I raggruppamenti umani sono molteplici e multiformi: famiglia, quartiere, città, nazione; studenti di varie classi ed età, occupati di vario grado e reddito e disoccupati, proletari e patrizi. Bianchi, neri e gialli. Religiosi d’ogni credo, laici, atei, agnostici e marrani. Fedeli e voltagabbana, traditori e patrioti. Bevitori ed astemi. Rotariani e Lyons, Templari, Rosacroce e Massoni. Interisti e Milanisti. Occidente ed Oriente, Nord e Sud. Ogni gruppo e categoria conferisce all’individuo che vi appartiene un grado differente di sicurezza distintiva, e lo attrae con proporzionalmente differente forza di attrazione.
Che esista in ognuno un preciso senso d’appartenenza ad un
gruppo più o meno vasto e che questo senso d’appartenenza dia una certa dose di
soddisfazione all’individuo è il primo motivo per l’esistenza dei sentimenti d’identità. Alcuni esempi
d’identità? Tra le migliaia possibili:
I Cinesi s’identificano nella loro millenaria saggezza e
nella propria cultura, prima inventrice di numerosissimi ritrovati che
sarebbero giunti solo tardivamente – e solo in parte – nell’Occidente. Ma va da
sé che non tutti i cinesi che possiamo incontrare sono colti o sono saggi,
solamente perché ‘appartengono’ al vasto club dei cinesi. E questo vale per
tutti gli altri iscritti agli altri club.
I Persiani si identificano nella Culla Mesopotamica che ha
dato origine a quasi ogni cosa, dalla prima produzione di cibo all’aggregazione
in città, alla scrittura, all’astronomia ed agli strumenti del ‘progresso’.
I Francesi s’identificano nei Galli e vanno orgogliosi del
coraggio antagonista mostrato da Vercingetorige contro lo strapotere militare
dei Romani. In realtà, una buona parte dei Francesi preferisce identificarsi
nel ben più grande e più recente Sacro Romano Impero di Carlo Magno.
C’è qui un certo strabismo identitario, ma pur sempre e
comunque animato da un forte sentimento nazionalista.
Alcuni Italiani si rifanno in qualche modo alla forza
dell’Antica Roma: ad esempio, anche il Fascismo Italiano s’ispirò ai suoi
simboli di potere, appropriandosene per auto - rappresentarsi (il Fascio
etrusco, il saluto romano).
I Greci s’identificavano talvolta (sempre più di rado, oggi, con questa crisi)
nei valori dell’Ellade classica, che si reputa spesso – esagerando – unica
depositaria e creatrice della Cultura Occidentale, oppure almeno dei suoi
Canoni artistici distintivi...
Forse nessuno s’identifica nei Vichinghi (dichiarandosene
orgogliosamente discendente) proprio perché essi non costituiscono un esempio
positivo nella Storia, anzi sono considerati solitamente violenti e brutali. E
questo è un errore tanto quanto il rappresentarli con un elmo cornuto, che essi
non portarono mai nella realtà.
Altri ancora s’identificano nei propri rispettivi eroi
positivi del passato e nella grandezza trascorsa del proprio paese. Tutti i
gruppi umani possiedono insomma i propri relativi idoli – a guardar bene – e ne
hanno fatto simboli distintivi identitari, attorno ai quali riunirsi per
rafforzare il proprio sentimento di appartenenza e per difendersi dagli
‘altri’, che non ne fanno parte.
Naturalmente, tanto più isolato si viene a trovare un gruppo
umano, tanto più facile è che esso sviluppi peculiarità che lo
contraddistinguono da qualunque altro. Questo è tanto più vero quanto più i
motivi dell’isolamento sono insuperabili: ostacoli geografici, ostacoli
culturali, ostacoli religiosi.
Quanto più a lungo poi dura questo isolamento e tanto
maggiori diventano le divergenze: la Genetica di Popolazione e la Storia ci
dimostrano che da una stessa
popolazione originaria ne possono nascere due distinte, che alla fine sono così
evidentemente differenti l’una dall’altra da mostrare ostilità l’una con
l’altra.
