domenica 31 marzo 2013

Legno d'Olivo, chiodi a testa quadra, nei polsi


Van Dick: "Crocifissione", con corretto posizionamento dei chiodi
tra le ossa dell'avambraccio presso i polsi.

Crocifissione.

Gesù morì inchiodato a una croce il giorno 14 di Nisan venerdì 7 Aprile dell’anno 30. Così si può dedurre dall’analisi critica dei racconti evangelici, messi a confronto con le allusioni alla sua morte trasmesse nel Talmud (cfr. TB, Sanhedrin Vi, 1; fol. 43 a).

Questa immagine di insopportabile disumanità. Era un venerdì, il sole era tramontato, Gesù dopo un regolare processo fu frustato e flagellato con 120 colpi di flagello, uno strumento formato da un manico e da tre o quattro cordicelle che terminavano con delle punte di piombo o con degli ossicini. Le frustrate furono date su tutto il corpo, ma non sulla parte cardiaca, perchè il condannato non doveva morire subito ma sulla croce. Gesù viene crocifisso, ma non come era uso fare con i condannati che venivano legati alla croce, ma venne inchiodato alla croce per mezzo di quadrati chiodi di ferro, è certo che la crocifissione avenne in terra, e i chiodi che inchiodarono le arti superiori non furono penetrati nelle mani come si vede in tanti crocifissi e dipinti, ma i chiodi trapassarono i polsi, questo ha permesso a un corpo di 75kg. di rimanere appeso per tanto tempo che altrimenti sarebbe caduto quasi subito, i piedi invece furono inchiodati insieme con un unico chiodo, senza alcun appoggio. (C'è qualcuno che sostiene e si sono visti anche qualche crocifisso e dipinto che i piedi di Gesù furono inchiodati separatamente, oppure incrociati ma con un appoggio.) La crocifissione era il più crudele dei supplizi.
Anche la corona di spine che cinse il capo di Cristo non era rotonda come la si vede nei crocifissi, e nella varie illustrazioni, ma era un insieme di spine a forma di copricapo piuttosto irregolare che gli venne conficcato sul capo senza tante cerimonie e fissata attorno al capo mediante un laccio. 
La morte avvenne dopo tre ore di atroce agonia, la causa gravi disturbi respiratori dovuti alla posizione della crocifissione

Le cause della morte possono essere tre, 
- La prima colasso ortostatico, causa che tutto il sangue del corpo cadde verso il basso non affluendo più al cuore e al cervello. 
- Seconda causa, crampi tetanici che hanno provocato l'asfissia. 
- E terza causa, lo spezzarsi del cuore, e a questo si attribuisce l'acutissimo grido che Gesù fece prima di morire: "Imma" "Mamma".
Oggi la corona e un pezzo della croce si trovano conservati a Parigi nella cattedrale di Notre Dame. 
Il Sacro Manto è custodito a Treviri in Germania e la Sacra Tunica a Argenteuil in Francia, Dopo una lunga teologica disputa tra la cattedrale di Treviri e il convento di Argenteuil per possedere l'autentico mantello di Cristo è stato ora amichevolmente deciso che una possegga il Manto Sacro e l'altra la Tunica Sacra. Il più prezioso dei due indumenti è il Mantello causa delle due miracolose guarigioni verificatesi nel 1884 dopo che gli interessati l'avevano toccato.

La crocifissione era una pena di morte che i Romani applicavano a schiavi e sediziosi. Aveva un carattere infamante, per cui di per sé non si poteva applicare a un cittadino romano, ma solo agli stranieri (i crocifissi erano esposti lungo le strade maggiori; sulla croce era esposta una copia della sentenza, in modo che tutti potessero conoscere che per quel tale delitto era prevista proprio quella pena). Da quando l’autorità romana si stabilì in terra d’Israele, numerose sono le testimonianze del fatto che questa pena era applicata con relativa frequenza. Il procuratore di Siria Quintilio Varo aveva crocifisso nell’anno 4 a.C. duemila giudei come rappresaglia per una sedizione.

