e i suoi rioni e siti
di M.Pittau
Cagliari (Cágliari; ant. Karalis, Caralis, spesso plur. Carales) (capoluogo di prov. e capitale della
Sardegna) - La odierna denominazione locale del toponimo è Casteddu = «Castello», denominazione che in origine
indicava il rione alto della città, la sua acropoli o roccaforte. Fino
all'inizio del Novecento la città veniva chiamata anche Casteddu Mannu «Castello Grande» per distinguerlo da Casteddu
Sardu «Castelsardo», che era
il «Castello Piccolo» (vedi).- È da respingersi con decisione la tesi corrente,
secondo cui Cagliari sarebbe stata fondata dai Fenici; la testimonianza di
Claudio Claudiano (I, 520),
che la dice «fondata dai potenti Fenici di Tiro», non ha alcun valore perché è
troppo tardiva (IV sec. d. C.). È assurdo infatti ritenere che, molto prima dei
Fenici, i Nuragici non avessero messo occhio e provato interesse per questa
località, caratterizzata come era da facili approdi, sia ad oriente che ad
occidente, munita di un colle dirupato facilmente trasformabile in roccaforte,
ricca di importanti saline e posta all'imboccatura di quella laguna di Santa
Gilla, che non solo era molto pescosa, ma portava anche fino ad Assemini, nella
direzione delle risorse agricole del Campidano e di quelle minerarie
dell'Iglesiente. D'altra parte risulta accertato che nell'area di Cagliari lo
stanziamento umano è molto più antico dell'arrivo dei Fenici in Sardegna, dato
che risale al periodo eneolitico e forse a quello neolitico, come risulta dai
ritrovamenti effettuati nel colle di Sant'Elia, a San Bartolomeo e a Monte
Claro. Inoltre è quasi del tutto certo che il toponimo Karalis/Caralis - come aveva già sostenuto Max Leopold
Wagner (LS 141) - è
sardiano o protosardo, dato che esso trova riscontro nei toponimi Carále di Austis e Carallái di Sorradile. Inoltre esso è da confrontare
coi toponimi antichi Káralis
o Kárallis della Panfilia
e Karalléia della
Pisidia, in Asia Minore (Strabone, XII 568; PW; LS 141; OPSE 102). Il quale accostamento interviene a confermare la tesi della
venuta dei Sardi dall'Asia Minore (cfr. Ardali, Arzachena, Bargasola,
Bolotana, Libisonis, Scandariu, Sindia, Siniscola, Tiana). Circa l’etimologia od origine del nostro
toponimo a me sembra che siano possibili due spiegazioni differenti, anche se
in parte convergenti. 1ª) Il toponimo Karalis/Caralis può essere collegato con un appellativo che
ha l’aria di essere sardiano o protosardo sia per la sua forma fonetica, sia
perché è attestato in due aree molto isolate e fortemente conservative
dell’Isola, il Sarcidano (Isili) e il Sarrabus (Villaputzu): caraíli «macigno, roccia, rupe» (DitzLes). Ed è logico trarne questa conclusione: è
probabile e verosimile che in origine Karalis significasse «la rocca» e la «la roccaforte»,
con riferimento alla collina rocciosa sulla quale insiste il suo odierno rione
di Castello. D’altronde
il riferimento a quell’elemento geo-fisico viene tuttora ripetuto e conservato
nella odierna denominazione sarda della intera città: Casteddu. 2ª) Il toponimo Karalis/Caralis si potrebbe collegare con l’appellativo
sardiano o protosardo cacarallái, crialléi, crièlle,
chirièlle, ghirièlle
«crisantemo selvatico» (margherita di colore giallo) (Chrysanthemum
coronarium, segetum L.) e
«macerone» (Smyrnium olusatrum L.)
e con l’altro garuléu, galuréu, galiléu «pòlline dei fiori, pòlline depositato nel miele» (che è di
colore "giallo oro"), tutti da confrontare - non derivare – col
fitonimo etrusco garouleou
«crisantemo» (LELN 100; OPSE 102, 116, 143, 211-212; LISPR, DETR 93) e infine probabilmente col greco chlorós «giallo» (indeur.; GEW, DELG).- Con quest'ultimo accostamento è molto
probabile che trovi la sua esatta spiegazione il fatto che nell'Ottocento e nel
Novecento viaggiatori forestieri definivano Cagliari "gialla", colore
che veniva attribuito alla città perché la roccia della sua roccaforte "il
Castello" - che in quei tempi era di certo assai più visibile di adesso -
era per l'appunto "gialla". Si veda Alberto La Marmora, Itinerario
dell'isola di Sardegna,
(Cagliari 1868) pg. 14: «color
bianco giallastro della roccia calcarea»; pg. 25: «La pietra calcarea di
quest'edifizio [la Torre dell'Elefante] è tirata dall'antica pietraja di
Bonaria, pietra forte giallastra. Vedi Parte Terza, descrizione Geologica: cap.
