sabato 8 febbraio 2014

Artemide e la prostituzione sacra in Sardegna

Artemide e la prostituzione sacra in Sardegna


di Massimo Pittau



Nella Lidia in Asia Minore – terra di origine dei Sardi, dalla cui capitale Sardis hanno derivato il loro nome - era venerata come una divinità nazionale Artemide, alla quale era dedicato un famoso santuario nella capitale Sardis (Artemide Sardiana) e uno ancora più famoso ad Efeso (Artemide Efesia); quest'ultimo era tanto grandioso e splendido che veniva incluso nel novero delle «Sette Meraviglie del Mondo». Efeso era diventata una colonia greca della Ionia, ma in precedenza era stata una città della Lidia, come fa intendere anche Erodoto (I, 142).

In Sardegna alcuni riscontri toponomastici ci suggeriscono con grande verosimiglianza che anche nell'Isola era conosciuto e praticato il culto della lidia Artemide. Il primo consiste nella denominazione del villaggio di Assèmini, situato nell'apice nord-occidentale della laguna di Santa Gilla di Cagliari, che nel medioevo si diceva Arsemine\1\. Nei tempi antichi, prima che la laguna venisse parzialmente interrata dai detriti dei fiumi Mannu e Cixerri, Assemini costituiva un centro marittimo assai importante, perché risultava il più avanzato nella direzione della pianura del Campidano e della vallata del Cixerri.
Siccome nella lingua lidia Artemide si diceva propriamente Artimuś, si deve supporre che questo nome di divinità abbia subìto un processo di adattamento alla fonologia della lingua greca e dopo a quella latina, sino a trasformarsi nel sardo medioevale Arsemine, il quale presuppone appunto un lat. Artemide(m). Il passaggio da Artemide(m) ad Arsemine sarà avvenuto attraverso la forma del teonimo, realmente documentata in Sardegna da una iscrizione latina, Arthemide(m)\2\.

È molto probabile che Assemini sia stato il primo e il principale punto di approdo dei Sardiani provenienti dalla Lidia, che sia diventato il loro centro più importante e che appunto per questo sia stato consacrato alla grande dea della madrepatria anatolica, derivandone la propria denominazione teoforica o sacrale.
Inoltre è probabile che pure il villaggio di Serdiana, che dista una decina di chilometri da Assemini, tragga la sua denominazione dalla già citata Artemide Sardiana. Ed è dunque molto verosimile che esistesse una distinzione di natura rituale: che cioè Assemini fosse dedicata ad Artemide Efesia, quella venerata ad Efeso, e Serdiana fosse dedicata ad Artemide Sardiana, quella venerata a Sardis\3\. 

Connessa col culto di Artemide anatolica in generale e di quella lidia in particolare era l'usanza della «prostituzione sacra», quella che viene accennata dallo stesso Erodoto nel lungo passo che abbiamo visto poco fa\4\, usanza che risulta quasi sicuramente documentata anche per la Sardegna antica e che ha tramandato uno stupefacente relitto etnografico fino alla metà del secolo XIX dopo Cristo.
Il noto gesuita Antonio Bresciani infatti parla in maniera esplicita di resti in Sardegna dell'antica prostituzione sacra citando questa usanza della Sardegna della metà dell'Ottocento: «Ove ammali qualche persona assai gravemente, e sienlesi applicati indarno i più efficaci rimedi dell'arte, uno della famiglia esce tacitamente di casa, e va secreto, che altri nol vegga, verso la casa d'una qualche femmina che nella Terra abbia voce e nota d'impudica: ed ivi presso il limitare dell'uscio di costei raccoglie di terra alcune petruzze che la mala donna dee per certo aver tocco e calcato co' suoi piedi; se le serra in mano, come se perle e gemme preziose fossero, e dato volta ritorna all'infermo, e le dette petruzze gli pone sul petto, avendo per indubitato che il tocco de' pie' di quella femmina scostumata abbia loro inserto cotanta virtù da guarir del suo male»\5\.
D'altronde io ho ancora vivo il ricordo, da ragazzo, che a Nùoro si diceva che le prostitute esercitassero anche la magia, fossero cioè anche maghiarjas «fattucchiere».

