mercoledì 3 luglio 2013

Sardegna Antica, Genetica e il Prof Pittau


Acquisizione, Divulgazione e Comprensione dei risultati genetici.

di Maurizio Feo

In seguito alla pubblicazione, su Sardegna Antica, d’alcuni appunti di Genetica di Popolazioni applicata alla Storia della Tirrenia Antica, è stata mossa una precisa critica dal professor Massimo Pittau, forse condivisa anche da altri lettori…
In sostanza, questo è il problema: chi non è un esperto di Genetica, si trova di fronte a studi ostici, che riportano tesi talvolta apparentemente contrastanti e ciò crea confusione e disappunto.
Si chiede di chiarire se gli studi genetici neghino, oppure confermino, una parentela tra Protosardi ed Etruschi[1].

Purtroppo – si deve ammettere – esistono problemi per quanto concerne l’acquisizione, la divulgazione e la comprensione dei dati genetici di popolazione.
La tecnologia necessaria per gli studi genetici ha fatto balzi da giganti, per cui non è più un limite ai progressi nel campo. I problemi sono d’altra natura (oltre a quelli economici, sempre presenti). Prima di tutto, il Genoma Umano è stato codificato solo di recente[2]. Ne consegue che il numero ridotto degli esseri umani realmente studiati fino a qui – poco più di 10.000 soggetti in tutto il mondo – non è realmente rappresentativo di tutta l’umanità, 6.5 miliardi di persone. Inoltre, i dati ottenuti devono essere omogenei e comparabili, cioè ottenuti con le stesse tecnologie, la stessa etica metodologica, nelle stesse cornici di tempo e devono essere ripetibili[3]. Infine, esiste una certa urgenza. Questa è in parte spiegabile dall’estinzione culturale di massa che il procedimento d’amalgama globale sta ineluttabilmente portando, cancellando la biodiversità preesistente[4]. Uno dei sintomi è dato dall’estinzione delle lingue: prima del 1500, all’inizio delle grandi esplorazioni europee, esistevano 15000 lingue diverse. Oggi ne restano 6.000. La previsione – pessimistica – è che il 90% di queste potrebbe andare perduta per la fine del secolo in corso[5].
Un’altra spiegazione dell’urgenza è data da interessi non scientifici che spingono ad arrivare per primi alla vetrina della notorietà: non scordiamoci che grandi ritorni economici sono previsti e coinvolti nella ricerca genetica. C’è anche un fenomeno di “tendenza”.
La ricostruzione dei propri alberi genealogici e filogenetici è diventato il secondo hobby dei nord americani (dopo il giardinaggio), tanto che “genetica” è la seconda voce più ricercata nell’internet. La spinta maggiore alle nuove ricerche viene da lì: il Genographic Project di Spencer Wells, sponsorizzato dalla National Geographic Foundation, ha già raccolto poco meno di 200.000 campioni da soggetti diversi, uniti dal desiderio di conoscere le proprie origini, da quelle intermedie europee fino a quelle più arcaiche, ovunque esse siano…
In Italia questa moda sta timidamente arrivando, ma per il momento la Genetica è vista con dosi uguali di confusione, incomprensione e diffidenza. In più, si parla sempre più a sproposito di DNA, persino pubblicizzando prodotti commerciali. Ciò porta anche ad esprimere un certo scetticismo riduzionista su quali possibili certezze possano provenire da studi complicati e poco comprensibili ai più, di genetica di popolazione[6]. Questo scetticismo è condiviso da molti,  in ambito scientifico e no…
Rispondere, inoltre, non è semplice, perché – purtroppo – è molto facile essere fraintesi. Si trattano, fra l’altro, temi d’elevata conflittualità, nei quali orgoglio (nazionale e personale) e mancanza d’unità spesso giocano ruoli importanti e rendono meno sereni i giudizi[7]
Per comprendere la risposta, sarebbe anche necessario conoscere  almeno i fondamenti della Genetica generale e della Genetica di popolazioni. E, se non è il caso di fare un corso di genetica, qui, almeno qualche richiamo sarà utile[8].

Differenza tra individui e popolazione. Gli individui posseggono, nel proprio patrimonio genetico, alleli e genotipi, che si esprimono nel fenotipo esterno, che noi tutti possiamo vedere e su cui basiamo i nostri giudizi estetici e talvolta – purtroppo – discriminanti e razzisti[9]. Ma ciascun individuo resta – geneticamente – ciò che era alla nascita, per tutta la propria vita. È noto che ogni individuo possiede un mtDNA, (o DNA mitocondriale, citoplasmatico, che può essere  usato per rintracciare la linea femminile dei suoi anteneati), mentre il DNA del cromosoma Y (che determina il sesso maschile ed è assente nelle donne, le quali se la cavano egregiamente anche senza) permette di rintracciare gli ascendenti maschili. Gli altri componenti del DNA, contenuti negli altri cromosomi, si combinano variamente (quasi mescolandosi come le carte in un mazzo), ma il mitocondriale e l’Y non lo fanno[10]. Questi due tipi di DNA sono soprannominati DNA uniparentale o non ricombinante e offrono numerosi vantaggi: innanzitutto, una forte strutturazione geografica (in misura differente: la migrazione femminile è da sempre stata maggiore di quella maschile)[11]; mtDNA è  inoltre di piccole dimensioni e già presente in molte copie in ogni singola cellula (ogni cellula possiede molti mitocondri) e pertanto agevola lo studio.
Il numero delle mutazioni[12] accumulate in regioni cromosomiche non ricombinanti è stato utilizzato come “orologio molecolare”, con metodi induttivi poco graditi agli scettici[13].
Una popolazione, invece, è caratterizzata dalla frequenza dei diversi genotipi e dei diversi alleli[14] presenti nel suo contesto, che la distinguono dalle altre. S’intende quindi che una popolazione può cambiare, nel corso del tempo. Una popolazione si dice in equilibrio, quando le sue frequenze geniche sono prevedibili dalle sue frequenze alleliche e queste ultime non cambiano nelle generazioni. Una popolazione in equilibrio non evolve.
Le cause di un disequilibrio sono, cioè, fattori dell’evoluzione.
Le popolazioni possiedono frequenze alleliche e frequenze genotipiche, che le contraddistinguono. Le variazioni nel tempo delle frequenze alleliche sono oggetto di studio della genetica evoluzionistica, che ricostruisce alberi filogenetici con significato storico geografico.
Le condizioni perché una popolazione resti in equilibrio, oppure si evolva sono riassunte nella tabella sottostante, ove compaiono, contrapposti i fattori che agiscono in senso contrario:

1 Incroci casuali.                                                                Inbreeding (incroci fra consanguinei).
2 Una popolazione grande.                                               Deriva genetica (popolazione piccola).
3 Un tasso di mutazione trascurabile.                                 Mutazione (da pressione ambientale).
4 Una migrazione trascurabile.                                                 Migrazione (apporto di altri geni)
5 Una mortalità indipendente dal genotipo.                                                     Selezione naturale.
6 Una fertilità indipendente dal genotipo.                                                        Selezione naturale.


