Ho ricevuto una lettera dal prof. Pittau, di cui non ho capito subito per intero il motivo e le intenzioni (non essendo indirizzata a me), ma che intendevo pubblicare in ogni caso. Eccola, di seguito:
fusarola di Alghero
Alle Dott.e Giuseppina
Imperatori e Teresa Piermarini, autrici dell’opera «Lapis lapidis. Materiale e progetto per lo studio delle
epigrafi romane», Ascoli Piceno 2008, Librati Editrice.
Gentili Dottoresse,
Le ringrazio vivamente
per la segnalazione che mi hanno fatto della esistenza effettiva di fusarole
antiche, che presentano segni evidenti e certi di scrittura. Alcune le
conoscevo già. Però mi sento di poter precisare che nelle fusarole segnalate le
varie lettere risultano del tutto chiare, incise profondamente e con cura nel supporto
di terracotta.
Tutto al contrario
la fusarola rinvenuta nel nuraghe di Sant’Imbenia di Alghero ed ora esposta nel
Museo Archeologico di Sassari, presenta semplicemente dei ghirigori,
lievissimamente incisi sulla crosta dell’oggetto. E si tratta di ghirigori che
solamente chi non ha mai fatto studi seri di epigrafia può definire “lettere di
scrittura nuragica”.
Rinunziando a un mio
parere precedente, accetto quello espresso di recente dal collega epigrafista
Raimondo Zucca: si tratta di un semplice lusus (che vuol dire “presa in giro”) effettuato
da qualcuno degli scavatori del nuraghe di Alghero.
Saluti cordiali
Massimo Pittau
Dato che non conosco le gentili dott.sse Imperatori e Piermarini e non sono nemmeno al corrente di che cosa sia la fusarola d'Alghero (un parassita delle piante?), sono andato a cercare sull'Internet, per scoprirne l'aspetto formale e la sostanza. Ho subito trovato una fotografia dell'oggetto che riporto di seguito:
Allora sono andato a cercare la definizione di fusaiola della Treccani, che riporto qui:
In paletnologia, oggetto di terracotta, più raramente di pietra, bronzo o
piombo, di forma sferica, discoidale, conica o biconica, con un foro
centrale, la cui funzione era probabilmente quella di peso da telaio. (quindi la 'fusaiola' non è un parassita della vite nella zona d'Alghero, come credevo).
Sotto il nome "fusarola d'Alghero" c'è anche un articolo. Essendo anch'esso del professor Pittau, riporto volentieri anche quello, qui di seguito:
SARDI NURAGICI
E LA SCRITTURA
DI MASSIMO PITTAU
Mi
sento in dovere di rispondere positivamente al pressante ma cordiale
invito che l’egregio Maestro Franco Pilloni mi ha fatto a intervenire
ancora sulla nota questione dei Sardi Nuragici o Protosardi rispetto
alla “scrittura”. Una decina di giorni fa io ho ricordato che della
questione in effetti mi sono interessato a fondo in due mie opere
recenti, nelle quali ho presentato i risultati che ritengo di aver
raggiunto in 60 anni di mio interesse alla questione: Storia dei Sardi
Nuragici (Selargius CA 2007, Domus de Janas edit.) e Il Sardus Pater e i
Guerrieri di Monte Prama (Sassari I ediz. 2008, II ediz. 2009, EDES).
Siccome è fastidioso e pesante per un
Autore ritornare su una questione che egli ha trattato in precedenza,
oggi mi limito a presentare le linee essenziali della mia ricerca e
conclusione.
A) I Sardi Nuragici o Protosardi non
hanno mai avuto una loro “scrittura nuragica nazionale”, del tutto
differente dalle scritture allora in uso. Io ritengo che i Protosardi
non si siano mai inventati una loro “scrittura nuragica nazionale” per
la medesima ragione per la quale una “scrittura nazionale” non se la
sono inventati neppure quei popoli di avanzatissima civiltà, che sono
stati i Greci, gli Etruschi e i Romani. È cosa accertata infatti che i
Greci hanno preso la scrittura o alfabeto dai Fenici, gli Etruschi
l’hanno presa dai Greci e i Romani dagli Etruschi.
