Acquisizione, Divulgazione e
Comprensione dei risultati genetici.
di Maurizio Feo
In seguito alla pubblicazione, su Sardegna Antica,
d’alcuni appunti di Genetica di Popolazioni applicata alla Storia della
Tirrenia Antica, è stata mossa una precisa critica dal professor Massimo
Pittau, forse condivisa anche da altri lettori…
In sostanza, questo è il problema: chi non è un esperto
di Genetica, si trova di fronte a studi ostici, che riportano tesi talvolta
apparentemente contrastanti e ciò crea confusione e disappunto.
Si chiede di chiarire se gli studi genetici neghino,
oppure confermino, una parentela tra Protosardi ed Etruschi[1].
Purtroppo – si deve ammettere – esistono problemi per quanto
concerne l’acquisizione, la divulgazione e la comprensione dei dati genetici di
popolazione.
La tecnologia necessaria per gli studi genetici ha fatto
balzi da giganti, per cui non è più un limite ai progressi nel campo. I
problemi sono d’altra natura (oltre a quelli economici, sempre presenti). Prima
di tutto, il Genoma Umano è stato codificato solo di recente[2].
Ne consegue che il numero ridotto degli esseri umani realmente studiati fino a
qui – poco più di 10.000 soggetti in tutto il mondo – non è realmente
rappresentativo di tutta l’umanità, 6.5 miliardi di persone. Inoltre, i dati
ottenuti devono essere omogenei e comparabili, cioè ottenuti con le stesse tecnologie, la stessa etica metodologica,
nelle stesse cornici di tempo e devono essere ripetibili[3]. Infine, esiste una certa urgenza. Questa è in parte spiegabile dall’estinzione
culturale di massa che il procedimento
d’amalgama globale sta ineluttabilmente portando, cancellando la biodiversità
preesistente[4]. Uno dei
sintomi è dato dall’estinzione delle lingue: prima del 1500, all’inizio delle
grandi esplorazioni europee, esistevano 15000 lingue diverse. Oggi ne restano
6.000. La previsione – pessimistica – è che il 90% di queste potrebbe andare
perduta per la fine del secolo in corso[5].
Un’altra spiegazione
dell’urgenza è data da interessi non scientifici che spingono ad arrivare per
primi alla vetrina della notorietà: non scordiamoci che grandi ritorni
economici sono previsti e coinvolti nella ricerca genetica. C’è anche un
fenomeno di “tendenza”.
La ricostruzione dei propri alberi genealogici e
filogenetici è diventato il secondo hobby dei nord americani (dopo il
giardinaggio), tanto che “genetica” è la seconda voce più ricercata
nell’internet. La spinta maggiore alle nuove ricerche viene da lì: il
Genographic Project di Spencer Wells, sponsorizzato dalla National Geographic
Foundation, ha già raccolto poco meno di 200.000 campioni da soggetti diversi,
uniti dal desiderio di conoscere le proprie origini, da quelle intermedie
europee fino a quelle più arcaiche, ovunque esse siano…
In Italia questa moda sta timidamente arrivando, ma per il
momento la Genetica è vista con dosi uguali di confusione, incomprensione e
diffidenza. In più, si parla sempre più a sproposito di DNA, persino
pubblicizzando prodotti commerciali. Ciò porta anche ad esprimere un certo
scetticismo riduzionista su quali possibili
certezze possano provenire da studi complicati e poco comprensibili ai più, di
genetica di popolazione[6].
Questo scetticismo è condiviso da molti,
in ambito scientifico e no…
Rispondere, inoltre, non è semplice, perché – purtroppo – è
molto facile essere fraintesi. Si trattano, fra l’altro, temi d’elevata
conflittualità, nei quali orgoglio (nazionale e personale) e mancanza d’unità
spesso giocano ruoli importanti e rendono meno sereni i giudizi[7]…
Per comprendere la risposta, sarebbe anche necessario
conoscere almeno i fondamenti
della Genetica generale e della Genetica di popolazioni. E, se non è il caso di
fare un corso di genetica, qui, almeno qualche richiamo sarà utile[8].
Differenza tra individui e popolazione. Gli individui posseggono, nel proprio patrimonio
genetico, alleli e genotipi, che si esprimono nel fenotipo esterno, che noi
tutti possiamo vedere e su cui basiamo i nostri giudizi estetici e talvolta –
purtroppo – discriminanti e razzisti[9].
Ma ciascun individuo resta – geneticamente – ciò che era alla nascita, per
tutta la propria vita. È noto che ogni individuo possiede un mtDNA, (o DNA
mitocondriale, citoplasmatico, che può essere usato per rintracciare la linea femminile dei suoi anteneati),
mentre il DNA del cromosoma Y (che determina il sesso maschile ed è assente
nelle donne, le quali se la cavano egregiamente anche senza) permette di
rintracciare gli ascendenti maschili. Gli altri componenti del DNA, contenuti
negli altri cromosomi, si combinano variamente (quasi mescolandosi come le
carte in un mazzo), ma il mitocondriale e l’Y non lo fanno[10].
Questi due tipi di DNA sono soprannominati DNA uniparentale o non ricombinante e offrono numerosi vantaggi: innanzitutto, una forte strutturazione
geografica (in misura differente: la
migrazione femminile è da sempre stata maggiore di quella maschile)[11];
mtDNA è inoltre di piccole
dimensioni e già presente in molte copie in ogni singola cellula (ogni cellula possiede molti mitocondri) e
pertanto agevola lo studio.
Il numero delle mutazioni[12] accumulate in regioni cromosomiche non ricombinanti
è stato utilizzato come “orologio molecolare”, con metodi induttivi poco
graditi agli scettici[13].
Una popolazione,
invece, è caratterizzata dalla frequenza dei diversi genotipi e dei diversi alleli[14]
presenti nel suo contesto, che la distinguono dalle altre. S’intende quindi che
una popolazione può cambiare, nel
corso del tempo. Una popolazione si dice in equilibrio, quando le sue frequenze
geniche sono prevedibili dalle sue frequenze alleliche e queste ultime non
cambiano nelle generazioni. Una popolazione in equilibrio non evolve.
Le cause di un disequilibrio sono, cioè, fattori dell’evoluzione.
Le popolazioni possiedono frequenze alleliche e frequenze genotipiche, che le contraddistinguono. Le
variazioni nel tempo delle frequenze alleliche sono oggetto di studio della
genetica evoluzionistica, che ricostruisce alberi filogenetici con significato
storico geografico.