Nella seconda serie (corsivo) figurano fattori che i Sardi – intesi come popolazione –  hanno conosciuto molto da vicino, in vari periodi antichi o recenti, nel corso della loro storia. Sono proprio questi fattori, quelli che hanno in più tappe ed in modi differenti cambiato profondamente il patrimonio genetico isolano, fino a farlo diventare ciò che esso è oggi: il genoma semplificato di una popolazione che è un isolato genetico, differente da qualsiasi altro, così distante da qualsiasi altra popolazione – in termini di distanze genetiche – da non potere essere rappresentato sulle carte cromatiche di gradiente, create a suo tempo dal prof. Piazza per l’Italia[15]. Mentre in tutta la Penisola e la Sicilia si avevano gradazioni di colore che sfumavano l’uno nell’altro a seconda delle differenti frequenze geniche, la Sardegna mancava del tutto, oppure appariva bianca, con tante scuse da parte dell’autore per il disappunto dei lettori sardi[16].
Il che non esclude affatto che i sardi siano persone normali, sia ben chiaro questo. Significa, però, che nel loro patrimonio biomolecolare esistono, oggi, peculiarità assolute. Alcune di esse possono essere utili in campo medico, per esempio nella prevenzione e terapia delle malattie ereditarie, oppure nella ricerca delle cause della longevità. Altre, possono essere sfruttate per chiarire idee confuse sulla loro provenienza. È chiaro che si debba dare la priorità alle ricerche più eticamente importanti. Vi sono in gioco anche, come si è detto, interessi economici enormi.
Ma noi occupiamoci soltanto della questione affinità tra Sardo-Etrusca e dei loro percorsi storico geografici.

La “Deriva Genetica”.
Uno dei fattori che sono stati citati più spesso, come responsabili dell’unicità del genoma sardo, è l’effetto “bottle neck”. Esso consiste in un episodio, (migrazione, carestia, epidemia, guerra, glaciazione o altro) che può modificare grandemente il patrimonio genetico di una popolazione, generalmente non molto grande. Conviene descriverlo: se s’immagina il patrimonio genetico di una popolazione come costituito da 100 palline colorate contenute in una bottiglia, l’episodio accidentale che incide sul patrimonio stesso è rappresentabile con l’atto di versarne alcune fuori attraverso il collo di bottiglia, e poi di riporre la bottiglia. Poniamo che vi siano geni molto comuni e numerosi, le palline blu (70%); altri meno frequenti, le palline rosse (10%)  e gialle (19%); altri rari, una pallina bianca (1%). Il risultato del fatto accidentale è dato dal caso: statisticamente è molto probabile che, nella nostra popolazione nuova, si trovi qualche pallina blu (6). Forse, ce ne sarà qualcuna gialla (3). Potrebbe darsi il caso che vi si trovi la pallina bianca e nessuna rossa. Avremo così una popolazione sopravvissuta all’evento, con una composizione genetica molto diversa da quella d’origine, sia in sostanza (totale assenza di palline rosse), sia in percentuale (molto più elevata per le palline bianche: da 1% a 10% e per le gialle, da19% a 30%, ridotta da 70%a 50% per le blu). In casi severi, l’effetto collo di bottiglia può condurre all’estinzione[17]
È necessario riportare le date di possibili eventi simili per i Sardi?  Eccole, di seguito.
- Durante il periodo dell'invasione romana. Nel 174 a.C. Tiberio Sempronio Gracco[18], si vantò di avere ucciso o resi schiavi circa 80.000 sardi tra il 177 ed 176 a.C. Ammesso che tale dato possa essere credibile (in quanto appare inverosimile a molti)[19], la conseguente riduzione della popolazione complessiva potrebbe essere stata compresa tre il 27% o oltre il 50% a seconda della stima adottata per il periodo, rispettivamente: 300.000  (Pais)[20]  o 150.000 individui (Meloni)[21],  quest’ultima sembrando più verosimile.
- Dal 1320 al 1350. Secondo Day[22] la popolazione sarebbe diminuita da 190.000 a 89.000 individui, con un decremento dunque del 53% , a causa della peste epidemica (Fermi, 1934)[23] e nel 1347-1348 (Loddo Canepa, 1933)[24]; Day 1987; (Livi 1984)[25], (Del Panta 1980)[26].
- Dal Censimento fiscale spagnolo del 1583/1603 a quello del 1627. Si rileva un effettivo impoverimento demografico di molti centri montani della zona centrale dell'Isola (Serri, 1997)[27], fino al 55% in alcune zone, malgrado il fatto che la popolazione globale mostri un lieve incremento.
- Dal Censimento fiscale spagnolo del 1627 a quello del 1655. In questo caso, le cause furono carestia (1644) e peste (dal 1652 al 56) (Corridore, 1902)[28].  Anatra e Puggioni (1997)[29] suggeriscono un decremento della popolazione del 26% tra il 1627 ed il 1655, con un passaggio da 297.424 a 220.617 individui.
- Dal Censimento fiscale spagnolo del 1678 a quello del 1688. Il decremento, di circa il 19%, sarebbe stato causato da una terribile e tragica carestia avvenuta in Sardegna nel 1680-1681 (Del
Panta, 1980, op. cit.).
La Barbagia di Ollolai è la zona storico-geografica della Sardegna maggiormente colpita da ripetuti e forti decrementi di popolazione (tra due Censimenti spagnoli almeno del 40%). La Barbagia di Ollolai costituirebbe secondo alcuni, il “cuore” della cosiddetta area dei Proto-Sardi (Cappello et al. 1996)[30]. Altri decrementi di popolazione, e dunque altri effetti bottleneck nelle comunità sarde, possono essere avvenuti anche in altri periodi (Angioni et al., 1997)[31] e ciò rafforza l’ipotesi che la specificità biologica mostrata dalla popolazione delle zone interne dell’Isola, possa essere una conseguenza dell’azione congiunta della deriva genetica e degli elevati tassi di endogamia (cioè, l’inbreeding) e consanguineità registrati per queste comunità sino alla metà del XX secolo (Sanna et al., 2004)[32]. Mutazioni e selezione naturale sono state abbondantemente descritte nel già citato articolo del numero 18, ma vale la pena di ricordare che l’ambiente  ha sicuramente avuto un potente effetto sul patrimonio genetico dei Sardi: basti pensare anche soltanto alle mutazioni indotte dalla Malaria. Quest’ultima ha sicuramente influito anche sulla mortalità della popolazione e molto ridotto l’impatto della migrazione [33]successiva. Si valuti, tra l’altro, che stiamo riferendoci – per tutte le epoche – ad una popolazione di ridotto numero globale, sulla quale molti dei fenomeni citati vedono statisticamente amplificare la portata dei loro effetti. È infatti più facile avere 7 volte “testa” su 10 lanci di una moneta, che averne 700.000 su un milione.