Note

\1\ Cfr. Codex Diplomaticus Sardiniae, I, pg. 180 num. 4; pg. 199 num. 27; pg. 180 num. 5; Sella P., Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV - Sardinia, Città del Vaticano [Roma] 1945, numeri 516, 996, 1452, 1818, 2171, 2398.
\2\ CIL X 7751.
\3\ Distinzioni di questo tipo sono state fatte in tutti i tempi anche nel mondo cristiano, con la consacrazione e la denominazione di un centro abitato ad una Madonna e di un altro ad un'altra: ad esempio Madonna degli Angeli (Ravenna), Madonna del Carmine (Chieti), Madonna delle Grazie (Cuneo), ecc.
\4\ Cfr. Erodoto, I, 93, 94; Ateneo, XII, 11, 515d segg. Altre testimonianze antiche in Pareti L., Le origini etrusche, Firenze 1926, pg. 190.
\5\ Bresciani A., Dei costumi dell'isola di Sardegna, Napoli 1850, vol. II, pgg. 184-186.***

***Estratto dall'opera di Massimo Pittau, Il dominio sui mari dei Popoli Tirreni (Sardi-Nuragici Pelasgi Etruschi), e-book pubblicato dalla editrice digitale «Ipazia Books», 2013 (Amazon).

________________________________________________________________________________

Artemide è una Dea greca, il cui nome, di significato oscuro, appare già dal 13° sec. a.C. in documenti micenei. Alcuni tratti della sua figura, in particolare la connessione con il mondo della natura e con la caccia, portano ad accostarla al tipo di un'arcaica 'signora degli animali'.
Nella mitologia classica A. (identificata dai romani con Diana) nasce con il fratello Apollo da Leto. Armata di arco e frecce, errava per i boschi con un corteggio di ninfe ed era legata a eroi, come Orione, Atteone e Ippolito, di cui finì per causare la rovina. Si credeva inoltre che A. desse la morte per mezzo dei suoi dardi.
A. era invocata dalle donne al momento del parto; a lei sacrificavano le fanciulle prima del matrimonio e gli efebi le offrivano le loro chiome. Legata alla natura selvaggia - le erano sacri anche i fiumi e le fonti - cioè a una sfera opposta a quella dell'esistenza quotidiana, e connessa a momenti di crisi dell'esistenza individuale (nascita, morte, nozze, ingresso nell'età adulta), rappresentava nella sua stessa figura di dea vergine la particolare condizione esistenziale che precede la maturità. A. ben si adattò a sovrintendere ad alcuni complessi rituali sul cui sfondo sono riconoscibili originarie cerimonie iniziatiche: tipico il culto di A. a Sparta, durante il quale si fustigavano ritualmente i ragazzi che correvano in gara verso l'altare della dea.
La molteplicità dei culti e degli attributi divini della dea si riflette nella sua iconografia. Nel periodo orientalizzante e arcaico l'arte ne dette varie figurazioni sia come signora delle belve, spesso alata, circondata da animali e mostri, sia come dea della fecondità, rappresentata con molte mammelle. Fra queste forme arcaiche si affermò e predominò quella della vergine dea cacciatrice, effigiata con una corta tunica e alti calzari, caratterizzata dal cervo e dal cane che la affiancano, dall'arco che ha in mano e dalla faretra sul dorso. Nelle scene mitiche spesso va a caccia con le ninfe o si bagna nelle acque dei fiumi e dei laghi. Gli artisti del 4° sec. a.C. predilessero l'aspetto della casta grazia guerriera della dea.