In più, talvolta questi idoli identitari, sui quali si
basano giudizi e pregiudizi, sono totalmente inventati ed esistono solo nella
fantasia: egualmente, la popolazione che li ha inventati si affeziona ad essi e
anzi li difende con forza dai ‘detrattori’ che ne negano con iconoclasta
insistenza l’esistenza.
È una debolezza tutta umana, in fondo.
Ma si deve riuscire a guardarci dentro ed attraverso.
Il che significa che si deve comprenderla interamente per
renderla inoffensiva, perché nasconde un serio pericolo.
L’identità – qualunque essa sia – si accompagna
automaticamente, irrazionalmente, a crescenti motivi d’orgoglio quanto più
valido, unico, rappresentativo di positività, appare essere il gruppo cui si
appartiene.
Ma ci si dovrebbe soffermare su un fatto fondamentale: è
giustificato essere orgogliosi per un risultato conseguito con la nostra fatica, per un traguardo ottenuto con
la nostra bravura, per un bersaglio colpito con l’impegno ed il coraggio.
Insomma, l’orgoglio può essere giustificato da un’acquisizione che sia costata
a noi personalmente qualche cosa in termini di partecipazione attiva, di
sacrificio, di capacità e di attenzione.
Non si può – ad esempio – essere orgogliosi di essere nati
in un determinato posto: questo equivale ad essere orgogliosi del caso
fortuito, che è un assoluto controsenso. È come essere orgogliosi di avere
tirato i dadi ed avere fatto un tale punteggio piuttosto che un altro.
Se il posto in cui si è nati è bello, ridente e piacevole,
se ne può essere contenti e soddisfatti. Ci si può sentire fortunati se è
accogliente in tutti i sensi: ma questo è tutta un’altra cosa che esserne
orgogliosi. Ci si può persino dispiacere per coloro che sono nati e risiedono
altrove, ma anche qui il sentimento chiamato in causa è ben differente
dall’orgoglio.
Ecco che i vari ‘orgoglio padano’, ‘orgoglio siciliano’,
‘orgoglio sardo’ e così via elencando, appaiono e sono di fatto fatuità
pericolose, perché nascono un altro e ben più pericoloso "sentimento
identitario": il nazionalismo, che
non è un moto dell’animo, come vorrebbe sembrare, bensì un'ideologia politica, che conduce a metodi deteriori di comportamento.
Se ti vuoi annoiare, continua a leggere:
I Livelli Delle Organizzazioni Umane.
Per quanto concerne la
complessità degli aggregati umani, gli antropologi distinguono quattro diverse
fasi d’organizzazione: Banda, Tribù, Chefferie (una specie di Potentato o
Principato) e Stato. Probabilmente, 40.000 anni fa, tutto il genere umano
viveva in bande. Ancora 11.000 anni fa, la maggioranza era dispersa in questi
piccoli gruppi. Alcune comunità, ancora oggi vivono in bande.
La banda, per intendersi, è l’eredità di milioni d’anni
d’evoluzione. I gorilla e gli scimpanzé (ambedue rimasti africani, come fu
anche l’uomo, in origine) vivono in bande di poche unità di parenti. Si pensava
che le bande fossero non violente, fino a che ci si è accorti che la più comune
causa di morte, nel suo ambito, è l’omicidio. Si deve notare che,
nel passare da un livello più semplice ad uno più complesso, l’elemento
costantemente presente è l’incremento di popolazione: si passa da poche decine
d’individui, fino ad almeno 50.000. Le popolazioni di Cacciatori/Raccoglitori
non sono mai riuscite, in genere, a completare l’ascesa della complessità
d’aggregazione. Il primo gradino di tale scala è dato dall’agricoltura,
sufficiente ad innescare il processo d’ascesa, fino a produrre differenze
marcate, anche tra due popolazioni identiche, in origine.
La Tribù è formata da alcune centinaia d’individui, non più
nomadi, ma insediati in villaggi. È abbastanza piccola, perché i suoi
componenti si conoscano tutti e ricordino il reciproco grado di parentela. Le
relazioni interpersonali sono basate sulla parentela e sul clan. Le decisioni
sono prese tra pari, anche se può esservi un certo grado d’influenza di un capo.