Prima dello sbarco.
Verosimilmente, questo è ciò che è successo dopo che i Sardi si sono stabiliti nell’isola. Ma prima?
È opinione comune che, prima, si sia verificato l’effettivo viaggio per mare verso la Sardegna, che ha portato i geni dei Sardi nell’isola (arricchendo il genoma locale eventualmente presente con l’effetto migrazione)[34]. Prima della partenza (da una località sita probabilmente ad Est della Sardegna), il genoma dei Sardi era probabilmente ancora un genoma “comune”, con moltissimi punti di contatto con il genoma delle popolazioni che ancora abitavano le terre che essi avrebbero poi lasciato, ma già alla partenza esso aveva probabilmente già subito l’effetto dei “fondatori”, (per via del numero limitato di chi era partito, rispetto a chi era rimasto). Le differenze, insomma, non c’erano ancora, oppure erano minime, sottrattive e limitate all’effetto del fondatore.
Il viaggio poi, non breve né facile per quell’epoca, può molto verosimilmente essere stato uno dei primi, grandi effetti “bottle neck” sul genoma dei Sardi? Con ogni probabilità, sì. Ci sono altri chiari esempi nella storia delle popolazioni: basti per tutti quello degli indiani nord americani.
Molti individui non hanno retto le fatiche del viaggio; altri sono periti in vari modi. Alcuni saranno rimasti indietro, percorrendo altre strade da un punto di sosta intermedio. Malattie, fame, clima, incidenti bellici o venatori o di navigazione o di percorso, possono avere richiesto il loro pedaggio, in termini di patrimonio genetico. Gli Indiani nord americani posseggono soltanto il gruppo ematico O: hanno perduto tutti gli altri![35]
Nel caso dei Protosardi, ci sarebbe anche da stabilire quale sia stata la data del viaggio, innanzi tutto, e se si sia trattato di un solo viaggio. Ciò è importante per potere stabilire che tipo di cultura e di tecnologia essi portassero con sé: se praticassero già l’agricoltura, come chi scrive è propenso a credere, o fossero ancora soltanto cacciatori. Se possedessero oppure no una scrittura, etc. Non si tratta di notizie inutili: dato che alcune mutazioni sono state datate, si può stabilire se  queste sono avvenute prima, oppure dopo lo stanziamento in Sardegna.

Una forma di “Clan ancestrale”, chiamato Aplogruppo.
Nello studiare il genoma per ricostruire una discendenza, i genetisti di popolazione ricercano quei punti del DNA dove si sa che sono avvenute delle variazioni, mutazioni, per non dovere sempre sequenziare tutto il genoma, (operazione troppo costosa, attorno ai 200.000 – 300.000 euro per ogni singolo DNA: almeno, a questi prezzi viene offerto a ricchi privati che lo richiedono). I punti con variazioni si chiamano markers. Dato che si tratta d’eventi rari, che si sono verificati in qualche punto del passato in individui singoli, questi markers permettono di definire linee uniche di successione, quasi come in un clan. Se immaginiamo come un albero le migrazioni umane e l’evoluzione genetica, gli aplogruppi sono dei rami. Due individui che posseggano lo stesso marker, devono avere avuto in comune un antenato, prima o poi nel passato. Seguendo a ritroso i rami di questo albero, (con studi su popolazione) si può arrivare al punto (temporo-spaziale, in realtà) in cui i rami convergono, cioè al più recente antenato del “clan”. In termini genetici, questi clan si chiamano aplogruppi[36].  Ogni individuo può quindi essere assegnato al proprio aplogruppo (il “clan”, che fa capo ad un singolo individuo, maschio o femmina a seconda che si usi materiale Y oppure mtDNA) e si possono anche stabilire correlazioni fra aplogruppi differenti. Naturalmente, sono stati individuati diversi aplogruppi, affiliazioni e sottogruppi: siccome per ognuno si usano sigle fatte di numeri e lettere, la denominazione di ciascun “clan” diventa un poco complicata.
Per il cromosoma Y, la frequenza distributiva in Europa è stata ascritta a 7 gruppi principali (caratterizzati dalla lettera M, per marker), che rappresentano il 95% della popolazione attuale. L’aplogruppo R1b (marker M343) è molto frequente nel versante atlantico e decresce in frequenza procedendo verso est (quasi tutti i maschi irlandesi, un terzo di quelli ungheresi e polacchi). Quasi speculare ad esso è l’aplogruppo R1a1 (marker SRY10831.2), molto frequente in Europa orientale e parte dell’Asia. J2 ed E3b si distribuiscono specialmente in Europa meridionale, nel Medio Oriente (in Grecia, circa un quarto della popolazione maschile), svanendo in Europa settentrionale. I1a ed I1b sono rispettivamente accentrati in Scandinavia e nei Balcani e testimoniano dell’antichità di scambi e migrazioni tra uomini del centro e del nord europeo. L’aplogruppo N, presente in Scandinavia e nell’Asia settentrionale, sta a dimostrare invece che la separazione fra popolazioni nordiche ed occidentali/meridionali è comunque stata molto forte e netta.
Molto più numerosi sono gli aplogruppi ottenuti con il mtDNA. Il più famoso, L0 è quello che fu definito dell’”Eva mitocondriale” e dette origine a diversi malintesi. Si formò presumibilmente 100.000 anni fa e rappresenta – piuttosto che la prima donna – il punto più antico dell’albero mitocondriale a cui si possa risalire con la genetica[37].
I sardi appartengono all’aplogruppo I (che ha frequenze elevate in Bosnia e Scandinavia) in particolare al sottogruppo I1b1b, che è tipico dell’isola (ne esiste una presenza nella zona dei Pirenei). Anche l’aplogruppo G, branca dell’aplogruppo F, è relativamente frequente in Sardegna (13,8% nella media della popolazione sarda, con punte del 25% nel nord dell’isola)[38] e nei Pirenei: fanno capo ai markers M201 ed M89, rispettivamente, e sarebbero indice di migrazione dall’Anatolia. L’aplogruppo G si sarebbe formato circa 20.000 anni fa, secondo il YCC (Consorzio per il Cromosoma Y)[39].
La mutazione M170 avrebbe avuto origine in Europa circa 23000 - 28000 anni fa (Semino et al., 2000; Chiarelli, 2003; Rootsi, 2004) in popolazioni di cultura Gravettiana[40], la mutazione I-M26 avrebbe avuto origine in una popolazione rifugiatasi in Spagna e Francia meridionale, durante l’ultimo picco di glaciazione e si sarebbe diffusa in Sardegna all’incirca tra 13000 e 9000 anni fa (Passarino et al., 2001; Rootsi, 2004)[41].
L’aplotipo I-M26 è presente in tutta la Sardegna (Passarino et al., 2001; Zei et al., 2003), con frequenze geniche fino oltre il 30% (dall’1 al 7 % nella penisola iberica).
L' aplotipo R-M18 è esclusivo della Sardegna e origina per acquisizione di una mutazione dall'aplogruppo più antico R-M173.
L'interpretazione dei risultati fa risalire in modo lineare la popolazione sarda attuale da una popolazione ancestrale fondatrice che potrebbe aver raggiunto l'Isola in più ondate durante il Paleolitico superiore. I geni dei sardi si inquadrano perfettamente nell'ambito del pool genico europeo con grosse differenze però in termini di frequenze geniche (per lo più dovuti a effetto del fondatore e deriva genetica casuale).  I sardi attuali mostrano maggiore variabilità di quelli “nuragici”, come è ovvio, vista la tendenza globale all’amalgama: semplicemente, non sono più isolati come un tempo. Alcune popolazioni sarde odierne, però, mostrano moltissime affinità genetiche con i sardi “nuragici”. (Gli Etruschi, invece, già molto meno omogenei in antico rispetto ai nuragici, non possiedono affinità con i toscani di oggi).
Per il momento è sufficiente avere stabilito che la Deriva Genetica ha agito realmente, in tutti i suoi aspetti, e non una volta sola sulla popolazione dei Sardi: già questo fatto basta a giustificare le differenze genetiche[42].