ARTEMIDE

Enciclopedia dell' Arte Antica (1958)
ARTEMIDE (῎Αρτεμις). - Divinità greca di origine antichissima e di natura molteplice. Un tipo femminile molto spesso ripetuto, talora rappresentato su di un monte con la lancia in mano ed i leoni ai lati ed, assai spesso, con nelle mani due animali opposti in schema araldico, a volte con simboli di serpenti o più probabilmente dell'arco, è stato identificato dagli studiosi come dea delle montagne, degli animali, della fecondità, cioè della natura, non nel senso agrario della parola, ma in quello degli esseri animati. E siccome in età arcaica greca molto spesso ricorre la rappresentazione della cosiddetta A. persiana, con gli animali branditi in ciascuna mano, ed in Omero troviamo una dea delle fiere che è maestra nel tirare l'arco, e vive nei monti, ecco nata la famosa identificazione dell'A. arcaica, la Πότνια ϑηρῶν (Il.xxi, 470), fatta dallo Studniczka (Kyrene, 1890, pp. 153 ss.). La dea tiene gli animali generalmente per le zampe posteriori, e le bestie sono disposte con rigida simmetria e rappresentate di profilo in direzione contraria; sono leoni soprattutto, ma anche uccelli, cigni, cervi, grifi ed esseri fantastici. In Oriente, specialinente in Asia Minore e nelle regioni d'influenza greca intorno al Mar Nero, la dea è alata (A. persiana), ma in fondo può essere considerata la stessa di quella cretese-micenea ove si pensi che anche altre divinità appaiono con o senza ali, come Nike e Atena, e d'altro lato le ali possono essere state aggiunte al tipo per significare l'epifania della dea. Il legame tra l'A. arcaica, alata o no, con gli animali, e quella dea degli animali o dei monti di età cretese-micenea è anche singolarmente provato da un'anfora arcaica tebana, dove la dea senz'ali è sorretta da due leoni e da due uccelli, ed un pesce è sulle sue vesti, una testa ed una gamba di animale sono distaccate nel campo figurato; analoghe rappresentazioni si trovano sulle gemme micenee e cretesi, e queste teste di animali sparse potrebbero riconnettersi all'etimologia del nome di A., sostenuta da P. Wolters e da altri.
Ma la dea, in Omero, non è soltanto colei che domina gli esseri viventi, ma colei che manda la morte; e in questo ufficio si accompagna al fratello Apollo (Il.xxiv, 6o6) col quale collabora per uccidere le figlie di Niobe. In fondo il concetto di questa apportatrice di morte deriva da quello della dea cacciatrice e signora degli esseri viventi, che dispensa morte e vita.
Nelle rappresentazioni figurate domina, in età arcaica, oltre allo schema della dea, alata o no, con gli animali, che appare in numerosissimi vasi arcaici, corinzi, meli, in rilievi, in terrecotte, quello della dea in lungo chitone ionico, coi capelli lunghi talora cadenti anche sulle spalle, legati da un nastro sul capo, raramente con l'elmo (vaso di Tarquinia), con arco od ascia nelle mani e frecce sulle spalle. È la dea cacciatrice che prevale ormai sul tipo preellenico. In costume arcaico A. si presenta anche nelle scene mitiche, nella lotta contro il gigante Tityos (Paus., iii, 18, 15, trono di Amicle, cfr. un frammento di ceramica a figure nere rinvenuto sull'Acropoli ateniese), contro i Giganti in genere, e quando partecipa alla caccia di Atteone, all'apoteosi di Hyakinthos nel trono di Amicle, al ritorno di Efesto nel celebre vaso François del Museo Archeologico di Firenze, alla nascita di Atena, all'apoteosi di Eracle, alla lotta tra Eracle ed Apollo per il possesso del tripode e soprattutto quando è vicina al fratello Apollo. L'interesse per la dea, che aveva un'importanza religiosa grandissima, si ha anche nell'arcaismo maturo; anzi è sullo scorcio del VI sec. a. C. che appaiono le prime statue di culto della dea, ad opera di artisti di cui ci resta testimonianza letteraria. A Calidone la statua