Le condizioni perché una popolazione resti in equilibrio,
oppure si evolva sono riassunte nella tabella sottostante, ove compaiono,
contrapposti i fattori che agiscono in senso contrario:
1 Incroci casuali. Inbreeding
(incroci fra consanguinei).
2 Una popolazione grande. Deriva
genetica (popolazione piccola).
3 Un tasso di mutazione trascurabile. Mutazione
(da pressione ambientale).
4 Una migrazione trascurabile. Migrazione
(apporto di altri geni)
5 Una mortalità indipendente dal genotipo. Selezione
naturale.
6 Una fertilità indipendente dal genotipo. Selezione
naturale.
Nella seconda serie (corsivo) figurano fattori che i Sardi – intesi come popolazione – hanno conosciuto molto da vicino, in
vari periodi antichi o recenti, nel corso della loro storia. Sono proprio
questi fattori, quelli che hanno in più tappe ed in modi differenti cambiato
profondamente il patrimonio genetico isolano, fino a farlo diventare ciò che
esso è oggi: il genoma semplificato di una popolazione che è un isolato
genetico, differente da qualsiasi altro,
così distante da qualsiasi altra popolazione – in termini di distanze genetiche
– da non potere essere rappresentato sulle carte cromatiche di gradiente,
create a suo tempo dal prof. Piazza per l’Italia[15].
Mentre in tutta la Penisola e la Sicilia si avevano gradazioni di colore che
sfumavano l’uno nell’altro a seconda delle differenti frequenze
geniche, la Sardegna mancava del tutto,
oppure appariva bianca, con tante scuse da parte dell’autore per il disappunto
dei lettori sardi[16].
Il che non esclude affatto che i sardi siano persone
normali, sia ben chiaro questo. Significa, però, che nel loro patrimonio
biomolecolare esistono, oggi, peculiarità assolute. Alcune di esse possono
essere utili in campo medico, per esempio nella prevenzione e terapia delle
malattie ereditarie, oppure nella ricerca delle cause della longevità. Altre,
possono essere sfruttate per chiarire idee confuse sulla loro provenienza. È
chiaro che si debba dare la priorità alle ricerche più eticamente importanti.
Vi sono in gioco anche, come si è detto, interessi economici enormi.
Ma noi occupiamoci soltanto della questione affinità tra
Sardo-Etrusca e dei loro percorsi storico geografici.
La “Deriva Genetica”.
Uno dei fattori che sono stati citati più spesso, come
responsabili dell’unicità del genoma sardo, è l’effetto “bottle neck”. Esso consiste in un episodio, (migrazione,
carestia, epidemia, guerra, glaciazione o altro) che può modificare grandemente
il patrimonio genetico di una popolazione, generalmente non molto grande.
Conviene descriverlo: se s’immagina il patrimonio genetico di una popolazione
come costituito da 100 palline colorate contenute in una bottiglia, l’episodio
accidentale che incide sul patrimonio stesso è rappresentabile con l’atto di
versarne alcune fuori attraverso il collo di bottiglia, e poi di riporre la
bottiglia. Poniamo che vi siano geni molto comuni e numerosi, le palline blu
(70%); altri meno frequenti, le palline rosse (10%) e gialle (19%); altri rari, una pallina bianca (1%). Il
risultato del fatto accidentale è dato dal caso: statisticamente è molto
probabile che, nella nostra popolazione nuova, si trovi qualche pallina blu
(6). Forse, ce ne sarà qualcuna gialla (3). Potrebbe darsi il caso che vi si
trovi la pallina bianca e nessuna rossa. Avremo così una popolazione
sopravvissuta all’evento, con una composizione genetica molto diversa da quella d’origine, sia in
sostanza (totale assenza di palline rosse),
sia in percentuale (molto più
elevata per le palline bianche: da 1% a 10% e per le gialle, da19% a 30%,
ridotta da 70%a 50% per le blu). In casi severi, l’effetto collo di bottiglia
può condurre all’estinzione[17]
È necessario riportare le date di possibili eventi simili
per i Sardi? Eccole, di seguito.
-
Durante il periodo dell'invasione romana. Nel 174 a.C. Tiberio Sempronio Gracco[18],
si vantò di avere ucciso o resi schiavi circa 80.000 sardi tra il 177 ed 176 a.C. Ammesso che tale dato possa
essere credibile (in quanto appare inverosimile a molti)[19],
la conseguente riduzione della popolazione complessiva potrebbe essere stata
compresa tre il 27% o oltre il 50% a seconda della stima adottata per il
periodo, rispettivamente: 300.000
(Pais)[20] o 150.000 individui (Meloni)[21], quest’ultima sembrando più verosimile.
-
Dal 1320 al 1350. Secondo Day[22]
la popolazione sarebbe diminuita da 190.000 a 89.000 individui, con un decremento
dunque del 53% , a causa della peste epidemica (Fermi, 1934)[23]
e nel 1347-1348 (Loddo Canepa, 1933)[24];
Day 1987; (Livi 1984)[25],
(Del Panta 1980)[26].
-
Dal Censimento fiscale spagnolo del 1583/1603 a quello del 1627. Si rileva un
effettivo impoverimento demografico di molti centri montani della zona centrale
dell'Isola (Serri, 1997)[27],
fino al 55% in alcune zone, malgrado il fatto che la popolazione globale mostri
un lieve incremento.
-
Dal Censimento fiscale spagnolo del 1627 a quello del 1655. In questo caso, le
cause furono carestia (1644) e peste (dal 1652 al 56) (Corridore, 1902)[28].
Anatra e Puggioni (1997)[29]
suggeriscono un decremento della popolazione del 26% tra il 1627 ed il 1655,
con un passaggio da 297.424 a 220.617 individui.
-
Dal Censimento fiscale spagnolo del 1678 a quello del 1688. Il decremento, di
circa il 19%, sarebbe stato causato da una terribile e tragica carestia avvenuta in Sardegna nel 1680-1681 (Del
Panta,
1980, op. cit.).
La
Barbagia di Ollolai è la zona
storico-geografica della Sardegna maggiormente colpita da ripetuti e forti
decrementi di popolazione (tra due Censimenti spagnoli almeno del 40%). La
Barbagia di Ollolai costituirebbe secondo alcuni, il “cuore” della cosiddetta
area dei Proto-Sardi (Cappello et al. 1996)[30].