Sardo/Etruschi?
Ora, la domanda da porsi per prima (perché ce ne sono molte tra cui scegliere, davvero!) è: perché negli isolati genetici toscani non rinveniamo qualche gruppo che sia, geneticamente, almeno un poco più vicino ai Sardi di tutte le altre popolazioni?  Se l’origine di Sardi ed Etruschi fosse così vicina ed in comune come si vorrebbe, allora ricostruendo la storia, dovremmo trovare almeno qualche identità. Possiamo rispondere, a fronte d’alcuni fatti provati:
1) Riusciamo ancora a rinvenire in Toscana bestiame bovino con un patrimonio genetico ancora riconducibile al medio oriente (vedasi lo studio genetico sui bovini toscani e quelli europei)[43].
2) Riusciamo a capire che anche parte del patrimonio genetico umano delle zone più isolate (Murlo, Casentino, Volterra etc.) è riconducibile al medio oriente[44].
3) Non reperiamo alcuna affinità tra Sardi ed Etruschi: le distanze genetiche sono troppo alte[45] e le frequenze alleliche sono troppo diverse[46], per ipotizzare una parentela. La differenza tra Sardi ed Etruschi è altamente significativa (X2 = 13,21, P <0,001)[47]. I Sardi sono, in definitiva, più affini agli antichi Iberi del 600 a.C. che non agli Etruschi44.
Se i punti 1 e 2 restituiscono verosimiglianza al tanto denigrato viaggio descrittoci da Erodoto[48], dobbiamo ammettere invece che non sembra credibile che i Sardi possano essere imparentati con gli Etruschi e siano cambiati così tanto – nel relativamente breve periodo isolano della loro storia – da non avere più alcun punto di contatto genetico riconoscibile con un popolo che, quindi, non può essere un popolo fratello, né migrato con loro dall’oriente[49].
In merito a ciò sono dello stesso segno, negativo, anche le opinioni di vari ricercatori, nel campo della biologia e della genetica.
Tra questi si potrebbe citare, a parte quei nomi che già compaiono nel precedente articolo “Orizines”, anche il biologo E. Sanna, professore associato d’Antropologia all’Università di Cagliari[50] e Guido Barbujani[51], docente di Genetica all’Università di Ferrara. I primi dati d’indagini di più ampio respiro, condotte da David Caramelli dell’Università di Firenze, Guido Babujani dell’Università di Ferrara e Giuseppe Vona dell’Università di Cagliari, indicano una forte omogeneità genetica tra i reperti nuragici di diverse zone della Sardegna e non propendono per una parentela Etrusco-Nuragica. Lo studio è stato effettuato su un campione ridotto di mtDNA (mitocondriale, cioè la linea femminile), proveniente da denti, da 53 individui, datati tra 3430 e 2700 anni fa (tardo bronzo e ferro iniziale, quindi). I reperti provengono da siti archeologici di Santa Teresa, Alghero, Seulo, Perdasdefogu, Fluminimaggiore e Carbonia: un’estensione di 24.000 km2 ed un periodo di 700 anni, che rendono significativo lo studio, malgrado il campione ridotto. Esso dimostra una notevolissima riduzione di diversità genetica. Tale riduzione è paragonabile (quantitativamente, s’intende, non certo qualitativamente!) a quella d’altre popolazioni, ad esempio gli antichi Iberi, ma molto più bassa di quella degli Etruschi. La maggior parte di queste sequenze antiche di Dna è sovrapponibile a quelle riscontrate in due popolazioni ogliastrine attuali![52].
In conclusione, abbiamo una risposta al quesito iniziale: Etruschi e Protosardi non erano affatto geneticamente affini[53]. Può essere appagante, oppure no, secondo i punti di vista. Può richiedere ulteriori chiarimenti e discussioni. È poi una risposta, si badi bene, che genera molte altre domande e non esclude affatto ulteriori, future novità interessanti.
Quali?
È auspicabile che, in futuro, s’indaghi anche sul genoma di numerosi altri esseri viventi, estinti o ancora presenti in Sardegna, siano essi vegetali, siano animali (l’ulivo domestico e selvatico, la vite, il grano, l’orzo, il crocus[54], il muflone, l’asino, il bue, il gatto “selvatico” sardo[55], il cane[56]). Quando disporremo di uno studio genetico esaustivo su quelle popolazioni più indiziate per essere state condotte con sé dall’uomo nel suo viaggio verso Occidente, allora avremo un quadro migliore per effettuare le nostre valutazioni. Ma, forse, sarebbe meritevole uno studio anche su ciò che l’uomo probabilmente non condusse con sé (ad es.: i mustelidi, oppure la volpe europea e sarda, ambedue presenti in Sardegna)[57]. Il topo campagnolo (mus musculus) si è affacciato nel mediterraneo occidentale durante l’età del bronzo[58].