dell'A. Làphria, che è adorata in tutto il centro della Grecia, era opera degli scultori Menaichmos e Soidas (Paus., iii, 18, 8;iv, 14, 2) di cui lo Studniczka (in Röm. Mitt.iii, 1888, p. 277 ss.), volle riconoscere un'eco nella copia romana di Venezia, contraddetto dall'Anti (Museo Arch. di Veneziaiii, 1, p. 21 ss.). Agli artisti Praxias ed Androsthenes (Paus., x, 19, 4) risaliva il primo frontone orientale del tempio di Apollo a Delfi, dove la dea era rappresentata con Latona e le Muse; è probabile anche che si possa riconoscere il tipo di A. Braurònia, adorata sull'Acropoli con riti speciali (cfr. Aristoph., Lysistr., 645) nelle terrecotte rinvenute nel santuario. In generale la dea indossa un lungo chitone, con un mantello sovrastante, che si ritrova anche nel fregio del tesoro dei Sifni a Delfi, raramente indossa il peplo dorico; talora ha una nebris sulla veste; spesso è in atteggiamento tranquillo, ma in sculture ed in un piatto di Sikanos la dea ha la sinistra protesa con l'arco mentre con la destra afferra un'ascia. Mitologicamente importante è la rappresentazione di A. nella metopa selinuntina di Atteone, nella gigantomachia del fregio dei Sifni, con Tityos in un'anfora del Louvre, e con Orione in un'anfora nolana di Agrigento; spesso raffigurata con Apollo, ad esempio, in una tazza di Brygos; la troviamo in scene mitiche come nella lotta per il tripode delfico sul frontone del tesoro dei Sifni a Delfi, nell'entrata di Eracle in Olimpo, sempre in atteggiamento piuttosto rapido e leggero ma priva di specifici attribuiti; tale è, ad esempio, la gentile figura di A. nella metopa selinuntina, dove ella è rappresentata con il diadema in capo e nell'atto di protendere le mani ad incitare i cani contro il giovane Atteone.
L'interesse per A. non si esaurisce, anzi si accresce nel V sec. a. C. Se non abbiamo un'A. fidiaca (rilievi del trono dello Zeus, Paus., v, II, 2) conosciamo però alcune teste della dea nonché una statua che in più conserva anche i simboli di A., quella di Villa Albani a Roma, che doveva rappresentare A. con in una mano una pelle di cervo e nell'altra lo scettro o la fiaccola. Nelle sculture del Partenone A. compare due volte: nelle metope orientali (dove la figura è quasi interamente distrutta) e nel fregio, dove, sul lato orientale, essa è raffigurata vicina ad Afrodite: come tutte le divinità fidiache, non è contrassegnata da alcun simbolo. Nel fregio di Apollo a Basse, di poco posteriore alle sculture fidiache, la dea è raffigurata sul carro tratto da cervi: appare in veste di auriga, col peplo, nella centauromachia. Nella ceramica contemporanea A. è riconoscibile per la veste corta di cacciatrice e gli stivali (ad esempio in un grande vaso di Melos, mentre in un cratere di Spina, nel Museo Arch. di Ferrara, essa compare in lunga veste con peplo dorico). Spesso la dea porta in questo periodo un chitone a maniche chiuse e qualche volta riacquista importanza nell'iconografia il peplo dorico (ad esempio nel fregio di Figalia), mentre sembra che l'influenza della pittura abbia determinato un accorciarsi del chitone e il suo raccogliersi intorno alla cintura, che, riscontriamo appunto nelle rappresentazioni vascolari. Anche i tratti del volto, sullo scorcio del V sec. a. C., sono sottolineati con dolcezza particolare: la chioma ha i capelli lunghi trattenuti da un nastro o raccolti in una sphendòne o decorati da un diadema. Anche il gruppo con Apollo si trova spesso ripetuto; ad esempio nella raffigurazione della lotta tra Apollo e Marsia, nella storia di Oreste a Delfi. Del 400-390 a. C. è una moneta di Abdera dove A. ha un pòlos in capo, la chioma lunga scende sulle spalle, porta una lunga tunica con cintura e nella mano destra ha un ramo che un cervo dietro di lei cerca di afferrare, mentre nella sinistra ha l'arco; in altro esemplare c'è una piccola variante. Il Rizzo (Thiasos, Roma 1934, p. 49 ss.) la riteneva una statua arcaizzante e non arcaica; ma il giudizio base di piccole riproduzioni monetali non sembra così sicuro.