VII, pg. 257». Grazia Deledda nel 1899, nella rivista Natura ed Arte, num. 12, scriveva testualmente: «Cagliari è
fatta di case giallastre» (G. Deledda, Versi e prose giovaninili, a cura di A. Scano, Milano 1938, pg. 218).
Ma anche in epoca più recente, cioè nel 1932, Elio Vittorini definiva Cagliari
«È fredda e gialla. Fredda di pietra e d'un giallore calcareo africano». E
infine lo storico Francesco Alziator, avendo detto che «Per qualche secolo
Bonaria è stata la cava dalla quale venivano fuori le pietre per le case e la
breccia per le strade», specifica dicendo «Bonaria era una collina nudarella di
calcare (....) che a primavera ricopriva il suo squallore giallastro con una
grande infiorata di gigli» (L’elefante sulla torre, Cagliari 1979, pg. 217). In conclusione è
molto probabile che in origine Karalis/Caralis significasse «(la Roccia o Rocca) Gialla»
(corrige LCS I cap. I).-
La trasformazione dell'antico toponimo in quello attuale è di certo avvenuta
attraverso le seguenti fasi, tutte storicamente documentate: Caralis >
Calaris > Callari > Cagliari.
L'ultima forma del toponimo è effetto della pronunzia spagnola della penultima
(la quale si riscontra tuttora a Ollolai). In epoca classica il toponimo
ricorreva spesso nella forma del plurale: Karales, Carales. Come capitava per altre città antiche, il
plurale voleva indicare la grande estensione della città; ed è quanto aveva
segnalato lo stesso Claudiano, quando aveva scritto: tenditur in longum
Caralis «Cagliari si
distende in lunghezza».- Risale
già all'epoca romana la forma del suo etnico Caralitanus e Carallitanus (RNG 309), con una ambigua intensità della consonante
liquida che trova riscontro anche nelle forme del toponimo Calari e Callari e perfino nella pronunzia di quella
consonante nell'odierno dialetto campidanese.
Bonaria (santuario di Cagliari dedicato alla omonima
Madonna) - Tutti i Cagliaritani e tutti i Sardi, escluso qualcuno che sia
fornito di una certa cultura storica, sono convinti che questo toponimo
significhi «Buona Aria»; si tratta però di una convinzione del tutto errata, la
quale è effetto di una vecchia paretimologia od etimologia popolare e di una
conseguente errata traduzione nel catalano Bon Aire. In realtà l’antica denominazione del luogo
era Bagnaria, che era un
adattamento pisano dell'originario appellativo lat. balnearia «bagni, bagni pubblici» (vedi Bangiargia). Ed infatti nella zona sono stati trovati i
resti di terme romane, fra cui un bel mosaico, raffigurante divinità marine e
adesso conservato nel Museo Archeologico di Cagliari. D'altra parte si deve
considerare che nel secolo scorso il La Marmora, constatando l'impaludamento
del mare in quel sito, affermava che si sarebbe dovuto mutare il suo nome di Bonaria in quello di Malaria! Comunque, nonostante quel macroscopico errore
di interpretazione e di traduzione, è un fatto che il toponimo sardo ha avuto
una storia del tutto imprevedibile e addirittura straordinaria: il culto della
cagliaritana Madonna di Bonaria,
una volta diventata la catalana Madonna di Bon Aire, si è diffuso nella Spagna e in particolare a
Siviglia con la nuova denominazione castigliana di Nuestra Señora de los
Buenos Aires. Non solo, ma
proprio sotto la protezione e col nome di questa Madonna fu fondato dai coloni
spagnoli quello stanziamento nell'America meridionale, che finirà col diventare
la odierna capitale dell'Argentina Buenos Aires e inoltre una omonima città della Colombia e
una di Costa Rica... Con le quali traversie linguistiche e storiche non deve
sfuggire a nessuno di considerare quanto siano importanti le parole, anche
quando sono interpretate male!