Altri decrementi di popolazione, e dunque altri effetti bottleneck nelle comunità sarde, possono essere avvenuti anche
in altri periodi (Angioni et al., 1997)[31]
e ciò rafforza l’ipotesi che la specificità biologica mostrata dalla
popolazione delle zone interne dell’Isola, possa essere una conseguenza
dell’azione congiunta della deriva genetica e degli elevati tassi di endogamia (cioè, l’inbreeding) e consanguineità registrati per queste comunità sino
alla metà del XX secolo (Sanna et al., 2004)[32].
Mutazioni e selezione naturale
sono state abbondantemente descritte
nel già citato articolo del numero 18, ma vale la pena di ricordare che
l’ambiente ha sicuramente avuto un
potente effetto sul patrimonio genetico dei Sardi: basti pensare anche soltanto
alle mutazioni indotte dalla Malaria.
Quest’ultima ha sicuramente influito anche sulla mortalità della popolazione e molto ridotto l’impatto della migrazione [33]successiva.
Si valuti, tra l’altro, che stiamo riferendoci – per tutte le epoche – ad una
popolazione di ridotto numero globale,
sulla quale molti dei fenomeni citati vedono statisticamente amplificare la
portata dei loro effetti. È infatti più facile avere 7 volte “testa” su 10
lanci di una moneta, che averne 700.000 su un milione.
Prima dello sbarco.
Verosimilmente, questo è ciò
che è successo dopo che i Sardi si sono stabiliti nell’isola. Ma prima?
È opinione comune che, prima,
si sia verificato l’effettivo viaggio per mare verso la Sardegna, che ha
portato i geni dei Sardi nell’isola (arricchendo il genoma locale eventualmente
presente con l’effetto migrazione)[34].
Prima della partenza (da una località sita probabilmente ad Est della
Sardegna), il genoma dei Sardi era probabilmente ancora un genoma “comune”, con
moltissimi punti di contatto con il genoma delle popolazioni che ancora
abitavano le terre che essi avrebbero poi lasciato, ma già alla partenza esso
aveva probabilmente già subito l’effetto dei “fondatori”, (per via del numero
limitato di chi era partito, rispetto a chi era rimasto). Le differenze,
insomma, non c’erano ancora, oppure erano minime, sottrattive e limitate all’effetto
del fondatore.
Il viaggio poi, non breve né
facile per quell’epoca, può molto verosimilmente essere stato uno dei primi,
grandi effetti “bottle neck” sul genoma dei Sardi? Con ogni probabilità, sì. Ci sono altri chiari esempi nella storia
delle popolazioni: basti per tutti quello degli indiani nord americani.
Molti individui non hanno retto
le fatiche del viaggio; altri sono periti in vari modi. Alcuni saranno rimasti
indietro, percorrendo altre strade da un punto di sosta intermedio. Malattie,
fame, clima, incidenti bellici o venatori o di navigazione o di percorso,
possono avere richiesto il loro pedaggio, in termini di patrimonio genetico.
Gli Indiani nord americani posseggono soltanto il gruppo ematico O: hanno
perduto tutti gli altri![35]
Nel
caso dei Protosardi, ci sarebbe anche da stabilire quale sia stata la data del viaggio, innanzi tutto, e se si sia trattato di un
solo viaggio. Ciò è importante per
potere stabilire che tipo di cultura e di tecnologia essi portassero con sé: se
praticassero già l’agricoltura, come chi scrive è propenso a credere, o fossero
ancora soltanto cacciatori. Se possedessero oppure no una scrittura, etc. Non
si tratta di notizie inutili: dato che alcune mutazioni sono state datate, si può stabilire se queste sono avvenute prima, oppure dopo
lo stanziamento in Sardegna.
Una forma di “Clan
ancestrale”, chiamato Aplogruppo.
Nello studiare il genoma per
ricostruire una discendenza, i genetisti di popolazione ricercano quei punti
del DNA dove si sa che sono avvenute delle variazioni, mutazioni, per non
dovere sempre sequenziare tutto il genoma, (operazione troppo costosa, attorno
ai 200.000 – 300.000 euro per ogni singolo DNA: almeno, a questi prezzi viene offerto
a ricchi privati che lo richiedono). I punti con variazioni si chiamano
markers. Dato che si tratta d’eventi rari,
che si sono verificati in qualche punto del passato in individui
singoli, questi markers permettono di
definire linee uniche di successione, quasi come in un clan. Se immaginiamo
come un albero le migrazioni umane e l’evoluzione genetica, gli aplogruppi sono
dei rami. Due individui che posseggano lo stesso marker, devono avere avuto in
comune un antenato, prima o poi nel passato. Seguendo a ritroso i rami di
questo albero, (con studi su popolazione) si può arrivare al punto
(temporo-spaziale, in realtà) in cui i rami convergono, cioè al più recente
antenato del “clan”. In termini genetici, questi clan si chiamano aplogruppi[36]. Ogni individuo può quindi essere
assegnato al proprio aplogruppo (il “clan”, che fa capo ad un singolo
individuo, maschio o femmina a seconda che
si usi materiale Y oppure mtDNA) e si possono anche stabilire correlazioni fra
aplogruppi differenti. Naturalmente, sono stati individuati diversi aplogruppi,
affiliazioni e sottogruppi: siccome per ognuno si usano sigle fatte di numeri e
lettere, la denominazione di ciascun “clan” diventa un poco complicata.
Per
il cromosoma Y, la frequenza distributiva in Europa è stata ascritta a 7 gruppi
principali (caratterizzati dalla lettera M, per marker), che rappresentano il
95% della popolazione attuale. L’aplogruppo R1b (marker M343) è molto frequente nel versante
atlantico e decresce in frequenza procedendo verso est (quasi tutti i maschi
irlandesi, un terzo di quelli ungheresi e polacchi). Quasi speculare ad esso è
l’aplogruppo R1a1 (marker
SRY10831.2), molto frequente in Europa orientale e parte dell’Asia. J2 ed E3b si
distribuiscono specialmente in Europa meridionale, nel Medio Oriente (in
Grecia, circa un quarto della popolazione maschile), svanendo in Europa
settentrionale. I1a ed I1b sono rispettivamente accentrati in Scandinavia e nei
Balcani e testimoniano dell’antichità di scambi e migrazioni tra uomini del
centro e del nord europeo. L’aplogruppo N, presente in Scandinavia e nell’Asia settentrionale, sta a dimostrare
invece che la separazione fra popolazioni nordiche ed occidentali/meridionali è
comunque stata molto forte e netta.