Per quello che si riferisce al modo in cui poté essere crocifisso Gesù, sono di indubbio interesse le scoperte effettuate nella necropoli di Givat ha-Mivtar nei dintorni di Gerusalemme. Lì fu trovata la tomba di un uomo che fu crocifisso nella prima metà del I secolo d.C., quindi contemporaneo di Gesù.

La crocifissione era una pena di morte che i Romani applicavano a schiavi e sediziosi. Aveva un carattere infamante, per cui di per sé non si poteva applicare a un cittadino romano, ma solo agli stranieri.

L’iscrizione sepolcrale ci permette di conoscere il suo nome: Giovanni, figlio di Haggol. Misurava 1 metro e 70 di statura e aveva circa venticinque anni quando morì. Non c’è dubbio che si tratta di un crocifisso e che i seppellitori non poterono estrarre il chiodo che gli trafiggeva i piedi, il che li obbligò a seppellirlo con il chiodo, che a sua volta conservava parte del legno. Questo ha permesso di sapere che la croce di questo giovane era di legno d’olivo. Sembra che avesse una leggera sporgenza di legno tra le gambe che poteva servire per appoggiarsi un poco, utilizzandolo come sedile, in modo che il reo poteva recuperare un poco le forze (ma in tal modo prolungando l’agonia) evitando con questo piccolo sollievo una morte immediata per asfissia, che si sarebbe prodotta se tutto il peso avesse gravato sulle braccia, senza nulla su cui appoggiarsi (impedendo la respirazione per gravità). Le gambe sarebbero state leggermente aperte e piegate. I resti trovati nella sepoltura mostrano che le ossa della mano non erano né trafitte né rotte. Per questo, la cosa più probabile è che le braccia di quest’uomo siano state semplicemente legate con forza alla traversa della croce (a differenza di Gesù, che venne inchiodato). I piedi, invece, erano stati attraversati dai chiodi.
Uno di essi conservava fissato un chiodo grande e piuttosto lungo.

Per la posizione in cui si trova si potrebbe pensare che lo stesso chiodo abbia attraversato i due piedi nel modo seguente: le gambe stavano un po’ aperte e il palo rimaneva nel mezzo, la parte sinistra della caviglia destra e la parte destra della caviglia sinistra erano appoggiate ai lati del palo, il lungo chiodo attraversava prima un piede nella caviglia, poi il palo di legno e poi l’altro piede. Il supplizio era tale che Cicerone qualificava la crocifissione come “il massimo supplizio”, “il supplizio più terribile e crudele”, “il peggiore e l’ultimo dei supplizi, che si infligge agli schiavi” (In Verrrem II, libro V, 60-61).

Nella sua offerta alla morte di Croce, manifesta la grandezza dell’amore di Dio verso ogni essere umano.

Comunque, per approssimarsi alla realtà di quello che significò la morte di Gesù in croce, non è sufficiente fermarsi ai tragici e dolorosi dettagli che la storia è in grado di illustrare, poiché la realtà più profonda è quella che proclama “che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture” (I Cor. 15,3).

Nella sua offerta generosa alla morte di Croce manifesta la grandezza dell’amore di Dio verso ogni essere umano: “Dio dimostra il suo amore verso di noi in quanto, essendo ancora peccatori, Cristo morì per noi” (Rm 5,8).

Francisco Varo, decano della facoltà di Teologia dell'Università di Navarra (Spagna)

BIBLIOGRAFIA:
- Simon LEGASSE, El proceso de Jesús. La historia (Desclée de Brouwer, Bilbao 1995 137-143);
- Nicu HAAS, “Antropological Observations on the Skeletal Remains of Giv’at ha-Mivtar”: Israel Exploration Journal 20 (1970) 38-59;
- Francisco VARO, Rabí Jesùs de Nazaret, (B.A.C., Madrid 2005) 186-191.