Buon Cammino, Nostra Signora del Buon Cammino, Nostra
Segnora de su Caminu Bonu -
Questo culto religioso esiste a Cagliari, Barì, Dorgali, Bitti e Santa Teresa.
In realtà tale denominazione costituisce la traduzione del vocabolo greco-bizantino
Hodēgétria «Conduttrice,
Accompagnatrice», vocabolo che pronunziato Odighítria ha dato luogo al sardo (Nostra Segnora
d') Itria (vedi). È del
tutto comprensibile l'ampia diffusione di questo culto nella Sardegna del
passato: chi si metteva in viaggio, a cavallo o molto più spesso a piedi,
correva di frequente il rischio di imbattersi in briganti appostati in punti
particolari delle strade; da ciò derivava l'uso comune tra i viandanti di
invocare, prima di mettersi in viaggio, la protezione di Nostra Signora d'Itria
o del Buon Cammino. Vedi
Ittiri.
Cala Mosca (Cagliari) – È una insenatura del Capo di Sant’Elia. Il toponimo è molto
probabilmente la traduzione italiana di un precedente sardo Cala ‘e Musca «Insenatura delle mosche», il quale presenta
un singolare di valore collettivo, tipico della lingua sarda.
Elmas (dizione locale su Masu) (nel Campidano di Cagliari) - Il toponimo, nella sua forma sarda, deriva dal tardo lat. ma(n)su(m) «maso, fondo agricolo», a sua volta da mansus-a-m participio del verbo manere «rimanere, risiedere». La odierna forma
ufficiale del toponimo non è altro che la traduzione della forma sarda in
quella catalana el Mas,
nella quale l'articolo è stato col tempo agglutinato e l'accento è stato
ritratto indietro. Per il vero Emidio De Felice (CS 95) sostiene che la forma sarda su Masu sia la traduzione del catalano el Mas, mentre a me sembra molto più ovvia la tesi
opposta. È difficile infatti pensare che i Sardi procedessero a tradurre in
sardo una locuzione catalana, che molti di essi neppure comprendevano, mentre
l'operazione inversa è molto più ovvio che venisse fatta dai Catalani residenti
a Cagliari. Si pensi ai casi dei toponimi sardi Muristeni, is Pratzas e S’Alighera tradotti rispettivamente nei catalani e
spagnoli Monastir, Las Plassas e
l'Alguer (vedi).
Genneruxi (sito urbano di Cagliari) – Si tratta di un
toponimo composito da distinguere in Genn' 'e Ruxi, che significa «porta della Croce», dal
camp. genna «porta», a
sua volta dal lat. *ienua
per ianua (REW 4575) e ruxi «croce», a sua volta dal lat. cruce(m)
(DILS). Il sito era uno degi
ingressi a Cagliari dal Campidano di Quartu e avrà avuto una croce simile a
quella odierna di Sant’Avendrace.
Lapola, La Pola (Cagliari) – Antico nome del quartiere di
Cagliari ora chiamato La Marina.
Si tratta del vocabolo pisano mediev. làppola, che significava «palizzata» (DEI 2168), con lo spostamento dell'accento in avanti. Ed
infatti G. F. Fara, nella Chorographia Sardiniae (206.20-25) parla del rione di Lapola seu Marina, che era difeso dalla parte della riva del
mare da una Palisada (cfr.
F. Alziator, L’Elefante sulla torre,
Cagliari 1979, pg. 125).
Macchiareddu (Assemini, CA) - La etimologia di questo
toponimo è stata brillantemente data da Francesco Alziator, I giorni della
laguna, Cagliari 1977, pg.
70: deriva da Macarieddu,
diminutivo di Macáriu,
che «riporta al noto gruppo degli agiotoponimi diminutivi come Aleni
Alenixedda, Perdu
Perdixeddu, Giorgi Giorginu, Maddalena Maddalenedda, ecc., con i quali si indicava la cappella o la
chiesetta che portava il nome di una chiesa maggiore».