Conclusioni.
L’incremento demografico nelle zone d’origine dell’agricoltura promosse una costante e regolare
espansione demica, motivata dalla ricerca di nuove terre da coltivare. Dal Medio Oriente (la regione
della “mezzaluna fertile”) dove l’agricoltura si sviluppò circa 10.000 anni fa, partì l’espansione
degli agricoltori-pastori verso Nord Ovest. I dati archeologici testimoniano l’arrivo dell’agricoltura
nei Paesi Baltici e nelle isole Britanniche, le ultime ad essere raggiunte dal movimento migratorio, 
fra  i  5500 e  4200 anni fa. L’espansione verosimilmente comportava, man mano, una commistione con popolazioni pre-esistenti, di dimensioni  numericamente piuttosto ridotte, i discendenti dei
cacciatori-raccoglitori paleolitici.
I dati genetici ottenuti con i polimorfismi proteici e i polimorfismi del DNA nucleare supportano
bene questo quadro: l’analisi combinata delle variazioni di frequenze alleliche a molti loci mostra
un chiaro gradiente genetico, cioè variazioni graduali e regolari di frequenze geniche (clini) da Sud
Est a Nord Ovest. L’andamento del gradiente genetico è sovrapponibile all’andamento della diffusione dell’agricoltura in Europa.
I dati pubblicati negli ultimi dieci anni, ottenuti con  mtDNA (e anche quelli meno numerosi  del
cromosoma Y) sono più complessi da interpretare e la distribuzione degli aplogruppi non mostra
un chiaro andamento clinale. Da questi dati il contributo degli agricoltori Neolitici al pool genico
europeo attuale risulterebbe ridimensionato, e quantificato attorno al 20%. Un recente studio su
mtDNA antico, estratto da resti umani reperiti in siti archeologici neolitici di 7500 anni fa,
confermerebbe che l’aplogruppo mitocondriale allora prevalente ha contribuito ben poco alla
eredità matrilineare oggi presente in Europa. Il “lascito” genetico degli antenati paleolitici pre-
esistenti sarebbe dunque prevalente. Quindi, c’è ancora sicuramente spazio per discussioni.
Ma non per un’affinità genetica tra Sardi ed Etruschi.
Si dovrà tenere conto di numerosi fattori, ad esempio, quelle sacche di sopravvivenza Mediterranee da cui sono partiti i ripopolamenti del Nord Europa, dopo le glaciazioni. L’apporto d’ulteriori dati di popolazione (anche da volontari che richiedano per curiosità il kit per lo striscio buccale di propria iniziativa), potrà rivelarci novità interessantissime e – soprattutto - scientifiche.
Un esempio? Ci fu mescolanza tra Neanderthal  e Uomo Moderno nel Paleolitico superiore? Quale fu il percorso/i percorsi seguito/i per stabilirsi in Europa? Possiamo rintracciare le effettive migrazioni avvenute negli ultimi 2000 anni, nella popolazione Europea attuale? Avvenne un addomesticamento di bestiame indipendente in Africa e dette un’esplosione di popolazione? Dove ebbero origine le prime popolazioni parlanti l’Indoeuropeo e che lingue si parlavano prima? Chi furono i primi abitanti del Caucaso e perché esiste una così grande diversità linguistica laggiù?[59]
Si vede bene che l’argomento è multi disciplinare e che presenta aspetti storici, geografici, antropologici, linguistici, archeologici e molti altri ancora, che s’intrecciano insieme.
Pertanto è auspicabile, infine, che i nuovi studi genetici siano validamente corroborati da una serie di studi multi disciplinari correlati e sinergici, che li integrino con almeno pari dignità[60]. Perché spesso, là dove una disciplina si blocca, un’altra riesce a fare il salto!
Sarebbe estremamente positivo che si formasse una specie di Commissione Permanente di Studi per la Tirrenia Antica. Questa avrebbe il compito di ricercare ed ottenere un Consenso Comune basato su fatti scientifici e – solo in mancanza di questi – su tesi di massima verosimiglianza preventivamente seriamente dibattute.
Al momento attuale, questa frase – più che una proposta – rappresenta una fantasia troppo ottimistica ed insieme troppo ingenua per essere formulata in sedi in cui divisione e cinismo regnano come metodo.
Che non sapremo mai, con totale certezza, alcuni fatti è probabile[61]: ma non sarebbe giusto arrendersi e non cercare affatto. È sicuro che almeno alcune verità le troveremo, infine, anche se – chissà? – potranno forse non piacerci… Ma – per farlo – dobbiamo lavorare insieme ed unire seriamente le nostre risorse.

E se poi, ogni tanto, vorremo distrarci e raccontarci ancora delle favole, malgrado tutto, allora ci stringeremo volentieri tutti insieme allegramente intorno al fuoco, ma sapremo bene che – quelle – sono soltanto contus de foghile dei nostri giorni più lieti.