Quale mai ragione di fondo potevano
avere i Nuragici a crearsi una loro “scrittura nazionale”, quando in
effetti essi avevano a disposizione la scrittura fenicia, quella greca,
quella etrusca e quella latina? Sarebbe stato come se, uno dei popoli
del III Mondo, dopo la sua liberazione dai colonizzatori europei e per
spirito di rivalsa, avesse deciso di ripudiare il “computer” dei
colonizzatori e di costruirsi dal nulla un “computer” esclusivamente
abissino o ugandese o somalo o indocinese, ecc.
B) I Nuragici invece sono anch’essi
ricorsi alla “scrittura” che adoperavano altri popoli coi quali essi
avevano rapporti più o meno stretti. E precisamente, per scrivere i loro
messaggi, i Nuragici adoperarono prima la scrittura o alfabeto fenicio,
dopo quello greco e infine quello latino.
Questo è quanto io ho acquisito ed
esposto nelle mie citate opere, alle quali pertanto mi permetto di
rimandare. Però, per venire incontro al cortese invito del Maestro
Pilloni, ecco quanto mi sento di affermare ex novo su questo medesimo
argomento, anche per effetto e in vista del pullulare di tanti scritti,
alcuni dei quali mi sembra che non siano da rigettare o trascurare.
1) In epoca antica la Sardegna era
un’isola frequentata da quasi tutta la navigazione che si svolgeva nel
Mediterraneo centro-occidentale e per questo motivo non è inverosimile,
anzi è probabile che in Sardegna siano arrivati anche oggetti con
scritte tracciate con alfabeti differenti da quelli fenicio, greco,
etrusco e latino. E saranno stati in primo e principale modo vasi e
anfore e poi gioielli, armi, bronzetti, statuine sacre, amuleti.
Ebbene, in oggetti di questo genere – a
condizione che siano autentici e non altrettanti “falsi” – per esatta
metodologia epigrafica si ha l’obbligo di isolare eventuali “grafemi” o
segni grafici o lettere di differenti alfabeti e di distinguerli bene
l’uno dall’altro. Invece il mettere tutt’insieme grafemi egizi,
sumerici, fenici, greci, etruschi, ecc. vuol dire effettuare nient’altro
che grossi pasticci. Non è esistito infatti alcun alfabeto antico che
sia stato una “macedonia” o un “minestrone” di alfabeti. Presentare poi
questo “alfabeto-minestrone” come la “scrittura nuragica” è
semplicemente una operazione da ragazzi. Esiste dunque l’obbligo
metodologico di isolare e mettere assieme tutti quei grafemi o lettere
che sembrano uguali o simili tra loro, in vista della eventuale scoperta
di altrettanti differenti alfabeti.
2) In fatto di “scritture antiche” gli
abbagli sono molto frequenti anche fra gli specialisti; ed io pure ne ho
avuto più d’uno. Per questo motivo si deve essere disponibili a lasciar
perdere le “iscrizioni” che iscrizioni non sono; ad es. la supposta
iscrizione della targhetta di Tzricottu, nella quale a piena vista non
si vede altro che “segni ornamentali”. E a maggior ragione si debbono
lasciar perdere le successive targhette, di cui sono stati mostrati i
disegni, ma mai i relativi oggetti. E sorvolo sul fatto che queste
supposte “iscrizioni” non hanno nulla, proprio nulla a che fare con
altre scritte che compaiono in altri reperti.
3) A proposito di “falsi”, archeologici
ed epigrafici: ormai essi stanno circolando ampiamente in Sardegna,
promossi anche da un malinteso “spirito nazionalistico” con un fondo di
sardità esasperata. Io ne ho scoperto uno proprio in questi giorni: la
cosiddetta “rotella” rinvenuta nel villaggio di Palmavera di Alghero ed
esposta nel Museo di Sassari, innanzi tutto è una semplice fusarola e
inoltre contiene alcuni accenni di una misteriosa scrittura, appena
graffiati e nient’affatto incisi. A me è sembrata nient’altro che un
tentativo di falsificazione effettuato di recente.