Molto
più numerosi sono gli aplogruppi ottenuti con il mtDNA. Il più famoso, L0 è quello che fu definito dell’”Eva mitocondriale” e
dette origine a diversi malintesi. Si formò presumibilmente 100.000 anni fa e
rappresenta – piuttosto che la prima donna – il punto più antico dell’albero
mitocondriale a cui si possa risalire con la genetica[37].
I sardi appartengono
all’aplogruppo I (che ha frequenze elevate in Bosnia e Scandinavia) in
particolare al sottogruppo I1b1b, che è tipico dell’isola (ne esiste una
presenza nella zona dei Pirenei). Anche l’aplogruppo G, branca dell’aplogruppo
F, è relativamente frequente in Sardegna (13,8% nella media della popolazione
sarda, con punte del 25% nel nord dell’isola)[38]
e nei Pirenei: fanno capo ai markers M201 ed M89, rispettivamente, e sarebbero
indice di migrazione dall’Anatolia. L’aplogruppo G si sarebbe formato circa
20.000 anni fa, secondo il YCC (Consorzio per il Cromosoma Y)[39].
La mutazione M170 avrebbe avuto
origine in Europa circa 23000 - 28000 anni fa (Semino et al., 2000; Chiarelli,
2003; Rootsi, 2004) in popolazioni di cultura Gravettiana[40],
la mutazione I-M26 avrebbe avuto origine in una popolazione rifugiatasi in
Spagna e Francia meridionale, durante l’ultimo picco di glaciazione e si
sarebbe diffusa in Sardegna all’incirca tra 13000 e 9000 anni fa (Passarino et
al., 2001; Rootsi, 2004)[41].
L’aplotipo I-M26 è presente
in tutta la Sardegna (Passarino et al.,
2001; Zei et al., 2003), con frequenze geniche fino oltre il 30% (dall’1 al 7 %
nella penisola iberica).
L' aplotipo
R-M18 è esclusivo della Sardegna e origina per acquisizione di
una mutazione dall'aplogruppo più antico R-M173.
L'interpretazione
dei risultati fa risalire in modo lineare la popolazione sarda attuale da una popolazione ancestrale fondatrice
che potrebbe aver raggiunto l'Isola in più ondate durante il Paleolitico superiore. I geni dei sardi si inquadrano perfettamente nell'ambito del
pool genico europeo con grosse differenze però in termini di frequenze geniche (per lo più dovuti a effetto del fondatore e deriva genetica casuale). I sardi attuali
mostrano maggiore variabilità di quelli “nuragici”, come è ovvio, vista la
tendenza globale all’amalgama: semplicemente, non sono più isolati come un
tempo. Alcune popolazioni sarde odierne, però, mostrano moltissime affinità
genetiche con i sardi “nuragici”. (Gli Etruschi, invece, già molto meno
omogenei in antico rispetto ai nuragici, non possiedono affinità con i toscani
di oggi).
Per il momento è sufficiente
avere stabilito che la Deriva Genetica ha agito realmente, in tutti i suoi
aspetti, e non una volta sola sulla popolazione dei Sardi: già questo fatto basta a giustificare le differenze
genetiche[42].
Sardo/Etruschi?
Ora, la domanda da porsi per
prima (perché ce ne sono molte tra cui
scegliere, davvero!) è: perché negli isolati genetici toscani non rinveniamo qualche gruppo che sia,
geneticamente, almeno un poco più vicino ai Sardi di tutte le altre popolazioni? Se l’origine di Sardi ed Etruschi fosse
così vicina ed in comune come si vorrebbe, allora ricostruendo la storia,
dovremmo trovare almeno qualche identità. Possiamo rispondere, a fronte
d’alcuni fatti provati:
1) Riusciamo ancora a rinvenire
in Toscana bestiame bovino con un patrimonio genetico ancora riconducibile al
medio oriente (vedasi lo studio genetico sui bovini toscani e quelli europei)[43].
2) Riusciamo a capire che anche
parte del patrimonio genetico umano
delle zone più isolate (Murlo, Casentino, Volterra etc.) è riconducibile al
medio oriente[44].
3) Non reperiamo alcuna
affinità tra Sardi ed Etruschi: le distanze genetiche sono troppo alte[45]
e le frequenze alleliche sono troppo diverse[46],
per ipotizzare una parentela. La differenza tra Sardi ed Etruschi è altamente
significativa (X2 = 13,21, P <0,001)[47].
I Sardi sono, in definitiva, più affini agli antichi Iberi del 600 a.C. che non
agli Etruschi44.
Se i punti 1 e 2 restituiscono
verosimiglianza al tanto denigrato viaggio descrittoci da Erodoto[48],
dobbiamo ammettere invece che non sembra
credibile che i Sardi possano essere imparentati con gli Etruschi e siano
cambiati così tanto – nel relativamente breve periodo isolano della loro storia
– da non avere più alcun punto di contatto genetico riconoscibile con un popolo che, quindi, non può essere un popolo
fratello, né migrato con loro dall’oriente[49].
In merito a ciò sono dello
stesso segno, negativo, anche le opinioni di vari ricercatori, nel campo della
biologia e della genetica.
Tra questi si potrebbe citare, a parte quei nomi che
già compaiono nel precedente articolo “Orizines”, anche il biologo E. Sanna,
professore associato d’Antropologia all’Università di Cagliari[50]
e Guido Barbujani[51],
docente di Genetica all’Università di Ferrara. I primi dati d’indagini di più
ampio respiro, condotte da David Caramelli dell’Università di Firenze, Guido
Babujani dell’Università di Ferrara e Giuseppe Vona dell’Università di Cagliari,
indicano una forte omogeneità genetica tra i reperti nuragici di diverse zone
della Sardegna e non propendono per una parentela Etrusco-Nuragica. Lo studio è stato effettuato su un campione ridotto
di mtDNA (mitocondriale, cioè la linea femminile), proveniente da denti, da 53 individui, datati tra 3430 e 2700 anni fa (tardo
bronzo e ferro iniziale, quindi). I reperti
provengono da siti archeologici di Santa Teresa, Alghero, Seulo, Perdasdefogu,
Fluminimaggiore e Carbonia: un’estensione di 24.000 km2 ed un
periodo di 700 anni, che rendono significativo lo studio, malgrado il campione
ridotto. Esso dimostra una notevolissima riduzione di diversità
genetica. Tale riduzione è paragonabile
(quantitativamente, s’intende, non certo qualitativamente!) a quella d’altre
popolazioni, ad esempio gli antichi Iberi, ma molto più bassa di quella degli Etruschi. La maggior parte di queste
sequenze antiche di Dna è sovrapponibile a quelle riscontrate in due
popolazioni ogliastrine attuali![52].
