giovedì 4 luglio 2013

LIFE'S A JOURNEY, IS IT NOT DAD?

La vita è un viaggio e viaggiamo tanto durante la nostra vita, nello spazio e nel tempo.
Questa è la storia del viaggio di una vita, dal momento in cui ero una bambina sino a esattamente un anno fa. La mia memoria ritorna a quando piccolissima mi nascondevo sotto il tavolo della cucina convinta che questo mi rendesse invisibile e mio padre, una volta tornato a casa, che fingeva di cercarmi chiamando il mio nome, per poi fingersi stupito quando finalmente saltavo fuori. Ricordo le sere in cui giungeva l’ora di andare a letto e mio padre caricava mia sorella su una spalla e me sull’altra e poi ci buttava sui letti, facendoci ridere come matte.
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Il mio papa’ al lavoro nel suo negozio di elettrodomestici e macchine da cucire
“Papà, mi porti al “cimena” oggi?” “Ti ci porto quando impari a dirlo bene!” mi prendeva in giro ed io non riuscivo a capire cosa stessi dicendo di sbagliato. Ricordo i giorni di scuola, quando non volevo svegliarmi la mattina e lui entrava in camera e mi faceva il solletico ai piedi mentre cantava “forza e coraggio che domani arriva maggio”. Ricordo le volte che venne a prenderci all’uscita di scuola (il vantaggio di crescere in un piccolo paese era che potevi lasciare che i tuoi figli andassero ovunque da soli senza grossi problemi) sia perché’ magari pioveva o semplicemente perché si sentiva di farlo. Gli anni passano in fretta e mio padre si ritrovo’ con due figlie adolescenti e un figlio quasi adulto, incapace di comunicare con noi e diventando distante e irraggiungibile. Veniva da un altro tempo lui, sposando la mia giovane mamma quando aveva ormai quarant’anni (allora era considerato un uomo di mezza età!) e veniva da un modo completamente diverso di pensare e di agire e non aveva la più pallida idea di come doversi comportare con noi. Non sono sicura che cercò di provarci comunque, lasciando che fosse mia madre a crescerci nella maniera migliore. Quelli furono forse gli anni più difficili per entrambi, ma li superammo. Giunse poi il momento in cui abbandonai il nido per trovare la mia strada in questo mondo. Avevo appena diciannove anni ma una volta lasciata casa mia, le cose cominciarono a cambiare e mio padre comincio’ a comunicare maggiormente con noi. Penso che fosse dovuto al fatto che comincio’ a considerarci come degli adulti responsabili, ma soprattutto si rese conto che non poteva più zittirci quando non ci trovavamo d’accordo su alcune questioni.
Ricordo quando decisi di trasferirmi negli Stati Uniti; mia madre pensò che io fossi impazzita e cerco in tutti i modi di dissuadermi, mentre mio padre fu colui che mi spinse a seguire il mio sogno. Ho sempre creduto di avere preso la mia anima zingara da lui, poiché papà aveva sempre la valigia pronta per ogni evenienza. Ricordo la prima volta che vennero a visitarmi a Seattle e l’eccitazione che sentii nel sapere di poterli avere con me per un mese intero. Gli volevo mostrare la mia casa, i miei amici, la mia vita. Volevo renderlo orgoglioso, sapendo che qualsiasi cosa stessi facendo e qualsiasi cosa avevo conquistato sino ad allora, lo dovevo tutto solo a me stessa. Tutto ciò che avevo era per via del mio duro lavoro e avevo solo da ringraziare me stessa e i miei genitori, per avere fatto di me ciò che ero e ciò che sono. Non tanto tempo mi trasferii’ a New York e ricordo le iniziali avvertenze di mio padre di stare attenta, seguite dal suo commento che non sarebbe morto fino a quando non fosse venuto a trovarmi nella Grande Mela. Lo prendevo in giro dicendogli che avrebbe vissuto una vita lunghissima allora, perché’ non c’era proprio verso che l’avrei ospitato a New York. Ma venne comunque e gli piacque da matti. La parte migliore di tutto ciò è che finalmente aveva qualche nuovo racconto per i suoi amici (e chiunque avesse la sfortuna di iniziare una conversazione con lui!) di sua figlia che viveva in America. Era molto orgoglioso di me, ma era anche pieno di se’ (Ahia! Mi dicono tutti che sono uguale a mio padre!!), per cui raccontare le storie di sua figlia, nella sua mente lo faceva diventare importante.
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Il mio papa’ e la mia mamma 
Il viaggio della vita continua e anche gli invincibili e gli immortali diventano deboli e vecchi. Ecco qui mio padre, terrorizzato dall’idea di morire più di qualsiasi altra cosa al mondo, diventare vecchio e facendo impazzire tutti quelli intorno a lui per via delle sue fobie. Arrivò a un punto in cui a momenti non ricordava più il mio nome, ma sapeva esattamente chi fossi perché mi chiamava “l’americana”. Sarebbe stato il suo compleanno oggi, un paio di giorni prima che il suo viaggio su questa terra finisse. Non gli augurai buon compleanno lo scorso anno perché stava attraversando un momento difficile, probabilmente il più difficile di tutta la sua vita. La sua valigia era di nuovo pronta, ma questa vota il viaggio lo avrebbe portato in un posto senza ritorno.  Perciò tanti auguri papà: spero che abbiano la torta e le candeline e dei regali per te, lì dove sei ora. E quando soffierai le candeline ed esprimerai un desiderio, io lo so che tu penserai a noi.
Ti voglio bene.
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