I conflitti interni trovano soluzioni per lo più informali. Esistono forme
almeno iniziali d’allevamento ed agricoltura. Non c’è divisione del lavoro, né
stratificazione della società. Non compaiono ancora né beni di lusso, né
schiavitù, né alfabetizzazione, né edifici pubblici. Le prime tribù apparvero
nella (MF) circa 13000 anni fa.
La Chefferie conta già migliaia (o decine di migliaia)
d’individui, più villaggi (di cui uno è il più importante) e relazioni
interpersonali basate su classe sociale e residenza. Essa rappresenta un
mutamento enorme dalla tribù. Affida i processi decisionali ad un’autorità
centrale, la sola che possa usare la forza. Possiede qualche livello di
burocrazia. La religione ha già il ruolo di giustificare la cleptocrazia: anzi
si crea un’ideologia istituzionalizzata, che rafforza l’autorità del capo. Ogni
individuo accetta l’obbligo dei tributi per costruire templi (che ricordano
l’esistenza del potere centrale). In cambio, avrà stabilità, la sicurezza che
gli altri membri, pur non conoscendolo, non lo uccideranno, per l’appartenenza
alla stessa etnia, con la stessa lingua, gli stessi ideali, la
stessa religione, lo stesso capo. Le
eccedenze servono a mantenere i ruoli non produttivi. L’agricoltura e
l’allevamento si fanno intensivi. Compaiono stratificazioni sociali e divisione
del lavoro. Compaiono beni di lusso per l’elite: il capo deve essere
immediatamente riconoscibile. Nascono forme ritualizzate esteriori di rispetto
religioso e sociale (ad esempio: la proscinesi, l’inchino). Fa la sua comparsa la
schiavitù. Le prime Chefferie comparvero
nella Mezzaluna Fertile attorno al 5500 a. C. mentre l’america centrale dovette
attendere fino al 1000 a. C. Nella Chefferie si realizzano opere
sociali che sarebbero onerose per iniziative singole, s’edificano edifici monumentali. Il baratto perdura, ma l’economia
s’affida anche al sistema di raccolta centrale e redistribuzione, che prefigura
le moderne imposte. In genere, le Chefferie non hanno mai prodotto documenti
scritti.
Lo Stato è la forma d’aggregazione che necessita di meno
descrizioni. Sappiamo che i primi stati mesopotamici possedevano un controllo
centrale dell’economia. Quattro erano le categorie di produttori di cibo:
ortofrutticoltori, pastori, pescatori, coltivatori di cereali. L’autorità
centrale riceveva i loro tributi e forniva in cambio attrezzi, semi e cibo. Lo
stato manteneva anche gli operai necessari per le opere pubbliche. Nei primi
stati, lo schiavismo s’applica su larga scala, compaiono capitali
grandi e fastose, i ruoli non produttivi s’articolano e si differenziano
seguendo le crescenti necessità della burocrazia. L’ideologia si fa più
insistita: non esiste un esercito, che non abbia un Dio dietro di sé. Tra i
soldati figurano potenziali eroi e martiri della Patria.
Va notato che questo modo di
pensare è del tutto inesistente, nella banda o nella tribù: in esse esistono la
guerra e la possibilità di morire, ma si sferra un attacco solo se si ha una
schiacciante superiorità, che assicura la vittoria. Si combatte solo per la
preda, per il cibo, per qualche cosa, d’immediato e concreto, che gli altri
possiedono. Non si combatte
per la comunità, per la sicurezza, o per un futuro sereno. La chefferie e lo
Stato segnano la nascita dell’ideologia. Fino a 6000 anni fa, ogni fanatismo
religioso e politico era del tutto sconosciuto, nel mondo.
Questo è esattamente il pericolo
che si nasconde – purtroppo ben mimetizzato – nel cosiddetto “sentimento
identitario”. Quando non ben ponderato da ognuno, l'apparentemente innocuo 'sentimento identitario' non significa solo "volere tanto bene alla propria terra ed ai propri conterranei": la sdolcinatura si stempera anche con qualche cosa di ben più duro. Si accompagna infatti a chiusura nei confronti degli altri. Eventualmente anche a più o meno dichiarati sentimenti antagonisti e potenzialmente aggressivi nei confronti di tutti coloro che sono "altro" da noi, che non appartengono al club, che non possiedono la stessa ideologia.