginari'.
In base a questi criteri possiamo dire per
esempio che Cenerentola o Biancaneve sono fiabe, in quanto posseggono i due
requisiti fondamentali di essere brevi e di raccontare fatti inventati e
meravigliosi. Mentre Il
Corvo e la volpe
di La Fontaine, dove agiscono e parlano due animali, è una favola.
BREVITA'
La brevità è una caratteristica molto importante. Deriva
dai tempi in cui queste storie meravigliose, di origine popolare, venivano
tramandate oralmente e presuppone che la narrazione (e più tardi la lettura)
possa farsi in un'un unico lasso di tempo, senza spezzare il
racconto per rimandarlo all'indomani. Questo fatto è molto importante ai fini
della struttura della storia. La brevità costringe inoltre il narratore o lo
scrittore a disegnare i personaggi nella loro essenzialità, descrivendone solo le caratteristiche
funzionali e necessarie per lo svolgersi dei fatti, senza nessun approfondimento
psicologico.
Più che personaggi essi rappresentano funzioni, come
ha osservato acutamente Vladimir Propp in Morfologia della Fiaba. Oppure
incarnano un archetipo: quello del re che detiene il
potere assoluto, quello della madre amorosa pronta al supremo sacrificio, quello
della fanciulla ingenua che viene iniziata alla vita da adulta...
Se manca la brevità, la presenza della magia o del meraviglioso
non basta a fare di un testo una fiaba. Per esempio non sono fiabe l'Iliade o l'Odissea, pur con tutti gli interventi divini, i mostri
e i prodigi. Non è una fiaba l'Orlando Furioso, pur col suo Ippogrifo e col
castello di Atlante.
IL MERAVIGLIOSO
Infatti non è fiaba neppure il racconto breve che rappresenta la
realtà così com'è, senza introdurvi
elementi meravigliosi e/o poco verosimiglianti. Sono spesso fiabe i 'cunti' di
Giambattista Basile; non lo sono -tranne il caso anch'esso discutibile di
quella che ha per protagonisti Messer Torello e il Saladino- le cento novelle
del Decamerone di Boccaccio.
L'ETA' DEI DESTINATARI
Non è casuale che abbia nominato autori come Ariosto o Boccaccio
che appartengono alla Letteratura cosiddetta Alta, quella destinata a lettori
adulti di buona cultura.
Infatti -e anche
questa è una cosa molto importante che non bisogna dimenticare – la fiaba non è un genere letterario destinato specificamente
a un pubblico di bambini. In origine anzi le fiabe erano
destinate più ai grandi che ai piccoli. Non si trattava di testi scritti, ma di
racconti che a causa della loro brevità potevano facilmente essere imparati a
memoria e tramandati oralmente. Certo, tra il pubblico analfabeta che ascoltava il narratore
orale c'erano anche bambini di varie età. Così come c'erano bambini alfabetizzati fra i lettori della Bibbia, dell'Eneide, delle Vite parallele di Plutarco, che però nessuno
si sogna di considerare 'libri per bambini'. L'uso di una letteratura scritta
apposta e unicamente per i bambini, iniziato nel tardo Seicento, si è diffuso
nella nostra cultura solo nell'Ottocento.
TEMPO E LUOGO
Un'altra delle caratteristiche particolari della fiaba è che la
vicenda che narra non è mai situata geograficamente e cronologicamente in un tempo definito.
Lo si capisce fin dall'attacco classico: 'C'era una volta in un paese lontano...'
'Una volta' si riferisce a un passato che può essere
recente o lontanissimo, ma tutto sommato non importa esattamente quando.
L'unica cosa certa è che non
è adesso.
Altrettanto si può dire del 'dove'. Un paese lontano può essere dovunque. Però non qui.
Sul 'paese lontano', che lui chiama 'il regno
di Feeria' J. R. R. Tolkien ha scritto un saggio molto interessante intitolato Albero e foglia.
Tolkien, che le amava, sapeva benissimo:
-1) che le fiabe non sono necessariamente un
genere letterario per bambini;
-2)
che ci sono molti libri per bambini che non sono fiabe.
