domenica 17 marzo 2013

IDENTIKIT del FALSARIO




 Chi avesse avuto la pazienza di leggere gli articoli sui vari falsi archeologici pubblicati sin qui (e non sono tutti: ne esistono molti altri!), si sarebbe già fatta una chiara idea di quale sia 




 l’identikit del falsario.














l’identikit del falsario.


1) Si tratta più spesso di persone con posizione e titoli sufficienti a garantire l’assoluta insospettabilità. Gente di specchiata rispettabilità, come più correntemente si dice, spesso ottenuta meritatamente attraverso una carriera professionale adamantina.
Anche per questo – quando scoppia lo scandalo (prima o poi succede, sempre) – sono in moltissimi ad esprimere la propria incredulità più sincera e sentita.
Ma è proprio per questo miserabile sfruttamento della propria credibilità a fini fraudolenti che i falsari meritano un tanto peggiore giudizio.

2) La ‘produzione’ del falsario. Il materiale prodotto dal falsario è adesso un po’ più raro a trovarsi, vista la grande evoluzione dei mezzi d’indagine attuali, precisissimi a diagnosticare correttamente.
In genere, quasi tutti i falsi possiedono alcune caratteristiche rilevabili anche a prima vista, purché si sia un po’ attenti. Innanzitutto, le loro condizioni di conservazione vanno attentamente prese in considerazione: il tempo e gli agenti atmosferici non possiedono un senso estetico umano e – soprattutto – non possiedono una tesi fantasiosa da vendere e da monetizzare. Quando distruggono e corrodono un manufatto, lo fanno in modo indiscriminato e senza affezione. Il falsario ha sempre una certa debolezza, invece: quella di conservare troppo bene la visibilità della sua creazione e la leggibilità dei propri scritti artefatti con tanta fatica. Qui posso fare subito qualche esempio preciso: i cocci baschi di Veleia. Erano frantumi ceramici antichi e quindi ‘veri’: il falso stava nelle incisioni postume. I pezzi erano anche piuttosto piccoli, ma portavano ciascuno qualche cosa d’intero, una figura ben visibile o una scritta ben leggibile, tanto da sembrare tutte opere inscritte appositamente nella forma del coccio e fine a se stesse, non parte di una composizione più grande. Anche i ciottoli di Allai possiedono le medesime caratteristiche: certamente, come ciottoli di fiume, essi hanno la stessa età della Terra, quindi non presentano problemi di datazione al falsario. Ma sembra quasi che il fiume Tirso abbia arrotondato, smussato e sabbiato i ciottoli per quasi tre decine di secoli, curando di risparmiarne premurosamente le scritte in lingua Etrusca. Ove venisse dimostrato che quelle scritte costituiscono copie di altri originali già precedentemente noti (proprio come di fatto è accaduto), il gioco sarebbe chiuso definitivamente.

3) Ma anche i falsari si evolvono: in tempi recenti la loro produzione si è rivolta piuttosto che a materiale concreto e valutabile, a riproduzioni che non permettono una valutazione scientifica completa (fotografie, oppure calchi, altro). 
In più – e peggio – il falsario si è pesantemente affidato all’orgoglio identitario locale, allo scopo d’essere subito meglio accolto dall’opinione comune popolare. In questo modo, il falsario non solo si fa scudo del ‘sentimento identitario’ di un gruppo umano ben distinto, ma ne diventa anche un paladino. Si garantisce pertanto non solo uno strumento di amplificazione delle proprie fantasie, ma anche un compatto gruppo di difesa.
In questa forma del fenomeno rientrano gli stessi cocci baschi di cui sopra, il sarcofago d’Ercole di Tarragona e le meno note Tavolette di Tzricottu. Di queste ultime, che si vorrebbe fossero cinque, una sola è stata vista in originale e giudicata uno stampo decorativo, per la sua simmetria. È datata al medioevo e non alla preistoria. Le altre sono solamente calchi falsificati, artefatti malamente.
La fantasia popolare, eccitata dalla celebrazione identitaria (l’estrema antichità della presunta ‘scrittura nuragica’ suppone un' enorme precedenza temporale della Cultura Nuragica) che il falso sottende, non accetta che l’imputazione di falso sia corretta scientificamente, anzi si identifica più direttamente proprio in chi per apparente patriottismo celebra l’identità ed i suoi valori, speculandoci sopra in vari modi.

4) I motivi che spingono il falsario sono ovunque sempre compresi nella stessa gamma: una grande passione (che egli sempre ammette); il desiderio d’avanzamento in carriera, o più genericamente desiderio di fama; la ricerca di soddisfazione economica; il desiderio di rivalsa contro chi lo ha estromesso da una (brillante) carriera; i benefici che derivano dall’essere un simbolo identitario in un gruppo che sente fortemente l’identità.

5) In conclusione, gli esempi del passato invitano ad un certo pessimismo ed ottimismo insieme.
- I falsari (mitomani, profittatori, sostenitori di false ideologie e di teorie strumentali, di favole metropolitane, di dietrologie, etc.) esisteranno sempre: non è possibile eliminarne la presenza.
- Ma – d’altro canto – prima o poi saranno sempre scoperti. La loro identificazione può avvenire post mortem, come nel caso dell’Uomo di Piltdown, (il colpevole fu identificato in Charles Dawson) oppure può avvenire – molto più laboriosamente – attraverso un lungo processo civile (e talvolta penale), non senza avere prima fatto dei danni. I casi delle terrecotte etrusche del Metropolitan Museum, delle tavole di Glozel, del Gigante di Cardiff, della Tiara di Saitaferne e dei cocci di Veleia sono solamente esempi dimostrativi.
Alcuni falsi sono stati forgiati così abilmente, da lasciare un lungo strascico di polemiche: ad esempio, la Fibula Prenestina, la Tomba di Giuseppe e così via.

6) Coloro che – oggi – sostengono l’autenticità di falsi dimostrati sopra citati, o sono in grave errore o sono falsari essi stessi.