Mirrionis, is, (rione di Cagliari) - In origine era il nome di una collina che
sovrastava la Piazza d'Armi e che ormai è praticamente scomparsa dopo che fu
usata a lungo come cava di pietre. Il toponimo significa «gli Elmi»,
probabilmente perché i soldati spagnoli svolgevano nel sito le loro
esercitazioni militari. Il sardo mirriòne,-i «morione, elmo» deriva dallo spagn. morrión
(DILS 641).
Molentargius, is, (Molentárgius)
(stagno fra Cagliari e Quartu) - Questo idronimo significa «gli asinai o
conduttori di asini» e deriva dall'appellativo molènte/i «asino», letteralmente «che gira la mola», a
sua volta dal lat. molere
«macinare» (DILS). In
passato in quella zona i conduttori di asini erano molto numerosi e
indispensabili per il trasporto del sale che veniva estratto dalle saline
vicine (CS 66).-
Considerata la stretta connessione che si vede intercorrere fra Molentargius ed Assinarium (probabilmente *Asinarium), nome di un centro abitato che l'Anonimo Ravennate (26, 25) cita immediatamente ad oriente di Cagliari, è
lecito supporre che questa fosse una seconda denominazione del villaggio di Quartu (vedi), oppure un suo sobborgo.
Palabanda: toponimo da intendersi come Pala 'e banda «costa di lato». E' il costone di roccia che va dall''Orto Botanico all'Anfiteatro romano (1).
Palabanda: toponimo da intendersi come Pala 'e banda «costa di lato». E' il costone di roccia che va dall''Orto Botanico all'Anfiteatro romano (1).
Pirri (sobborgo di Cagliari). L’abitante Pirresu
- È molto probabile che il
toponimo derivi dall'antroponimo romano Pirrius o Pyrrh(i)us (RNG) (al vocativo) oppure dalla locuzione lat. (villa)
Pirri «(tenuta) di Pirr(i)o»
(in genitivo). Risulta accertato che in Sardegna numerosi Romani avevano il
possesso di latifondi, che sfruttavano per mezzo di coloni e schiavi e che
quasi sempre amministravano non direttamente, bensì con liberti, mentre essi
continuavano a vivere a Roma o in Italia (UNS num. 11). L'antroponimo lat. Pyrr(h)us è documentato in una iscrizione rinvenuta a
Cabras (OR) (ANRW B 59).- Il
villaggio apparteneva alla curatoria e alla diocesi di Cagliari ed è citato in
numerosi documenti medievali, ad es. nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS I
414/1, 420/1), nel Codice
Diplomatico delle relazioni fra la Sardegna e la S. Sede (CDSS 461), in RR 1323, 428, in CREST VII 20, ed ovviamente nella Chorographia
Sardiniae (212.4) di G. F.
Fara per gli anni 1580-1589. (Day 15).
Plaja, la, (Cagliari)
- È la striscia di terra che separa la laguna di Santa Gilla dal mare. Il
toponimo deriva dall'appellativo spagn. playa «spiaggia» (DILS).
Veduta del Poetto, Cagliari. |
Poetto, il, (pronunzia locale su Poéttu) (spiaggia di Cagliari) - Il toponimo deriva
dal catal. pouet,
diminutivo di pou «pozzo»
(DILS). «Esso è già
registrato nei disegni annessi alla Descrizione della Sardegna di Rocco Cappellino del 1577 nella forma
originaria catalana Pouet» (CS 94).
Scaffa (2), la, (Cagliari, sito dell'istmo che separa la laguna di Santa Gilla dal mare) - Il toponimo significa «barca» e deriva dall’ant. ital. scafa (DILS). Prima che le bocche o i varchi di quell'istmo venissero scavalcati dagli odierni ponti, venivano attraversati dai viandanti con altrettante barche condotte da "passatori", che facevano il servizio di spola a pagamento.
Stampace (Stampaxi) (rione di Cagliari, ai piedi del colle del
Castello). L’abitante Stampaxinu -
Il toponimo deriva probabilmente dalla locuzione sta in pace «riposa in pace» (Pais, Rom. 357), perché nella zona esistevano numerose tombe
rupestri, anche di epoca molto antica. Però c’è l'incertezza se il toponimo sia
una formazione locale oppure sia derivato dall'omonimo rione Stampace di Pisa (VSG).- Il centro abitato compare parecchie volte
nel Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS 381/2, 382/1, 414/1, 420/1, 678/1,
679/1); poi negli elenchi
delle parrocchie della diocesi di Cagliari che nella metà del sec. XIV
versavano le decime alla curia romana (RDS 994, 1457, 1463, 1477, 1535,
1802, 2371) ed anche nel Codex
Diplomaticus Ecclesiensis (CDE 556, 557, 570, 627, 1029). Ed è citato pure nella Chorographia Sardiniae
(206.20,21) di G. F. Fara
(anni 1580-1589).