[1] Anche chi scrive è stato, solo fino a ieri, un entusiasta sostenitore della stessa tesi e l’ha abbandonata con riluttanza, soltanto  quando posto di fronte all’evidenza scientifica. (E sull’appartenenza dell’Etrusco al gruppo linguistico Indoeuropeo non possiede elementi di giudizio: per questo motivo cita differenti autori, in modo acritico).
[2] Da Frank Collins e Craig Venter; l’annuncio fu dato il 26 06 2000 da Bill Clinton, nella stanza est della Casa Bianca.
[3] Un problema che negli anni 50 costringeva all’esclusione di molti più lavori, ma presente anche oggi.
[4] Da qui l’estrema importanza di studi su popolazioni che siano rimaste quanto più possibili quelle originali: i maggiori centri di diversità etnolinguistica si trovano nell’Indonesia, nell’Africa centro occidentale ed in sud America.
[5] Che ne sarà delle lingue delle minoranze? L’Inglese, invece, sta guadagnando terreno (India, Cina), ma in molte zone non è più il vero inglese (Spanglish, Singlish, etc): forse subirà quelle trasformazioni che – a partire dal Latino – hanno prodotto le lingue romanze…
[6] La prima banca del DNA fu finanziata in Islanda, nel 1996, dalla Roche per leggere il genoma di una popolazione che ha sempre vissuto isolata dalle altre, e che quindi conserva un'elevata omogenità dei geni: questo ha permesso di scoprire i geni relativi ad artrite, diabete, pre-eclampsia.
[7] In Sardegna, attualmente, esistono numerose iniziative scientifiche con l’intento dichiarato di condurre studi genetici. Una è il progetto ProgeNIA (condotto dall’Università di Cagliari e finanziata dagli statunitensi National Institute of Health e National Institute of Aging); un altra è l’AKeA (acronimo di “A Kent’Annos”, condotto dall’Università di Sassari e finanziato dal Max Planck Institute tedesco); un’altra iniziativa è la Shardna, (80% R. Soru, 13% Banco Sardegna, 2% C.N.R., 2% SFIRS, 1% Clinica Tomasini). L’interesse finanziario anche straniero è determinato dall’elevato rapporto d’individui longevi rispetto al resto della popolazione, in Sardegna: 22 su 100.000, nell’isola, a fronte di 8 – 12 su 100.000 nel resto del mondo. Anche il rapporto tra maschi e femmine, di questi ultracentenari, è differente: in Sardegna varia da 1 maschio per 4 femmine (ma raggiunge anche la parità, nell’interno); è molto più sfavorevole ai maschi nel resto del mondo. Alcuni risultati sono già disponibili e sono già stati pubblicati: il rapporto (genetico) tra la “Talanina” e la calcolosi uratica, molto più frequente in Sardegna; studi sull’ipertensione e sulla longevità dei sardi;  studi sulla discendenza da solo otto linee materne ed otto linee paterne di interi paesi dell’entroterra sardo. Il loro bersaglio ultimo consiste nella terapia genetica, nella medicina genomica e nella prevenzione delle malattie eredo-familiari-ambientali, non è certo quello di dimostrare l’origine dei Sardi. Che la sana vita agro-pastorale ed il buon vino rosso sardo non adulterato siano tra le cause principali della longevità, ci è già noto da tempo, e senza ricevere finanziamenti.
[8] Pertanto, si rimanda anche all’articolo comparso su Sardegna Antica 18, per i concetti basilari.
[9] Aristotele credeva – giudicando dall’aspetto fenotipico – che la giraffa fosse frutto di un incrocio tra un ghepardo ed una gazzella! L’aspetto fenotipico è ingannevole: per anni si sono studiate (faticosamente, ma inutilmente!) le misure antropometriche dei reperti umani, senza sapere che esse sono, appunto, un aspetto esteriore, un’interfaccia adattata, l’acqua che prende la forma ed il colore del recipiente, ma resta sempre acqua.
[10] Mentre il restante DNA dei genitori si mescola in vario modo, il mt DNA del padre non entra (insieme al materiale nucleare dello spermatozoo maturo, che ne è privo) nella cellula uovo che formerà il nuovo individuo figlio. Invece il mtDNA materno, che è nel citoplasma, sarà invece sempre presente nel figlio (maschio o femmina).
[11] Dupanloup I, Pereira L, Bertorelle G, Calafell F, Prata MJ, Amorim A, Barbujani G (2003) A recent shift from polygyny to monogamy in humans is suggested by the analysis of worldwide Y-chromosome diversity. J Mol Evol 57:85–97 - Seielstad MT, Minch E, Cavalli-Sforza LL (1998) Genetic evidence for a higher female migration rate in humans. Nat Genet 20:278–280.
[12] La mutazione è un errore casuale nella replicazione di un nucleotide del DNA, così come un refuso lo è in un processo di stampa. Costituisce l’elemento fondamentale dell’evoluzione: ne avvengono circa 50 ogni generazione (su vari miliardi di nucleotidi).
[13] Conoscendo il numero di mutazioni che si verificano in una generazione è facile risalire in linea teorica a quante generazioni siano occorse per creare le differenze riscontrate nel DNA di due individui diversi. E quindi determinare l’epoca in cui due rami dell’albero filogenetico si sono separati. Dato che le mutazioni possono essere aggiuntive e sottrattive, questo computo non è sempre facile, né preciso, ed è criticato dai detrattori.
[14] Varietà di presentazioni dei geni. Ad esempio, il gene OCA2 produce melanina (in capelli, occhi e pelle); una sua mutazione (in cui la produzione di melanina è ridotta) è responsabile della presenza dell’allele per il carattere occhi azzurri. La presentazione fenotipica del genotipo biallelico può essere di occhi azzurri (carattere recessivo), oppure marroni (carattere dominante).
[15] A. Piazza Eredità genetica dell’Italia antica Scienze, 278, pp 62-69, 1991; A. Piazza et al. A genetic history of Italy 1988 - Annals of Hum Genet.
[16] Piazza A, Cappello N, Olivetti E, Rendine S (1988) “A genetic History of Italy” Ann. Hum. Genet.52:203-213. – Semino O, Passarino G, Oefner PJ, Lin AA, Arbuzova s, Beckman LE,De Benedictis G, Francalacci P, Kouvatsi A, Limborska S, Marcikiae M, Mika A, Mika B, Primorac D, Santachiara-Benerecetti AS, Cavalli-Sforza LL, Underhill PA, (2000) “The genetic legacy of Paleolithic Homo sapiens sapiens in extant europeans: a Y chromosome perspective” Sciente 290:1115-1159. – Barbujani G, Sokal RR, (1991) “Genetic population structure of Italy.Physical and cultural barriers to gene flow”. Am. J. Hum. Genet. 48:398-411. – Barbujani G, et Al (1995) “Geographical structuring in the mtDNA of Italiano”. Proc. Natl Acad Sci USA. 92:9171-9175.
