l’identikit del falsario.
l’identikit del falsario.
1) Si tratta più spesso di persone con posizione e titoli
sufficienti a garantire l’assoluta insospettabilità. Gente di specchiata
rispettabilità, come più correntemente si
dice, spesso ottenuta meritatamente attraverso una carriera professionale
adamantina.
Anche per questo – quando scoppia lo scandalo (prima o poi
succede, sempre) – sono in moltissimi ad esprimere la propria incredulità più
sincera e sentita.
Ma è proprio per questo miserabile sfruttamento della
propria credibilità a fini fraudolenti che i falsari meritano un tanto peggiore
giudizio.
2) La ‘produzione’ del falsario. Il materiale prodotto dal
falsario è adesso un po’ più raro a trovarsi, vista la grande evoluzione dei
mezzi d’indagine attuali, precisissimi a diagnosticare correttamente.
In genere, quasi tutti i falsi possiedono alcune
caratteristiche rilevabili anche a prima vista, purché si sia un po’ attenti.
Innanzitutto, le loro condizioni di conservazione vanno attentamente prese in considerazione: il tempo e gli agenti
atmosferici non possiedono un senso estetico umano e – soprattutto – non
possiedono una tesi fantasiosa da vendere e da monetizzare. Quando distruggono
e corrodono un manufatto, lo fanno in modo indiscriminato e senza affezione. Il
falsario ha sempre una certa debolezza, invece: quella di conservare troppo
bene la visibilità della sua creazione e la leggibilità dei propri scritti artefatti con tanta fatica. Qui
posso fare subito qualche esempio preciso: i cocci baschi di Veleia. Erano
frantumi ceramici antichi e quindi ‘veri’: il falso stava nelle incisioni
postume. I pezzi erano anche piuttosto piccoli, ma portavano ciascuno qualche
cosa d’intero, una figura ben visibile o una scritta ben leggibile, tanto da
sembrare tutte opere inscritte appositamente nella forma del coccio e fine a se
stesse, non parte di una composizione più grande. Anche i ciottoli di Allai
possiedono le medesime caratteristiche: certamente, come ciottoli di fiume,
essi hanno la stessa età della Terra, quindi non presentano problemi di
datazione al falsario. Ma sembra quasi che il fiume Tirso abbia arrotondato,
smussato e sabbiato i ciottoli per quasi tre decine di secoli, curando di
risparmiarne premurosamente le scritte in lingua Etrusca. Ove venisse
dimostrato che quelle scritte costituiscono copie di altri originali già
precedentemente noti (proprio come di fatto è accaduto), il gioco sarebbe chiuso definitivamente.
3) Ma anche i falsari si evolvono: in tempi recenti la loro
produzione si è rivolta piuttosto che a materiale concreto e valutabile, a riproduzioni che non
permettono una valutazione scientifica completa (fotografie, oppure calchi,
altro).
In più – e peggio – il falsario si è pesantemente affidato all’orgoglio identitario locale, allo scopo d’essere subito meglio accolto dall’opinione comune popolare. In questo modo, il falsario non solo si fa scudo del ‘sentimento identitario’ di un gruppo umano ben distinto, ma ne diventa anche un paladino. Si garantisce pertanto non solo uno strumento di amplificazione delle proprie fantasie, ma anche un compatto gruppo di difesa.
In più – e peggio – il falsario si è pesantemente affidato all’orgoglio identitario locale, allo scopo d’essere subito meglio accolto dall’opinione comune popolare. In questo modo, il falsario non solo si fa scudo del ‘sentimento identitario’ di un gruppo umano ben distinto, ma ne diventa anche un paladino. Si garantisce pertanto non solo uno strumento di amplificazione delle proprie fantasie, ma anche un compatto gruppo di difesa.
In questa forma del fenomeno rientrano gli stessi cocci
baschi di cui sopra, il sarcofago d’Ercole di Tarragona e le meno note
Tavolette di Tzricottu. Di queste ultime, che si vorrebbe fossero cinque, una
sola è stata vista in originale e giudicata uno stampo decorativo, per la sua
simmetria. È datata al medioevo e non alla preistoria. Le altre sono solamente
calchi falsificati, artefatti malamente.
La fantasia popolare, eccitata dalla celebrazione
identitaria (l’estrema antichità della presunta ‘scrittura nuragica’ suppone un' enorme precedenza temporale della Cultura Nuragica) che il falso
sottende, non accetta che l’imputazione di falso sia corretta scientificamente,
anzi si identifica più direttamente proprio in chi per apparente patriottismo
celebra l’identità ed i suoi valori, speculandoci sopra in vari modi.
4) I motivi che spingono il falsario sono ovunque sempre compresi nella stessa gamma: una grande passione
(che egli sempre ammette); il desiderio d’avanzamento in carriera, o più
genericamente desiderio di fama; la ricerca di soddisfazione economica; il desiderio di
rivalsa contro chi lo ha estromesso da una (brillante) carriera; i benefici che
derivano dall’essere un simbolo identitario in un gruppo che sente fortemente l’identità.
5) In conclusione, gli esempi del passato invitano ad un
certo pessimismo ed ottimismo insieme.
- I falsari (mitomani, profittatori, sostenitori di false
ideologie e di teorie strumentali, di favole metropolitane, di dietrologie, etc.) esisteranno sempre: non è possibile
eliminarne la presenza.
- Ma – d’altro canto – prima o poi saranno sempre scoperti.
La loro identificazione può avvenire post mortem, come nel caso dell’Uomo di
Piltdown, (il colpevole fu identificato in Charles Dawson) oppure può avvenire
– molto più laboriosamente – attraverso un lungo processo civile (e talvolta
penale), non senza avere prima fatto dei danni. I casi delle terrecotte
etrusche del Metropolitan Museum, delle tavole di Glozel, del Gigante di
Cardiff, della Tiara di Saitaferne e dei cocci di Veleia sono solamente esempi
dimostrativi.
Alcuni falsi sono stati forgiati così abilmente, da lasciare
un lungo strascico di polemiche: ad esempio, la Fibula Prenestina, la Tomba di
Giuseppe e così via.
6) Coloro che – oggi – sostengono l’autenticità di falsi
dimostrati sopra citati, o sono in grave errore o sono falsari essi stessi.