Sant'Arennera (Arènnera) altro nome del rione di Sant'Avendrace di Cagliari (vedi) - In origine si trattava
del nome di Sancta Venera,
martire, secondo una tradizione leggendaria, in Sicilia, dove è venerata in
parecchie località (DNI 350).
Ma a Cagliari il nome di Santa Vènera si è trasformato prima in Santa Tènnera e dopo in Sant'Arènnera. Evidentemente esisteva nel rione una chiesa
dedicata a questa ipotetica santa, di cui però non resta né si ricorda nulla.
Sant'Avendrace (rione di Cagliari) - Sarebbe questo il nome
di un molto ipotetico vescovo di Cagliari, neppure riconosciuto come santo
dalla Chiesa, ma che comunque ha una sua chiesa e dà il nome a un intero rione
della capitale della Sardegna. L'etimologia di questo agionimo o nome di santo
è stata prospettata da G. Paulis, «Africa Romana», VII, 1989, 625-627): deriva
dal nome personale greco-bizantino Euandráki(on), diminutivo di Éuandros «Evandro» (da éu «bene, buono» e anér, andrós «uomo», quindi "uomo di alte
doti"). Questo in età bizantina veniva pronunziato Evandráki, donde per metatesi vocalica Avendráki, da cui infine l'odierno Avendráce. (Day 17; F. Alziator, Giorni sulla
Laguna, passim. Vedi Sant'Arennera.
Terramaini, Canale di Terramáini (Cagliari) - Il toponimo è da scomporre in Terr'
('e) máini, che in dialetto
campidanese significa «terra argillosa», il cui secondo componente (privo di
etimologia nel DES I 56),
deriva dal lat. imagine(m)
«immagine, figura». Pertanto terramáini significa letteralmente «terra da figurare, argilla fittile»
(DILS 603).
Tuvixeddu, Tuvu Mannu (rione di Cagliari) – I due toponimi sono
rispettivamente il diminutivo e l’accrescitivo di tuvu «buco, cavo o cavità sul terreno o su
alberi», il quale deriva dal lat. *tufus, forma osca di tubus (DILS 953). Siccome questo sito di Cagliari è
caratterizzato da numerose tombe di epoca punica (non fenicia!) ed anche
romana, evidentemente coi vocaboli Tuvixeddu e Tuvu Mannu ci si riferiva, al singolare con valore
collettivo, a «tombe rupestri piccole oppure grandi».
Urpinu, Mont'Urpínu (colle di Cagliari) - L'aggettivo sardo (g)urpínu,
(g)úrpinu-a «del colore
della volpe, rossastro-a», «malizioso-a», deriva da (g)urpe «volpe», il quale a sua volta deriva
regolarmente dal lat. vulpes (DILS).
Ebbene è probabile che Mont'Urpinu significhi
«Monte Volpino», con un riferimento o alla particolare presenza di volpi oppure
al colore del terreno o della vegetazione prevalente od infine ad una
particolare pianta. Nel Condaghe di Bonarcado infatti è citato un fitonimo/toponimo Cinniga
Ulpina «giunco volpino» (CSMB
1 c4t) (vedi Zinnigas).
Vega, la, (sito e via, Cagliari) – Il toponimo
corrisponde all'appellativo vega, (b)ega «valle acquitrinosa» (Sant’Antioco, Fluminimaggiore,
Villacidro); vega de arángius
«aranceto», che deriva dallo spagn. vega «pianura umida e fertile». Il Wagner (LS 274, DES I 192, II
607) ha giudicato questo
appellativo un "relitto iberico da ascrivere alla lingua dei Balari
iberici", perché si è ingannato nel ritenerlo precedente all'influsso
spagnolo sulla lingua sarda. In realtà l’appellativo bega ricorre due volte, ma in un solo passo,
nelle Carte Volgari
campidanesi (CV II 2),
che sono dei secoli XI-XIII, però è ormai certo che esse hanno subìto
interpolazioni anche due secoli dopo (SSM XIV). D'altronde sarebbe veramente strano che un
vocabolo ritenuto di lontana matrice "iberica" fosse attestato a
Sant'Antioco e a Cagliari e non nella Sardegna interna. Pertanto cadono del
tutto le lunghe discussioni che sono state condotte su questo vocabolo da
alcuni linguisti (DILS 963).