In conclusione, abbiamo una risposta al quesito
iniziale: Etruschi e Protosardi non erano affatto geneticamente affini[53].
Può essere appagante, oppure no, secondo i punti di vista. Può richiedere
ulteriori chiarimenti e discussioni. È poi una risposta, si badi bene, che
genera molte altre domande e non esclude affatto ulteriori, future novità
interessanti.
Quali?
È auspicabile che, in futuro, s’indaghi anche sul genoma di
numerosi altri esseri viventi, estinti o ancora presenti in Sardegna, siano
essi vegetali, siano animali (l’ulivo domestico e selvatico, la vite, il grano,
l’orzo, il crocus[54],
il muflone, l’asino, il bue, il gatto “selvatico” sardo[55],
il cane[56]).
Quando disporremo di uno studio genetico esaustivo su quelle popolazioni più
indiziate per essere state condotte con sé dall’uomo nel suo viaggio verso
Occidente, allora avremo un quadro migliore
per effettuare le nostre valutazioni. Ma, forse, sarebbe meritevole uno studio
anche su ciò che l’uomo probabilmente non condusse con sé (ad es.: i mustelidi,
oppure la volpe europea e sarda, ambedue presenti in Sardegna)[57].
Il topo campagnolo (mus musculus)
si è affacciato nel mediterraneo occidentale durante l’età del bronzo[58].
Conclusioni.
L’incremento demografico nelle
zone d’origine dell’agricoltura promosse una costante e regolare
espansione demica, motivata
dalla ricerca di nuove terre da coltivare. Dal Medio Oriente (la regione
della “mezzaluna fertile”) dove
l’agricoltura si sviluppò circa 10.000 anni fa, partì l’espansione
degli agricoltori-pastori verso
Nord Ovest. I dati archeologici testimoniano l’arrivo dell’agricoltura
nei Paesi Baltici e nelle isole
Britanniche, le ultime ad essere raggiunte dal movimento migratorio,
fra i 5500 e 4200 anni fa. L’espansione
verosimilmente comportava, man mano, una commistione con popolazioni
pre-esistenti, di dimensioni
numericamente piuttosto ridotte, i discendenti dei
cacciatori-raccoglitori
paleolitici.
I dati genetici ottenuti con i
polimorfismi proteici e i polimorfismi del DNA nucleare supportano
bene questo quadro: l’analisi
combinata delle variazioni di frequenze alleliche a molti loci mostra
un chiaro gradiente genetico,
cioè variazioni graduali e regolari di frequenze geniche (clini) da Sud
Est a Nord Ovest. L’andamento
del gradiente genetico è sovrapponibile all’andamento della diffusione
dell’agricoltura in Europa.
I dati pubblicati negli ultimi
dieci anni, ottenuti con mtDNA (e
anche quelli meno numerosi del
cromosoma Y) sono più complessi
da interpretare e la distribuzione degli aplogruppi non mostra
un chiaro andamento clinale. Da
questi dati il contributo degli agricoltori Neolitici al pool genico
europeo attuale risulterebbe
ridimensionato, e quantificato attorno al 20%. Un recente studio su
mtDNA antico, estratto da resti
umani reperiti in siti archeologici neolitici di 7500 anni fa,
confermerebbe che l’aplogruppo
mitocondriale allora prevalente ha contribuito ben poco alla
eredità matrilineare oggi
presente in Europa. Il “lascito” genetico degli antenati paleolitici pre-
esistenti sarebbe dunque prevalente. Quindi, c’è ancora
sicuramente spazio per discussioni.
Ma non per un’affinità genetica tra Sardi ed Etruschi.
Si dovrà tenere conto di numerosi fattori, ad esempio,
quelle sacche di sopravvivenza Mediterranee da cui sono partiti i ripopolamenti
del Nord Europa, dopo le glaciazioni. L’apporto d’ulteriori dati di popolazione
(anche da volontari che richiedano per curiosità il kit per lo striscio buccale
di propria iniziativa), potrà rivelarci novità interessantissime e –
soprattutto - scientifiche.
Un esempio? Ci fu mescolanza tra Neanderthal e Uomo Moderno nel Paleolitico
superiore? Quale fu il percorso/i percorsi seguito/i per stabilirsi in Europa?
Possiamo rintracciare le effettive migrazioni avvenute negli ultimi 2000 anni,
nella popolazione Europea attuale? Avvenne un addomesticamento di bestiame
indipendente in Africa e dette un’esplosione di popolazione? Dove ebbero
origine le prime popolazioni parlanti l’Indoeuropeo e che lingue si parlavano
prima? Chi furono i primi abitanti del Caucaso e perché esiste una così grande
diversità linguistica laggiù?[59]
Si vede bene che l’argomento è multi disciplinare e che
presenta aspetti storici, geografici, antropologici, linguistici, archeologici
e molti altri ancora, che s’intrecciano insieme.
Pertanto è auspicabile, infine, che i nuovi studi genetici
siano validamente corroborati da una serie di studi multi disciplinari
correlati e sinergici, che li integrino con almeno pari dignità[60].
Perché spesso, là dove una disciplina si blocca, un’altra riesce a fare il
salto!
Sarebbe estremamente positivo che si formasse una specie di
Commissione Permanente di Studi per la Tirrenia Antica. Questa avrebbe il
compito di ricercare ed ottenere un Consenso Comune basato su fatti scientifici e – solo in mancanza di
questi – su tesi di massima verosimiglianza preventivamente seriamente dibattute.
Al momento attuale, questa frase – più che una proposta –
rappresenta una fantasia troppo ottimistica ed insieme troppo ingenua per
essere formulata in sedi in cui divisione e cinismo regnano come metodo.
Che non sapremo mai, con totale certezza, alcuni fatti è
probabile[61]: ma non
sarebbe giusto arrendersi e non cercare affatto. È sicuro che almeno alcune
verità le troveremo, infine, anche se – chissà? – potranno forse non piacerci…
Ma – per farlo – dobbiamo lavorare insieme ed unire seriamente le nostre
risorse.
E se poi, ogni tanto, vorremo distrarci e raccontarci ancora
delle favole, malgrado tutto, allora ci stringeremo volentieri tutti insieme
allegramente intorno al fuoco, ma sapremo bene che – quelle – sono soltanto contus
de foghile dei nostri giorni più lieti.