“Falsi archeologici ed epigrafici” di
questo tipo sono entrati numerosi in un noto blog, come effetto del suo
essere dominato anch’esso da un malinteso “spirito nazionalistico
sardo”.
4) Dall’autorevole linguista Giacomo
Devoto io ho appreso questa importante norma di epigrafia: il primo
approccio interpretativo a una iscrizione si fa considerando la esatta
natura del supporto materiale in cui essa risulta scritta. Ad es., in
una stele funeraria dobbiamo cercare in primo luogo il nome del defunto e
dei genitori, poi la sua età, il suo curriculum, ecc. In un vaso di
pregio e in un gioiello si deve cercare il nome del donatore e quello
del donatario; in una statuina di divinità si deve cercare il suo nome,
quello del fedele donatore e la eventuale grazia richiesta da lui; ecc.
Contro questa fondamentale norma di
metodologia epigrafica, ho visto messo in giro una specie di
salsicciotto di creta, nel quale sarebbe scritto, in una scrittura
sconosciuta, il vocabolo “nuraghe”. Ma quale senso mai avrebbe una
simile scritta in un simile supporto? Si tratta invece di un evidente
“falso archeologico” che contiene una ugualmente “falsa iscrizione”. In
maniera analoga, quale mai senso avrebbe una iscrizione nella citata
fusarola di Palmavera? Detto in altre parole, in una stele funeraria si
cerchi un necrologio, in un unguentario si cerchi un omaggio a una
donna, ma in un salsicciotto di creta e in una fusarola non si cerchi
alcuna iscrizione.
5) In linea generale i “grafemi o segni
grafici” o lettere di alfabeto non sono “simboli” e inversamente i
simboli non sono lettere di alfabeto. Pertanto le elucubrazioni fatte
sui simboli non sono affatto dissertazioni linguistiche; anche perché
sui simboli si può dire tutto e anche il contrario di tutto.
6) Di tutte le scienze, perfino di
quelle più difficili, si può parlare con parole semplici e chiare. E
allora perché adoperare sempre e soltanto il “linguaggio ermetico” degli
specialisti? Ne deriva l’impressione che l’ermetismo linguistico
adoperato non sia altro che un tentativo di fare presa sugli ascoltatori
o lettori inesperti. E poi bisogna finirla con conferenze che durano
due ore, con innumerevoli e interminabili interventi fatti negli
ospitali blog. Si ha l’ovvia impressione che si vogliano conquistare gli
ascoltatori e i lettori “prendendoli per stanchezza”.
7) In ultimo, ai fini di un sensato e
proficuo studio di eventuali segni di scrittura in reperti sardi, non si
facciano entrare anche i medici e i biologi: questi saranno anche
bravissimi nel loro campo di specializzazione, ma in fatto di
linguistica e di epigrafia i loro interventi non possono ottenere altro
effetto quello di creare ulteriori confusioni.
So che si tratta della massima autorità sarda e mi fido pienamente del suo giudizio. Inoltre, ho grande ed immediata simpatia per chi ammette di avere talvolta commesso errori: infatti in precedenti articoli ho descritto come una delle stigmate più caratteristiche del 'ciarlatano' proprio l'atteggiamento di 'chi non sbaglia mai'. E' splendido come in poche parole semplici Il prof Pittau riesca a mettere elegantemente all'angolo i cialtroni linguistici, dettando ai non esperti (noi) alcune facili norme: "...
in una stele funeraria si cerchi un necrologio, in un unguentario si cerchi un omaggio a una donna, ma in un salsicciotto di creta e in una fusarola non si cerchi alcuna iscrizione".
Parole molto simili nella sostanza e negli intenti a quelle di altri veri epigrafisti e linguisti di fama, come C.A. Rollston. Mi sento obbligato a ripetere il saggio principio per cui coloro che sostengono come autentici reperti falsi o artefatti, o sono in grave errore o sono falsari anch'essi. Mi è arrivata anche un'altra "notizia dal telaio", ma ne farò oggetto di un altro post. |