Villanova (Bidda Nòa) (rione di Cagliari). L’abitante Biddanoesu
– Sembra che il rione abbia
preso questo nome dal fatto che, quando i Pisani si stanziarono nel Castello, i
Cagliaritani furono costretti a sloggiare e quindi si trasferirono a Villanova (VSG).**
Massimo
Pittau
**Estratto da M. Pittau, I toponimi della
Sardegna – Significato e origine,
Sassari 2011, Editrice
Democratica Sarda, EDES.
(1) La Rivolta di Palabanda - Nel 1812, Cagliari e la Sardegna furono colpiti da una grande siccità
che distrusse i raccolti e provocò una grave carestia che coincise con
una epidemia di vaiolo.
Quell'anno diventerà proverbiale ed è ancora ricordato come “Su famini de s'annu doxi”.
Nel capoluogo si trovava il re Vittorio Emanuele I con il suo seguito in quanto il Piemonte era occupato dai francesi, per questo sui sardi si abbatterono nuove tasse per le spese della corte.
Il popolo esasperato decise di ribellarsi, i congiurati si riunirono in un podere di proprietà dell'avvocato Salvatore Cadeddu, segretario dell’Università e tesoriere del municipio, situato nella località di Palabanda, nella zona in cui oggi sorge l'orto botanico.
L'intento era quello di cacciare i pubblici funzionari e i cortigiani che stavano portando la Sardegna alla rovina.
Erano a capo della congiura anche i figli del Cadeddu, Gaetano e Luigi, gli avvocati Francesco Garau e Antonio Massa, il sacerdote Antonio Muroni, l'insegnante Giuseppe Zedda, il conciatore di pelli Raimondo Sorgia, il sarto Giovanni Putzolu, il pescatore Ignazio Fanni ed il panettiere Giacomo Floris.
Il piano ordito dai congiurati consisteva nell’organizzare un’insurrezione nella notte tra il 30 ed 31 ottobre 1812, che doveva portare all’occupazione delle porte di Stampace e Villanova e all’espugnazione di Castello, passando dalla porta di Sant'Agostino lasciata aperta dai soldati di guardia favorevoli alla causa.Ma la notizia della cospirazione arrivò all'avvocato del fisco Raimondo Garau che informò il re ed il colonnello Villamarina che allertò i militari ai suoi ordini: Il panettiere Giacomo Floris fu uno dei primi a rinunciare quando incontrò una pattuglia di piemontesi e così fecero alcuni suoi amici.
Il sarto Giovanni Putzolu e alcuni compagni mentre si aggiravano nelle stradine di Stampace furono intercettati dal colonnello Villamarina e Putzolu, vistosi perduto, puntò una pistola contro il comandante ma i suoi amici gli impedirono di sparare.
S. Cadeddu, Putzolu e Sorgia furono giustiziati; G. Cadeddu, il Floris e P. Fanni morirono in carcere; Gaetano Cadeddu, Garau e Zedda furono condannati a morte in contumacia.
Gli atti del processo scomparvero quasi subito dagli archivi e circolava voce che gli imputati avessero fatto, durante gli interrogatori, il nome di Stefano Manca di Villahermosa, alto funzionario della corte di Carlo Felice, quale capo segreto della rivolta.
La congiura del 1812 fu definita “borghese”, in quanto coinvolse quegli ambienti legati alla corte del fratello del re, Carlo Felice, messa in ombra dopo l’arrivo di Vittorio Emanuele I e dei suoi collaboratori. I fatti del 1812 rappresentano l’ultimo segnale di ribellione della borghesia dell’isola, successivcamente sempre più subalterna alla Corona.
Una lapide nel luogo dove si riunivano, ora inglobato nell'Orto Botanico di Cagliari, ricorda il sacrificio, la spietata repressione di questi sardi e il loro ideale di libertà.
(2) E' perlomeno curiosa la varietà di significati che la parola possiede in altre lingue e dialetti. Dal Vocabolario Treccani:
scaffa s. f. [dal longob. skafa; cfr. scaffale].