[1] Anche chi scrive è stato, solo fino a ieri, un
entusiasta sostenitore della stessa tesi e l’ha abbandonata con riluttanza,
soltanto quando posto di fronte
all’evidenza scientifica. (E sull’appartenenza dell’Etrusco al gruppo
linguistico Indoeuropeo non possiede elementi di giudizio: per questo motivo
cita differenti autori, in modo acritico).
[2] Da Frank Collins e Craig Venter; l’annuncio fu dato
il 26 06 2000 da Bill Clinton, nella stanza est della Casa Bianca.
[3] Un problema che negli anni 50 costringeva
all’esclusione di molti più lavori, ma presente anche oggi.
[4] Da qui l’estrema importanza di studi su popolazioni
che siano rimaste quanto più possibili quelle originali: i maggiori centri di
diversità etnolinguistica si trovano nell’Indonesia, nell’Africa centro
occidentale ed in sud America.
[5] Che ne sarà delle lingue delle minoranze? L’Inglese,
invece, sta guadagnando terreno (India, Cina), ma in molte zone non è più il
vero inglese (Spanglish, Singlish, etc): forse subirà quelle trasformazioni che
– a partire dal Latino – hanno prodotto le lingue romanze…
[6] La prima banca del DNA fu finanziata in Islanda, nel
1996, dalla Roche per leggere il genoma di una popolazione che ha sempre
vissuto isolata dalle altre, e che quindi conserva un'elevata omogenità dei
geni: questo ha permesso di scoprire i geni relativi ad artrite, diabete,
pre-eclampsia.
[7] In Sardegna, attualmente, esistono numerose
iniziative scientifiche con l’intento dichiarato di condurre studi genetici.
Una è il progetto ProgeNIA (condotto dall’Università di Cagliari e finanziata
dagli statunitensi National Institute of Health e National Institute of Aging);
un altra è l’AKeA (acronimo di “A Kent’Annos”, condotto dall’Università di
Sassari e finanziato dal Max Planck Institute tedesco); un’altra iniziativa è
la Shardna, (80% R. Soru, 13% Banco Sardegna, 2% C.N.R., 2% SFIRS, 1% Clinica
Tomasini). L’interesse finanziario anche straniero è determinato dall’elevato
rapporto d’individui longevi rispetto al resto della popolazione, in Sardegna:
22 su 100.000, nell’isola, a fronte di 8 – 12 su 100.000 nel resto del mondo. Anche
il rapporto tra maschi e femmine, di questi ultracentenari, è differente: in
Sardegna varia da 1 maschio per 4 femmine (ma raggiunge anche la parità,
nell’interno); è molto più sfavorevole ai maschi nel resto del mondo. Alcuni
risultati sono già disponibili e sono già stati pubblicati: il rapporto
(genetico) tra la “Talanina” e la calcolosi uratica, molto più frequente in
Sardegna; studi sull’ipertensione e sulla longevità dei sardi; studi sulla discendenza da solo otto
linee materne ed otto linee paterne di interi paesi dell’entroterra sardo. Il
loro bersaglio ultimo consiste nella terapia genetica, nella medicina genomica
e nella prevenzione delle malattie eredo-familiari-ambientali, non è certo
quello di dimostrare l’origine dei Sardi. Che la sana vita agro-pastorale ed il
buon vino rosso sardo non adulterato siano tra le cause principali della
longevità, ci è già noto da tempo, e senza ricevere finanziamenti.
[8] Pertanto, si rimanda anche all’articolo comparso su Sardegna Antica 18, per i
concetti basilari.
[9] Aristotele credeva – giudicando dall’aspetto
fenotipico – che la giraffa fosse frutto di un incrocio tra un ghepardo ed una
gazzella! L’aspetto fenotipico è ingannevole: per anni si sono studiate
(faticosamente, ma inutilmente!) le misure antropometriche dei reperti umani,
senza sapere che esse sono, appunto, un aspetto esteriore, un’interfaccia
adattata, l’acqua che prende la forma ed il colore del recipiente, ma resta
sempre acqua.
[10] Mentre il restante DNA dei genitori si mescola in
vario modo, il mt DNA del padre non entra (insieme al materiale nucleare dello spermatozoo maturo, che ne è
privo) nella cellula uovo che formerà il nuovo individuo figlio. Invece il
mtDNA materno, che è nel citoplasma, sarà invece sempre presente nel figlio
(maschio o femmina).
[11] Dupanloup I, Pereira L, Bertorelle G, Calafell F,
Prata MJ, Amorim A, Barbujani G (2003) A recent shift from polygyny to monogamy
in humans is suggested by the analysis of worldwide Y-chromosome diversity. J
Mol Evol 57:85–97 - Seielstad
MT, Minch E, Cavalli-Sforza LL (1998) Genetic evidence for a higher female
migration rate in humans. Nat Genet 20:278–280.
[12] La mutazione è un errore casuale nella replicazione
di un nucleotide del DNA, così come un refuso lo è in un processo di stampa.
Costituisce l’elemento fondamentale dell’evoluzione: ne avvengono circa 50 ogni
generazione (su vari miliardi di nucleotidi).
[13] Conoscendo il numero di mutazioni che si verificano
in una generazione è facile risalire in linea teorica a quante generazioni
siano occorse per creare le differenze riscontrate nel DNA di due individui
diversi. E quindi determinare l’epoca in cui due rami dell’albero filogenetico
si sono separati. Dato che le mutazioni possono essere aggiuntive e
sottrattive, questo computo non è sempre facile, né preciso, ed è criticato dai
detrattori.
[14] Varietà di presentazioni dei geni. Ad esempio, il
gene OCA2 produce melanina (in capelli, occhi e pelle); una sua
mutazione (in cui la produzione di melanina è ridotta) è responsabile della
presenza dell’allele per il carattere occhi azzurri. La presentazione
fenotipica del genotipo biallelico può essere di occhi azzurri (carattere
recessivo), oppure marroni (carattere dominante).
[15] A. Piazza Eredità genetica dell’Italia antica Scienze, 278, pp 62-69, 1991; A. Piazza et al. A
genetic history of Italy 1988 -
Annals of Hum Genet.