Racconta infatti, a proposito di sé stesso da
piccolo: "Io non desideravo avere sogni o avventure sul tipo di Alice, e la loro narrazione mi
divertiva e basta. Non desideravo gran che andare in cerca di tesori nascosti o
battermi con i pirati, e
L'isola del Tesoro mi lasciò indifferente. Ma la
terra del Mago Merlino e re Artù era più suggestiva, e soprattutto mi
affascinava l'innominato nord di Sigurd della Voelsung, e il principe di tutti i
draghi. Queste terre erano sommamente desiderabili. Non immaginai mai che il
drago fosse dello stesso ordine del cavallo. Il drago aveva impresso sopra a
chiare lettere il marchio 'del regno delle fate'. Quale che fosse il mondo di
questa creatura, era un altro mondo.'
Stevenson,
chiamato in causa per il suo L'isola del Tesoro, che è un libro per bambini
(scritto appositamente per il figliastro Samuel Lloyd di undici anni), ma non è
una fiaba -e che non piaceva neppure a Henry James- a sua volta ribatte alle
critiche rivoltegli da quest'ultimo affermando: "se non ha mai cercato
tesori nascosti, si può facilmente dimostrare che Henry James non è mai stato
un bambino. Eccettuato il signorino James, non c'è mai stato infatti un solo
bambino che non sia stato cercatore d'oro, e pirata, e comandante di battello,
e bandito di montagna; che non abbia combattuto e non sia naufragato o finito
in prigione; e non si sia sporcato le manine di sangue, e non abbia
romanzescamente rovesciato le sorti di una battaglia, o trionfalmente protetto
l'innocenza e la beltà".
Quanto
a Henry James, il fatto che non ritenesse adatta a un bambino L'isola del Tesoro, non significa che lui stesso da piccolo
fosse un lettore di fiabe. Nel suo libro autobiografico Un bambino e gli
altri elenca
fra le sue primissime letture Il Lampionaio datogli dai grandi per convincerlo, senza riuscirci,
a lasciar perdere l'immorale Robinson Crusoe. Oltre a Defoe invece il 'signorino James' leggeva
Dickens e La
capanna dello zio Tom,
tutti libri che non possono essere chiamati altro che romanzi. Romanzi per
adulti di cui il piccolo Henry si era impadronito, come molti altri bambini
avevano fatto e faranno non solo con Robinson, ma anche con I Viaggi di Gulliver, scritti in origine per
adulti.
Ma per tornare al passo di
Tolkien citato più sopra, possiamo dunque affermare col suo autorevole appoggio
che Alice
nel paese delle
meraviglie e L'isola del Tesoro, pur essendo stati scritti
entrambi appositamente per bambini, non sono fiabe.
Cosa sono allora? Sono romanzi. Al di là dell'argomento, la lunghezza e la struttura
del racconto diviso in capitoli, l'attenzione alla
psicologia dei personaggi e alla loro ambiguità, li colloca nel 'genere
letterario' del romanzo, d'avventure
l'uno, del romanzo surreale l'altro. Infatti è pur vero che nella storia di Alice capitano tante cose
inverosimili, ma queste somigliano più alla trasformazione di Gregorio Samsa in
scarafaggio in Metamorfosi di Kafka che alla scarpetta
di cristallo di Cenerentola.
Così
come rientrano nel genere letterario del romanzo Il libro della Jungla di Kipling e Pinocchio di Collodi. Non si tratta di
romanzi 'realistici', è vero, ma neppure quelli di Stephen King lo sono, e
nessuno li ha mai chiamati fiabe, neppure
quando il protagonista è un bambino piccolo come in Shining o in L'incendiaria.
FAVOLA
Torniamo adesso alla definizione di favola trovata sul vocabolario: Narrazione in prosa o
in versi di carattere morale, in cui parlano e operano animali o esseri
immaginari.
Favole sono per esempio quelle
del greco Fedro e del latino Esopo. E in epoca più recente quelle del francese
La Fontaine.