1. dial. Ripiano, scaffale.
2. In alpinismo, stretto ripiano sporgente nella roccia di pareti scoscese, generalmente più largo della cengia. ◆ Dim. scaffétta, nel sign. 2.
In dialetto Siciliano: scaffa s.f. "La scaffa è nu purtusu nnâ strata" (la scaffa è un buco nella strada, cioé una depressione improvvisa e di varia entità nel piano di calpestìo: una cavità che riporta alla forma concava di uno scafo).
Democratica Sarda, EDES.
Sa Scaffa, visione d'artista (D. Baraldi)
NOTE
|
Quell'anno diventerà proverbiale ed è ancora ricordato come “Su famini de s'annu doxi”.
Nel capoluogo si trovava il re Vittorio Emanuele I con il suo seguito in quanto il Piemonte era occupato dai francesi, per questo sui sardi si abbatterono nuove tasse per le spese della corte.
Il popolo esasperato decise di ribellarsi, i congiurati si riunirono in un podere di proprietà dell'avvocato Salvatore Cadeddu, segretario dell’Università e tesoriere del municipio, situato nella località di Palabanda, nella zona in cui oggi sorge l'orto botanico.
L'intento era quello di cacciare i pubblici funzionari e i cortigiani che stavano portando la Sardegna alla rovina.
Erano a capo della congiura anche i figli del Cadeddu, Gaetano e Luigi, gli avvocati Francesco Garau e Antonio Massa, il sacerdote Antonio Muroni, l'insegnante Giuseppe Zedda, il conciatore di pelli Raimondo Sorgia, il sarto Giovanni Putzolu, il pescatore Ignazio Fanni ed il panettiere Giacomo Floris.
Il piano ordito dai congiurati consisteva nell’organizzare un’insurrezione nella notte tra il 30 ed 31 ottobre 1812, che doveva portare all’occupazione delle porte di Stampace e Villanova e all’espugnazione di Castello, passando dalla porta di Sant'Agostino lasciata aperta dai soldati di guardia favorevoli alla causa.Ma la notizia della cospirazione arrivò all'avvocato del fisco Raimondo Garau che informò il re ed il colonnello Villamarina che allertò i militari ai suoi ordini: Il panettiere Giacomo Floris fu uno dei primi a rinunciare quando incontrò una pattuglia di piemontesi e così fecero alcuni suoi amici.
Il sarto Giovanni Putzolu e alcuni compagni mentre si aggiravano nelle stradine di Stampace furono intercettati dal colonnello Villamarina e Putzolu, vistosi perduto, puntò una pistola contro il comandante ma i suoi amici gli impedirono di sparare.
S. Cadeddu, Putzolu e Sorgia furono giustiziati; G. Cadeddu, il Floris e P. Fanni morirono in carcere; Gaetano Cadeddu, Garau e Zedda furono condannati a morte in contumacia.
Gli atti del processo scomparvero quasi subito dagli archivi e circolava voce che gli imputati avessero fatto, durante gli interrogatori, il nome di Stefano Manca di Villahermosa, alto funzionario della corte di Carlo Felice, quale capo segreto della rivolta.
La congiura del 1812 fu definita “borghese”, in quanto coinvolse quegli ambienti legati alla corte del fratello del re, Carlo Felice, messa in ombra dopo l’arrivo di Vittorio Emanuele I e dei suoi collaboratori. I fatti del 1812 rappresentano l’ultimo segnale di ribellione della borghesia dell’isola, successivcamente sempre più subalterna alla Corona.
Una lapide nel luogo dove si riunivano, ora inglobato nell'Orto Botanico di Cagliari, ricorda il sacrificio, la spietata repressione di questi sardi e il loro ideale di libertà.
(2) E' perlomeno curiosa la varietà di significati che la parola possiede in altre lingue e dialetti. Dal Vocabolario Treccani:
1. dial. Ripiano, scaffale.
2. In alpinismo, stretto ripiano sporgente nella roccia di pareti scoscese, generalmente più largo della cengia. ◆ Dim. scaffétta, nel sign. 2.
In dialetto Siciliano: scaffa s.f. "La scaffa è nu purtusu nnâ strata" (la scaffa è un buco nella strada, cioé una depressione improvvisa e di varia entità nel piano di calpestìo: una cavità che riporta alla forma concava di uno scafo).