[16] Piazza A, Cappello N, Olivetti E, Rendine S (1988) “A
genetic History of Italy” Ann. Hum. Genet.52:203-213. – Semino O, Passarino G,
Oefner PJ, Lin AA, Arbuzova s, Beckman LE,De Benedictis G, Francalacci P,
Kouvatsi A, Limborska S, Marcikiae M, Mika A, Mika B, Primorac D,
Santachiara-Benerecetti AS, Cavalli-Sforza LL, Underhill PA, (2000) “The
genetic legacy of Paleolithic Homo sapiens sapiens in extant europeans: a Y
chromosome perspective” Sciente 290:1115-1159. – Barbujani G, Sokal RR, (1991)
“Genetic population structure of Italy.Physical and cultural barriers to gene
flow”. Am. J. Hum. Genet. 48:398-411. – Barbujani G, et Al (1995) “Geographical
structuring in the mtDNA of Italiano”. Proc. Natl Acad Sci USA. 92:9171-9175.
[17] La frammentazione degli habitat può
indebolire e ridurre numericamente una popolazione, al punto che eventi
casuali, come cattive condizioni atmosferiche, possono provocarne rapidamente
l’estinzione. La frammentazione degli habitat produce, inoltre, la separazione
degli individui appartenenti alla stessa specie in varie popolazioni, che non
hanno più modo di incontrarsi e di incrociarsi sessualmente: ciò si riflette in
una riduzione della variabilità genetica degli organismi e, di conseguenza, in
una minore adattabilità ai cambiamenti ambientali. Quindi, più una popolazione
è piccola, maggiore è il pericolo d’estinzione.
[18] Tito Livio, Ab Urbe Condita Libri, XLI, 28. Fu apposta nel Tempio della Mater Matuta una
targa dedicata a Giove, conformata come la Sardegna, che riportava a colori le
scene delle battaglie e vantava “un grandissimo successo nel proprio mandato,
aver liberato gli alleati, ristabilito il sistema dei tributi e riportato sano
e salvo l’esercito, con un ricchissimo bottino”.
[19] Si pensa che alcune imprese fossero “enfatizzate”,
per ottenere il premio del Trionfo. Sempronio Gracco, in quel caso, ottenne il
suo secondo trionfo: il primo fu per le vittorie sui Celtiberi, 3 anni prima,
nel 177 a..C.
[20] Pais, E. Storia della Sardegna e della Corsica
durante il dominio romano. 1923 -
Roma, Ed Nardecchia.
Editrice
di Roma.
[24] Loddo Canepa, F. Lo spopolamento della Sardegna
durante la dominazione aragonese e
spagnola. 1933 Atti del Congresso Internazionale per gli Studi
sulla popolazione, Vol. I, pp. 651-
680
(Roma: Istituto Poligrafico dello Stato).
24-130.
Ed
Loescher.
Sardegna
nell'epoca moderna (a cura di B. Anatra, G. Puggioni, G. Serri) pp. 123-144
1997
(Cagliari: AM&D).
[28]
Corridore, F. Storia documentata della
popolazione di Sardegna (1479-1901).
1902 Torino Ed C. Clausen).
cura di B. Anatra, G.
Puggioni, G. Serri, 1997 (Cagliari: AM&D) pp. 25-63.
[30] Cappello, N., Rendine S., Griffo R., Mameli, G.E.,
Succa, V., e Vona, G. Genetic analysis
of
Sardinia: I. Data on 12 polymorphisms in 21 linguistic domains. 1996 -
Annals of Human
Genetics,
60: 125-141.
1997 - Cagliari: CUEC.
[32] Sanna et al. Antropo, 2006 - 12, 43-52. Rivista elettronica di
Antropologia: (www.didac.ehu.es/antropo).
[33] In Genetica, “migrazione” significa immissione, in una
popolazione, di nuovi geni da parte di nuovi venuti, provenienti da un
differente gruppo etnico.
[34] Chi ritiene che il ritrovamento di pietra lavorata in
Sardegna, risalente a 350.000 - 150.000 anni fa, dimostri una presenza umana,
(da cui si sarebbe sviluppata, sull’isola, una linea indipendente e continua di
uomo fino ad oggi) è chiaramente in errore e considera umano ciò che è
probabilmente un antenato dell’uomo, ma non appartiene scientificamente alla
razza umana.
[35] I genotipi del sistema AB0 sono in realtà: AA, AB, A0,
BB, B0, 00. L’allele 0 è recessivo e si esprime soltanto nell’omozigote, con
ambedue gli alleli 00. Il risultato è che abbiamo solo 4 gruppi: A, B, AB e 0.
[36] Questo tipo di studio è stato reso possibile dalla
tecnica PRC, che permette di “fotocopiare” in grande numero di copie la
porzione di DNA in esame, in modo da facilitare la rilevazione di un “errore di
copiatura” avvenuto nella duplicazione del DNA stesso.
[37] Infatti, le prove archeologiche e fossili depongono
per un’origine dell’uomo discretamente più antica: circa 200.000 anni fa (anche
se comportamenti umani moderni sono datati solamente attorno a 50.000 – 70.000
anni fa: il che significa che non consideriamo propriamente umano ciò che è
esistito prima).
[38] Zei et. al. In: European J. of Hum. Genetics. Ma si tratta per il momento di uno
studio limitato sia come campione che come distribuzione dello stesso, per
cui non permette ancora di trarre
molte conclusioni significative.
[39] La data è calcolata in base al numero di mutazioni
che separano il genoma d’uomini di aplogruppi differenti. E’ noto il numero
medio di generazioni necessario perché si verifichi una mutazione: il calcolo è
relativamente semplice, ma approssimativo forzatamente, in quanto le mutazioni
possono essere sia aggiuntive che sottrattive di elementi: Lo YCC ha utilizzato
per primo una vasta quantità e varietà di markers, proprio per ridurre questo
errore. Oltre a questo metodo – induttivo – esiste il metodo diretto,
per datare una mutazione: si effettua su DNA antico non inquinato, che può dare
una data minima di anzianità.
[40] La più grande cultura paneuropea, risalente al
periodo Paleolitico Superiore, sviluppatasi fuori dall’Italia, dalla Russia
all’Atlantico e forse introdottasi in Italia – secondo alcuni – dalla Liguria.
[41]
La mutazione M26 è stata sinora rilevata, e solo
con basse frequenze, solo in poche altre popolazioni
europee: Castigliani (19%), Baschi
francesi (8%), Baschi spagnoli (6%)
e con percentuali ancora inferiori in Andalusia, in Italia centrale, Inghilterra, Scozia, Irlanda, etc. Semino et al., 2000;
Bosch et al., 2001;
Francalacci et al., 2003; Rootsi et al., 2004).