In monete di Pagai e di Megara si è giustamente riscontrata l'esistenza di un tipo di A. che viene connesso con l'A. Sotèira di Megara testimoniata da Pausania (i, 44, 4); la dea indossa un corto chitone ed ha le faci nelle mani.
È naturale che i principali artisti del IV sec. abbiano rappresentato più volte una dea tanto venerata, anche perché la varietà dei suoi attributi rendeva indubbiamente più vivo l'interesse figurativo. A Prassitele, oltre al gruppo di Apollo, A. e Latona a Mantinea (Paus., viii, 9, 1) ed a Megara (Paus., i, 44, 2), che ricorre solo nelle monete di quest'ultima città e nel quale A. è in lunga veste con l'arco nella sinistra e la freccia nella destra, si è riportato il tipo di A. di Dresda, che appare in varie repliche, in cui A., stante, indossa il peplo dorico, ha l'arco nella sinistra, mentre con la destra sta togliendo una freccia dalla faretra che ha sulla spalla. L'A. Braurònia si è voluta riconoscere nella replica di Gabii di Monaco, dove A. appare con indosso la veste da caccia, corta, su cui il mantello, in parte gettato, scende dalla spalla destra (Rizzo, Prassitele, p. 63). Si tratta di un tìpo che ebbe diverse repliche, in età romana. Poco sappiamo della statua di A. ad Antikyra, in cui la dea aveva (Paus., x, 37, 1) nella destra una fiaccola, sulle spalle la faretra e ai piedi un cane; le monete di Antikyra riproducono il tipo e sostanzialmente dimostrano come l'artista si fosse allontanato dai motivi tradizionali per rendere una figura in veloce movimento obliquo. Derivazioni di natura prassitelica sono le statue del Vaticano (Chiaramonti), di Villa Doria-Pamphilj a Roma, in cui la dea, stante e tranquilla, è appoggiata a un tronco d'albero, con l'arco nella sinistra mentre la mano destra è sul fianco. Dell'A. di Skopas non sappiamo nulla di preciso (A. Eukièia a Tebe, Paus., ix, 17, 1; gruppo di Efeso in braccio a Latona, Strabo, xvi, p. 640), come nulla si sa di quelle di Timotheos (Plin., Nat. hist.xxxvi, 32) e di Kephisodotos (Plin., Nat. hist.xxxvi, 24), mentre nell'A. di Versailles al Louvre, qualcuno vedrebbe l'opera più vicina all'Apollo del Belvedere già attribuito a Leochares. La dea qui passa indossando un corto chitone mentre il mantello è arrotolato intorno ai fianchi, la destra si piega in alto sulla spalla per estrarre un dardo e con la sinistra trattiene per le corna un cervo; la dea non ha più molto della dolcezza e della grazia di Prassitele dell'A. di Gabii, ma già si cade nella creazione di genere, nel motivo carattenstico caro all'ellenismo, pur con notevole freschezza d'ispirazione. In generale, nelle teste di A. del IV-lII sec. a. C. si mette in risalto la natura fanciullesca della dea, i capelli raramente sono tenuti da un diadema, più spesso un semplice nastro li raccoglie. In alcuni tipi monetali i capelli sono raccolti posteriormente in piccoli riccioli che cadono sulle spalle (Br. Mus. Coins, Peloponn., tav. 37, 4). Nei vasi anche la veste varia, dal costume dorico a quello corto da caccia, prevalente, su cui talora è gettata la nebris.