[17] La frammentazione degli habitat può indebolire e ridurre numericamente una popolazione, al punto che eventi casuali, come cattive condizioni atmosferiche, possono provocarne rapidamente l’estinzione. La frammentazione degli habitat produce, inoltre, la separazione degli individui appartenenti alla stessa specie in varie popolazioni, che non hanno più modo di incontrarsi e di incrociarsi sessualmente: ciò si riflette in una riduzione della variabilità genetica degli organismi e, di conseguenza, in una minore adattabilità ai cambiamenti ambientali. Quindi, più una popolazione è piccola, maggiore è il pericolo d’estinzione.
[18] Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, XLI, 28. Fu apposta nel Tempio della Mater Matuta una targa dedicata a Giove, conformata come la Sardegna, che riportava a colori le scene delle battaglie e vantava “un grandissimo successo nel proprio mandato, aver liberato gli alleati, ristabilito il sistema dei tributi e riportato sano e salvo l’esercito, con un ricchissimo bottino”.
[19] Si pensa che alcune imprese fossero “enfatizzate”, per ottenere il premio del Trionfo. Sempronio Gracco, in quel caso, ottenne il suo secondo trionfo: il primo fu per le vittorie sui Celtiberi, 3 anni prima, nel 177 a..C.
[20] Pais, E. Storia della Sardegna e della Corsica durante il dominio romano. 1923 - Roma, Ed Nardecchia.
[21] Meloni, P. La Sardegna romana, 1975 - Sassari, Ed Chiarella.
[22] Day, J. Uomini e terre nella Sardegna coloniale dal XII al XVI secolo. 1987 - Torino Ed CELID.
[23] Fermi, C. Regioni malariche, decadenza risanamento e spesa. “Sardegna” 1934 - Roma, Tip.
Editrice di Roma.
[24] Loddo Canepa, F. Lo spopolamento della Sardegna durante la dominazione aragonese e
spagnola. 1933 Atti del Congresso Internazionale per gli Studi sulla popolazione, Vol. I, pp. 651-
680 (Roma: Istituto Poligrafico dello Stato).
[25] Livi, C. La popolazione della Sardegna nel periodo Aragonese. 1984 Archivio Storico Sardo, 34:
24-130.
[26]Del Panta, L. Le epidemie nella storia demografica italiana (secoli XIV - XIX) 1980 - Torino,
Ed Loescher.
[27] Serri, G. Il Censimento dei “fuochi” sardi del 1655. In: Storia della popolazione in
Sardegna nell'epoca moderna (a cura di B. Anatra, G. Puggioni, G. Serri) pp. 123-144
1997 (Cagliari: AM&D).
[28] Corridore, F. Storia documentata della popolazione di Sardegna (1479-1901). 1902 Torino Ed C. Clausen).
[29] Anatra, B., e Puggioni, G. Storia della popolazione in Sardegna nell'epoca moderna, a
cura di B. Anatra, G. Puggioni, G. Serri, 1997 (Cagliari: AM&D) pp. 25-63.
[30] Cappello, N., Rendine S., Griffo R., Mameli, G.E., Succa, V., e Vona, G. Genetic analysis
of Sardinia: I. Data on 12 polymorphisms in 21 linguistic domains.  1996 - Annals of Human
Genetics, 60: 125-141.
[31] Angioni, D., Loi, S., e Puggioni, G. La popolazione dei Comuni sardi dal 1688 al 1991
1997 - Cagliari: CUEC.
[32] Sanna et al. Antropo, 2006 - 12, 43-52. Rivista elettronica di Antropologia: (www.didac.ehu.es/antropo).
[33] In Genetica, “migrazione” significa immissione, in una popolazione, di nuovi geni da parte di nuovi venuti, provenienti da un differente gruppo etnico.
[34] Chi ritiene che il ritrovamento di pietra lavorata in Sardegna, risalente a 350.000 - 150.000 anni fa, dimostri una presenza umana, (da cui si sarebbe sviluppata, sull’isola, una linea indipendente e continua di uomo fino ad oggi) è chiaramente in errore e considera umano ciò che è probabilmente un antenato dell’uomo, ma non appartiene scientificamente alla razza umana.
[35] I genotipi del sistema AB0 sono in realtà: AA, AB, A0, BB, B0, 00. L’allele 0 è recessivo e si esprime soltanto nell’omozigote, con ambedue gli alleli 00. Il risultato è che abbiamo solo 4 gruppi: A, B, AB e 0.
[36] Questo tipo di studio è stato reso possibile dalla tecnica PRC, che permette di “fotocopiare” in grande numero di copie la porzione di DNA in esame, in modo da facilitare la rilevazione di un “errore di copiatura” avvenuto nella duplicazione del DNA stesso.
[37] Infatti, le prove archeologiche e fossili depongono per un’origine dell’uomo discretamente più antica: circa 200.000 anni fa (anche se comportamenti umani moderni sono datati solamente attorno a 50.000 – 70.000 anni fa: il che significa che non consideriamo propriamente umano ciò che è esistito prima).
[38] Zei et. al. In: European J. of Hum. Genetics. Ma si tratta per il momento di uno studio limitato sia come campione che come distribuzione dello stesso, per cui  non permette ancora di trarre molte conclusioni significative.
[39] La data è calcolata in base al numero di mutazioni che separano il genoma d’uomini di aplogruppi differenti. E’ noto il numero medio di generazioni necessario perché si verifichi una mutazione: il calcolo è relativamente semplice, ma approssimativo forzatamente, in quanto le mutazioni possono essere sia aggiuntive che sottrattive di elementi: Lo YCC ha utilizzato per primo una vasta quantità e varietà di markers, proprio per ridurre questo errore. Oltre a questo metodo – induttivo – esiste il metodo diretto, per datare una mutazione: si effettua su DNA antico non inquinato, che può dare una data minima di anzianità.
[40] La più grande cultura paneuropea, risalente al periodo Paleolitico Superiore, sviluppatasi fuori dall’Italia, dalla Russia all’Atlantico e forse introdottasi in Italia – secondo alcuni – dalla Liguria.
[41] La mutazione M26 è stata sinora rilevata, e solo con basse frequenze, solo in poche altre popolazioni europee: Castigliani (19%), Baschi francesi (8%), Baschi spagnoli (6%)  e con percentuali ancora inferiori in Andalusia, in Italia centrale, Inghilterra, Scozia, Irlanda, etc. Semino et al., 2000;