[42] Sanna, E., Iovine, M. C., Calò, C. M. La deriva
genetica ed il flusso genico interno hanno condizionato l’attuale struttura
biologica della popolazione sarda?
2006 - Antropo, 12, 43-52. www.didac.ehu.es/antropo.
[44] A. Torroni e A. Achilli, Univ. Degli Studi di Pavia;
Am Jour. Human Genetics, Aprile 2007. Studi per dottorato di ricerca in
genetica dal 2004 in poi dimostrano le stesse tesi, riconoscendo necessari
ulteriori studi più esaustivi. Ma vedi anche Piazza, Ann Hum Genetics 75:128 –
137 2004 . Nel 2007 cita una variante genetica di Murlo in comune con l’attuale
Turchia.
[45] L.L.Cavalli Sforza – Storia e geografia dei geni
umani, 1977 – Ed Adelphi.
Le
distanze genetiche dei sardi, in ordine crescente (X 10.000, con associato
Errore Standard) sono le seguenti:
Greci: 190
± 30
Italiani 221
± 54
Baschi 261
± 68
Libanesi 340
± 66
Nord Africani 732 ±
168
Ed
indicano che non esiste affinità tra Sardi ed Italiani e che c’è minore
distanza tra Sardi e Greci! (Incidentalmente, parlano anche contro l’ipotesi di
un’origine o forte parentela con i Fenici).
[46] G. Barbujani: “Studiando il cromosoma Y stimiamo che
il popolamento di gruppi umani nel Paleolitico superiore e nel Mesoltico abbia
contribuito alla struttura genetica dei Sardi attuali per oltre il 60%, mentre
il successivo apporto genetico da parte di popolazioni neolitiche non
supererebbe il 36%. Dunque larghissima parte del pool genetico dei Sardi
attuali discende da gruppi umani immigrati nell’Isola tra 20 mila e 5 mila anni
fa” - Da un’intervista dell’Unione Sarda, 05 Luglio 2005. Vedi anche di
seguito, tratto da “Genetic variations in prehistoric Sardinia” - Hum Genet, received Springer Links on June 4th
2007.
[47] “Genetic variation in prehistoric Sardinia” (2007)
David
Caramelli · Cristiano Vernesi · Simona Sanna · Lourdes Sampietro · Martina Lari
· Loredana Castrì ·
Giuseppe
Vona · Rosalba Floris · Paolo Francalacci · Robert Tykot · Antonella Casoli ·
Jaume Bertranpetit ·
Carles
Lalueza-Fox · Giorgio Bertorelle · Guido Barbujani .
[48] Anche questa è una tesi fortemente sostenuta più
volte, dal prof. M. Pittau nei suoi numerosi scritti. In questo caso, la tesi è
confortata dalle prove genetiche,
con grande soddisfazione anche da parte dello scrivente.
[49] Il che, naturalmente non esclude tutti quei contatti
non solo commerciali, che i reperti in tombe etrusche (Cavalupo di Vulci, etc.)
ed in territorio sardo (buccheri, bottoni etruschi, etc) hanno dimostrato. Né
inficia l’eventuale parentela linguistica tra Paleosardo ed Etrusco, la cui discussione è d’altrui competenza.
[52] Lo studio è stato rigorosamente condotto su un
campione di due denti da ciascun individuo (DNA mitocondriale). Purtroppo, il
campione è ridotto e questo è un limite. Per avere più significato si dovrebbe
espandere il numero. Uno dei
problemi, oltre alla scarsità della materia prima è il fatto che la metodica
implica la polverizzazione e distruzione del campione, cioè del reperto antropologico-archeologico che si
studia.
[53] Anche i dati archeologici sono contrari a questa
affinità.
[54] Lo zafferano era una spezia preziosa, molto più di
oggi, e forse più come colorante, più che per usi alimentari.
[55] Il gatto selvatico sardo sarebbe il felis libica, d’inserimento recente (trafugato dai fenici). Anche per questo sarebbe stata
dimostrata un’antica ed unica discendenza dalla mesopotamia, attraverso un
passaggio in Egitto.
[56] L’Univ di Sassari sembra stia conducendo studi
genetici su dogo sardesco, mastino
fonnese e alcuni paleoreperti sardi,
probabilmente di “Cynoterium sardous” o il suo più vicino predecessore
probabile, lo “Xenocyon” (Origin and adaptation of Cynotherium
sardous; di Lyras, Van der Geer, Dermitzakis, De Vos in JVP 26 (3): 735-745 –2007), ambedue canidi di
piccole dimensioni, con movimenti di lateralità del capo simili a quelli della
volpe.La conoscenza dei dati storici è necessaria. Ad esempio, il bue, forse
presente fin da epoca neolitica, è stato incrociato molte volte con “razze”
peninsulari, fin dall’antichità, modificandone l’originario genoma. Il
confronto con gli studi umani sarebbe di grande interesse.
[57] Anche questo è controverso: pare che i mustelidi
attualmente viventi sull’isola siano d’introduzione storica, per motivi
alimentari. (M. Masseti,”Quaternary biogeography of the mustelide family on
the mediterranean Islands” Proc. on
II Symp. on Carnivores – 1995). La volpe, un canide, potrebbe essere stata
introdotta nel Neolitico antico (Masseti e vinello, 1991; Masseti, 1993; Vigne,
1988 e 1992), smpre per motivi alimentari.
[58] J.C. Auffray,F. Vanlerberghe, J. Britton-Davidian “The
house mouse progression in Eurasia: a paleontological and archaeozoological
approach” Biol. J Linn Soc, vol 41,
num 1-3, pag 13-25. Sett 2007.
[59] Solo alcuni dei numerosissimi quesiti intorno ai
quali diverse squadre di scienziati e genetisti nel mondo stanno lavorando,
seguendo moderni principi omologati. S. Wells: “Deep Ancestry” National Geographic
2006.
[60] Questo appare difficilissimo, in Italia: sembra che all’estero si stiano invece organizzando
in questo senso, secondo logica. Il che permetterà loro di ottenere risultati
più rapidi e di qualità migliore dei nostri, se noi non seppelliremo le nostre
rivalità accademiche.
[61] Forse, appunto, anche la tanto ricercata zona di
“origine” dei portatori/creatori della Civiltà Nuragica; la loro
identificazione/differenziazione con i Sherdana; i motivi che hanno portato
all’edificazione di pozzi “sacri” molto simili intorno a tutta l’area
mediterranea e molti altri temi su cui, per adesso, la Scienza dice troppo poco
e la Fantarcheologia un poco
troppo…