Di Damophon di Messene, artista attivo nella prima metà del II sec. a. C., si possiedono le teste originali di un gruppo di sculture del tempio di Lykosura in Arcadia, ora ad Atene, tra le quali figurava A.; la dea ha un modellato delicatamente giovanile nelle guance, i capelli conservano una acconciatura divisa in onde, che ha le sue origini in Prassitele e si diffonde moltissimo nell'età ellenistica. La figura, quale è possibile ricostruire idealmente, era in forte movimento e aveva uno slancio singolare: il braccio destro brandiva la fiaccola mentre un serpente avvolgeva il braccio sinistro ed il panneggio si agitava tra le gambe; la rappresentazione di A. con la fiaccola (cfr. M. Vassits, Die Fackel in Kult u. Kunst der Griechen, Belgrado 1900, p. 59 ss.) si trova già spesso nei vasi a figure nere e nelle monete dal IV sec. a. C., ed è forse da riportare all'influenza del culto dionisiaco nei luoghi montani dove la dea è onorata. Di Damophon era pure una A. Làphria, il cui rito caratteristico era il fuoco annuale, derivato dall'uso di gettare nel fuoco gli animali; un corteo di animali veniva bruciato nelle feste Lafrie, in cui la sacerdotessa della dea appariva sul carro tratto da cervi, mentre la dea era venerata come Πότνια ϑηρῶν. La statua di A. in Messene (Paus., iv, 31,7) era, secondo Pausania (vii, 18, 10), uguale a quella cacciatrice di Menaichmos e Soidas (v. sopra); sia il Lippold che l'Anti, contrariamente al Gardner (Corolla Numismatica, 1906, p. 104 ss.), ritengono che il tipo di A. descritto da Pausania sia al massimo della fine del IV sec. a. C., e che l'A.di Patrasso, che si trova ripetuta in varie statue e su di un rilievo di Villa Albani (Roma), corrisponda invece alla descrizione di Pausania (G. Lippold, in Pauly-Wissowa, s. v. Menaichmos; C. Anti, in Annuario Ateneii, 1916, p. 181 ss.). È probabile che, non essendoci più al tempo del viaggio di Pausania la statua, egli si sia fidato di informazioni sbagliate, come si può forse dedurre da certe espressioni ambigue che egli usa nella descrizione. Un'altra A. di Damophon era dettaPhòsphoros e si trovava pure a Messene (Paus., vii, 23, 7; iv, 31, 10; forse anche questa con face, cfr. l'attributo di Selàsphoros).
A questo punto si dovrà ricordare l'importanza grandissima che il culto di A. ebbe ad Efeso ed in tutta l'Asia Minore, fin dai tempi più antichi dei re di Lidia; l'Artemision arcaico, incendiato nel 356 e poi ricostruito, visse prospero fin nell'Impero romano, e per quanto la fondazione del culto si facesse risalire alla Amazzoni (Callim., Hym.iii, vv. 237 ss.), è soltanto con l'ellenismo che conosciamo l'immagine della dea. Su monete efesine del II-I sec. a. C. e su monete di età imperiale da Augusto a Gallieno (e cioè fino a poco dopo la metà del III sec. d. C.) tra varî simboli e con diversi personaggi che l'accompagnano, la statua di A. conserva lo stesso identico tipo; ha un kàlathos in capo di varia altezza, e talora il capo è sormontato addirittura da un tempio tetrastilo o da una costruzione a tre frontoni, mentre il nimbo, che poi non è che il panneggio ricondotto sul capo, forma una linea curva; sul petto A. porta una collana sotto la quale si dispongono numerose mammelle in varie file, mentre la parte inferiore del corpo, chiusa in una specie di guaina stretta che si assottiglia, è decorata talora di rilievi; sotto le caviglie sfugge il panneggio che copre i piedi; le braccia, strette ai fianchi, sono piegate ad angolo retto al gomito e le mani si tendono afferrando un nastro che cade verticalmente, od obliquamente e che termina in frangia. Ci sono diverse varietà nella decorazione del nimbo (che a volte ha ai lati protomi di grifi) e del petto dove si alternano fitte le rappresentazioni di animali e di esseri fantastici (api, fiori, sfingi, ninfe), mentre le braccia sostengono talora dei leoncini; i varî tipi ci sono noti dalle repliche numerosissime, rilievi, terrecotte, bronzi, che sono state tramandate dall'antichità e che attestano un culto d'estrema importanza, che nell'ellenismo ebbe riconoscimenti ufficiali che culminarono nelle frequentissime riproduzioni monetali. Il simbolismo decorativo ammassato sulla statua riporta l'originale dell'A. Efesia non ad età arcaica, come taluno ha voluto sostenere, ma all'ellenismo; si può soltanto ammettere che