Bosch et al., 2001; Francalacci et al., 2003; Rootsi et al., 2004).
[42] Sanna, E., Iovine, M. C., Calò, C. M. La deriva genetica ed il flusso genico interno hanno condizionato l’attuale struttura biologica della popolazione sarda?  2006 - Antropo, 12, 43-52. www.didac.ehu.es/antropo.
[43] M. Pellecchia e P.Ajmone Marsan, Univ. Del Sacro Cuore di Piacenza, 2007.
[44] A. Torroni e A. Achilli, Univ. Degli Studi di Pavia; Am Jour. Human Genetics, Aprile 2007. Studi per dottorato di ricerca in genetica dal 2004 in poi dimostrano le stesse tesi, riconoscendo necessari ulteriori studi più esaustivi. Ma vedi anche Piazza, Ann Hum Genetics 75:128 – 137 2004 . Nel 2007 cita una variante genetica di Murlo in comune con l’attuale Turchia.
[45] L.L.Cavalli Sforza – Storia e geografia dei geni umani, 1977 – Ed Adelphi.
Le distanze genetiche dei sardi, in ordine crescente (X 10.000, con associato Errore Standard) sono le seguenti:
Greci: 190  ±   30
Italiani 221  ±   54
Baschi 261  ±   68
Libanesi 340  ±   66
Nord Africani 732  ± 168
Ed indicano che non esiste affinità tra Sardi ed Italiani e che c’è minore distanza tra Sardi e Greci! (Incidentalmente, parlano anche contro l’ipotesi di un’origine o forte parentela con i Fenici).
[46] G. Barbujani: “Studiando il cromosoma Y stimiamo che il popolamento di gruppi umani nel Paleolitico superiore e nel Mesoltico abbia contribuito alla struttura genetica dei Sardi attuali per oltre il 60%, mentre il successivo apporto genetico da parte di popolazioni neolitiche non supererebbe il 36%. Dunque larghissima parte del pool genetico dei Sardi attuali discende da gruppi umani immigrati nell’Isola tra 20 mila e 5 mila anni fa” - Da un’intervista dell’Unione Sarda, 05 Luglio 2005. Vedi anche di seguito, tratto da “Genetic variations in prehistoric Sardinia” - Hum Genet, received Springer Links on June 4th 2007.
[47] “Genetic variation in prehistoric Sardinia” (2007)
David Caramelli · Cristiano Vernesi · Simona Sanna · Lourdes Sampietro · Martina Lari · Loredana Castrì ·
Giuseppe Vona · Rosalba Floris · Paolo Francalacci · Robert Tykot · Antonella Casoli · Jaume Bertranpetit ·
Carles Lalueza-Fox · Giorgio Bertorelle · Guido Barbujani .
[48] Anche questa è una tesi fortemente sostenuta più volte, dal prof. M. Pittau nei suoi numerosi scritti. In questo caso, la tesi è confortata dalle prove genetiche, con grande soddisfazione anche da parte dello scrivente.
[49] Il che, naturalmente non esclude tutti quei contatti non solo commerciali, che i reperti in tombe etrusche (Cavalupo di Vulci, etc.) ed in territorio sardo (buccheri, bottoni etruschi, etc) hanno dimostrato. Né inficia l’eventuale parentela linguistica tra Paleosardo ed Etrusco, la cui discussione è d’altrui competenza.
[50] Nel libro Il popolamento della Sardegna e le origini dei Sardi (Cuec, 2006)
[51] Questioni di razza, 2003 - Ed Mondadori.
[52] Lo studio è stato rigorosamente condotto su un campione di due denti da ciascun individuo (DNA mitocondriale). Purtroppo, il campione è ridotto e questo è un limite. Per avere più significato si dovrebbe espandere il numero.  Uno dei problemi, oltre alla scarsità della materia prima è il fatto che la metodica implica la polverizzazione e distruzione del campione, cioè del reperto antropologico-archeologico che si studia.
[53] Anche i dati archeologici sono contrari a questa affinità.
[54] Lo zafferano era una spezia preziosa, molto più di oggi, e forse più come colorante, più che per usi alimentari.
[55] Il gatto selvatico sardo sarebbe il felis libica, d’inserimento recente (trafugato dai fenici). Anche per questo sarebbe stata dimostrata un’antica ed unica discendenza dalla mesopotamia, attraverso un passaggio in Egitto.
[56] L’Univ di Sassari sembra stia conducendo studi genetici su dogo sardesco, mastino fonnese e alcuni paleoreperti sardi, probabilmente di “Cynoterium sardous” o il suo più vicino predecessore probabile, lo “Xenocyon” (Origin and adaptation of Cynotherium sardous; di Lyras, Van der Geer, Dermitzakis, De Vos in JVP 26 (3): 735-7452007), ambedue canidi di piccole dimensioni, con movimenti di lateralità del capo simili a quelli della volpe.La conoscenza dei dati storici è necessaria. Ad esempio, il bue, forse presente fin da epoca neolitica, è stato incrociato molte volte con “razze” peninsulari, fin dall’antichità, modificandone l’originario genoma. Il confronto con gli studi umani sarebbe di grande interesse.
[57] Anche questo è controverso: pare che i mustelidi attualmente viventi sull’isola siano d’introduzione storica, per motivi alimentari. (M. Masseti,”Quaternary biogeography of the mustelide family on the mediterranean Islands” Proc. on II Symp. on Carnivores – 1995). La volpe, un canide, potrebbe essere stata introdotta nel Neolitico antico (Masseti e vinello, 1991; Masseti, 1993; Vigne, 1988 e 1992), smpre per motivi alimentari.
[58] J.C. Auffray,F. Vanlerberghe, J. Britton-Davidian “The house mouse progression in Eurasia: a paleontological and archaeozoological approach” Biol. J Linn Soc, vol 41, num 1-3, pag 13-25. Sett 2007.
[59] Solo alcuni dei numerosissimi quesiti intorno ai quali diverse squadre di scienziati e genetisti nel mondo stanno lavorando, seguendo moderni principi omologati. S. Wells: “Deep Ancestry” National Geographic 2006.
[60] Questo appare difficilissimo, in Italia: sembra che all’estero si stiano invece organizzando in questo senso, secondo logica. Il che permetterà loro di ottenere risultati più rapidi e di qualità migliore dei nostri, se noi non seppelliremo le nostre rivalità accademiche.
[61] Forse, appunto, anche la tanto ricercata zona di “origine” dei portatori/creatori della Civiltà Nuragica; la loro identificazione/differenziazione con i Sherdana; i motivi che hanno portato all’edificazione di pozzi “sacri” molto simili intorno a tutta l’area mediterranea e molti altri temi su cui, per adesso, la Scienza dice troppo poco e la Fantarcheologia  un poco troppo…