Nelle favole in genere la morale è dichiarata esplicitamente.
–:«Mio bel signore, imparate che ogni adulatore vive alle spalle di chi lo
ascolta. La lezione senza dubbio vale una forma di formaggio.» – spiega la
volpe al corvo dopo averlo imbrogliato.
IL DESTINATARIO 'SEMPLICE': POPOLO E
BAMBINI
I narratori o gli scrittori di favole non si rivolgevano a un
pubblico di bambini, né ad essi era rivolta la loro morale, che invece
criticava spesso aspramente certi costumi immorali del mondo adulto. Ma ai bambini cui capitava di
ascoltarle le favole piacevano per via degli animali parlanti. E pian piano
esse diventarono parte del patrimonio letterario adulto passato ai piccoli 'per
usucapione', così com'era successo ai romanzi d'avventure citati poc'anzi, che
non erano stati scritti per bambini.
Così
come successe nell'Ottocento alle fiabe popolari che i borghesi colti
disdegnavano appunto perché popolari e che le bambinaie analfabete venute dalle
campagne raccontavano nelle nursery ai figli bambini di quegli stessi borghesi.
(...)
La fiaba è nata
infatti come genere popolare, anonima. In origine le fiabe venivano tramandate
oralmente, modificandosi nel passaggio da un narratore all'altro. Come il
narratore non era un letterato, così l'uditorio era popolare, familiare, d'età
mista; comprendeva tutte le generazioni di una comunità o d'una famiglia.
Le fiabe più belle
del nostro patrimonio popolare non hanno autore, ma sono il frutto del talento
d'innumerevoli
e anonimi narratori analfabeti. Perrault, che nel Seicento scrisse una delle prime
raccolte di fiabe, scrisse anche che le aveva sentite raccontare da 'una
vecchia di casa'. I fratelli Grimm andavano in giro per boschi e paesi a
intervistare narratori e narratrici analfabeti, che a loro volta avevano
ascoltato quelle storie da altri vecchi, in una catena che si perdeva nel
tempo. La più bella e completa raccolta di fiabe italiane, quella fatta da
Italo Calvino, indica per ogni fiaba la fonte o le fonti orali e le diverse
varianti. Neppure la più famosa raccolta di fiabe orientali, Le Mille e una notte, ha un autore. Al suo interno
si può invece ricostruire il viaggio dei racconti nello spazio –India, Iraq,
Persia, Arabia, Egitto- e anche nel tempo, dal IX secolo alla prima traduzione
in francese del 1717.
La bellezza delle
fiabe tradizionali nasce proprio dalla loro non programmata e incontrollabile
stratificazione. Di bocca in bocca, di uditorio in uditorio, ciò ch'era
inutile e contingente si è perduto e, per decantazione, come in un'acquavite
distillata e conservata a lungo, è rimasto solo l'essenziale. I suoi
personaggi, i nodi delle vicende, sono diventati archetipi della condizione
umana. (...)
Ma per tornare all'Ottocento,
sull'onda del romanticismo, il patrimonio della cultura
popolare cominciò a venire scoperto e nobilitato dagli studiosi del folclore.
Molti scrittori romantici si misero a scrivere 'fiabe d'autore'. Qualcuno di
loro, come Andersen, le scriveva rivolgendosi ai bambini. Ma Heine e Hoffmann,
tanto per fare un esempio, non pensavano a un pubblico giovanile, e neppure lo
stesso Gorthe, quando scrisse Marchen.
(...)
Riassumendo possiamo dunque ribadire che:
-fiabe e favole sono due generi letterari
diversi, ognuno con caratteristiche specifiche;
-fiabe e favole NON sono
necessariamente destinate a un pubblico infantile
-NON tutto ciò che viene scritto o raccontato pensando a
un pubblico infantile è una fiaba o una favola.
Dal saggio di Bianca Pitzorno: Qualche
premessa sulla letteratura per l'infanzia apparso in Scrivere per
bambini,
a cura di Francesca Lazzarato, Mondadori 1997