alcuni elementi arcaici siano conservati, ma nell'insieme la statua deve essere il frutto di un periodo di ripresa del culto efesino, dopo il IV sec. a. C. (H. Thiersch, in Abhandl. Ges. Wiss. Göttingen, 1935; L. Lacroix, Les reproductions de statues sur les monuments grecs, Liegi 1949, p. 176 ss.). È probabile che anche le numerose A. asiatiche, come quella Klària Leukophryène di Colofone e di Magnesia sul Meandro, di Bargylia di Caria (Ch. Picard, Ephèse et Claros, pp. 403 ss.; W. Kroll, s. v. Leukophryene, in Pauly-Wissowa; B. V. Head, Br. Mus. Coins, Caria, p. 72 ss., nn. 9, 10, 13) e quella Astias di Iasos (Tessen, s. v. Astias, in Pauly-Wissowa), non siano probabilmente così arcaiche come si crederebbe, mentre una rappresentazione di tipo betilico e cioè un idolo conformato ad òmphalos, con la testa sormontata da un kàlathos e decorata da un disco, si nota nelle monete di Perge in Panfilia, che si deve evidentemente riportare ad un'antichissima concezione di Artemide.
Nell'ellenismo fiorirono pure rappresentazioni di A. con animali sacri; su di un gallo è rappresentata, per esempio, in una terracotta asiatica; su di un toro, in pitture parietali del II sec. d. C., mentre, in età romana, entra assai spesso nelle rappresentazioni figurate dei sarcofagi mantenendo costumi e caratteri ellenistici (v. Diana).
Monumenti considerati. - Monete con fig. femminile con la lancia: Ann. Brit. School Athensvii, 1900-1901, p. 29, fig. 9; M. P. Nilsson, The Minoic-Mycenean Religion, Lund 1950, p. 364, fig. 176; anfora da Tebe: P. Wolters, in Ephem. Arch.x, 1892, tav. x, 1, p. 221; gemme micenee: Ann. Brit. School Athens, 1939, p. 82; gemme cretesi: Monum. Antichi Linceixiii, 1905, p. 35, fig. 26; A. cacciatrice: vaso di Tarquinia: Ant. Denkmäleri, p. 22; frammento di vaso a figure nere con A. e Tityos: Ephem. Arch.i, 1883, tav. 2; A. alla caccia di Atteone: Ath. Mitt.xv, 1890, tav. 8, p. 240; terrecotte e bronzetti con A. con gli animali: Ephem. Arch.ix, 1891, p. 18; Olympia, Bronzen, tav. 38; terrecotte dell'acropoli di Atene con A. Braurònia: Arch. Anzeiger, (viii IdI), 1893, p. 146 ss.; A. con nebris sulla Veste: Ath. Mitt., v, 188o, tav. x; piatto di Sikanos: Röm. Mitt.iii, 1888, tav. i; fregio dei Sifni: Ch. Picard-De la Coste Masselière, La sculpt. gr. à Dèlphes, Parigi 1929, p. 76 ss.; anfora nolana di Agrigento: Élte céram.ii, 58; tazza di Brygos con A. e Apollo:Wiener Vorlegebl.viii, 1891, 3; metopa di Selinunte: B. Pace, Sicilia Antica, II, p. 38; statua di A. a Villa Albani, Roma: Helbig-Amelung, Führer3, n. 1933; vaso di Melos: Wiener Vorlegebl., cit., 7; cratere del Museo di Ferrara: S. Aurigemma,Museo di Spina2, p. 202: P. E. Arias-N. Alfieri, Il Museo archeologico di Ferrara, Ferrara 1955, p. 68; fregio di Figalia: W. B. Dinsmoor, in Metropolitan Mus, Stud.,ii, 1933, p. 204 ss.; moneta di Abdera: E. Babelon, Traité de numismat.ii, 4, n. 1395, tav. 337, 9; monete di Pagai e di Megara: Journ. Hell. Stud.vi, 1885, p. 56, tav. A 1; A. del Museo Chiaramonti: Helbig-Amelung, Fuhrer3, n. 29; A. di Versailles: Brunn-Bruckmann, n. 420; sulla A. di Damophon, v.: G. Dickins, in Ann. Brit. Sch. Athensxii-xiii, 1905-1907, pp. 109, 365; xvii, 1910-1911, p. 80; cfr. G. Becatt, in Riv. Ist. Arch. St. dell'Artevii, 1940, p. 42; moneta di Perge in Panfilia: I. Imhoof-Blumer, Kleinas. Münzeniii, Vienna 1902, p. 362 ss.; terracotta asiatica con A. su di un gallo: Arch. Zeitungxl, 1882, p. 272.
Bibl.: J. J. Overbeck, Kunstmythologie, Lipsia 1871, p. 354 ss.; Th. Schreiber, in Roscher, I, cc. 558-608, s. v.; K. Wernicke, in Pauly-Wissowa, II, cc. 1336-1440, s. v.; Ch. Picard, Ephèse et Claros, Parigi 1922; M. P. Nilsson, Geschichte d. Religion, Monaco 1941, pp. 285 ss., 451 ss.; A. Giuliano, in Arch. Class., V, 1953, fasc. i, p. 48 ss.
(P. E. Arias)