domenica 2 febbraio 2014

Epigrafia, quella vera.


DE INTERPRETANDI RATIONE
Sui principi della Epigrafia


Sono ormai parecchi gli amici e conoscenti, sardi e anche forestieri, che mi hanno chiesto o mi stanno chiedendo, a voce o per iscritto, il mio parere riguardo alle scoperte – vere o presunte – di iscrizioni antiche che si starebbero effettuando in Sardegna e riguardo alle loro interpretazioni. Mi sento pertanto in dovere di esprimere oggi pubblicamente il mio meditato parere sull’argomento, precisando però che intendo condurre un discorso generale sulla «epigrafia» o “scienza ed arte della interpretazione delle iscrizioni”; discorso generale che deliberatamente vuole prescindere dai casi specifici che si sono verificati di recente in Sardegna e che hanno aperto numerose e anche vivaci discussioni. Il mio pertanto è un discorso condotto molto più sui “principi metodologici” generali e molto meno sui “fatti od eventi reali”. Ho deciso di assumere questo atteggiamento per una precisa ragione: in alcuni casi sono stati coinvolti alcuni miei conoscenti e amici, per i quali sento lo stretto dovere di non affermare alcunché che possa mettere in dubbio la loro preparazione scientifica e la loro probità professionale, che anzi anche io intendo qui affermare e sottolineare.
Orbene, in base agli insegnamenti che mi sono stati dati già durante i miei studi universitari e in base a una mia pratica della materia epigrafica che va avanti ormai da una trentina d’anni, io sono convinto che siano queste seguenti le condizioni necessarie e sufficienti perché una interpretazione epigrafica abbia i caratteri della scientificità:

1) In via preliminare e di fatto, dopo mie ricerche che sono andate avanti per circa 30 anni, ho acquisito la ferma convinzione che si debba escludere assolutamente che i Nuragici o Protosardi si siano inventati un loro specifico “alfabeto nazionale”. Lo escludo per la ragione che neppure quei popoli geniali e civili che sono stati i Greci, gli Etruschi e i Romani si sono inventati un loro specifico “alfabeto nazionale greco”, “alfabeto nazionale etrusco” e “alfabeto nazionale romano o latino”, dato che tutti gli specialisti sanno che i Greci hanno derivato il loro alfabeto da quello dei Fenici, gli Etruschi lo hanno derivato da quello dei Greci e i Romani lo hanno derivato da quello degli Etruschi. E nemmeno i Fenici si sono creati ex-novo il loro “alfabeto fenicio”, dato che anch’essi lo hanno derivato da altri popoli del Medio Oriente, attraverso procedimenti che non sono stati ancora chiariti del tutto.
Si deve considerare con attenzione che l’”alfabeto” o la “scrittura” è una delle più difficili invenzioni che l’uomo sia riuscito a effettuare, tanto lunga, laboriosa e difficile che nessun singolo uomo o singolo popolo o nessuna singola generazione se ne può attribuire il merito esclusivo. In realtà a questa lunga e difficile invenzione hanno partecipato molti popoli e molte generazioni di uomini.
Sembra ormai accertato che la invenzione autonoma e indipendente dell’”alfabeto” sia avvenuta solamente in tre aree geografiche della terra: la Mezzaluna Verde medio-orientale (tra la Mesopotamia e l’Egitto), la Cina sud-orientale, l’America centro-meridionale. Tutti i popoli che hanno in seguito conosciuto l’alfabeto, in effetti lo hanno derivato appunto dall’alfabeto di una di quelle tre aree geografiche.
E dunque, a mio fermo giudizio, neppure i Nuragici o Protosardi si sono inventati un loro “alfabeto nazionale nuragico”, bensì sono dovuti ricorrere per le loro esigenze di scrittura ad alfabeti già noti e funzionanti, cioè all’“alfabeto fenicio”, all’“alfabeto greco” e all’“alfabeto latino” (vedi iscrizione trilingue, cioè in punico, in greco e in latino, di San Nicolò Gerrei; CIL X 7856. Cfr. M. Pittau, Storia dei Sardi Nuragici, Selargius 2007, § 24; M. Pittau, Il Sardus Pater e i Guerrieri di Monte Prama, I Appendice, Sassari, 2009 II ediz. ampliata e migliorata).

Pertanto quelle che di recente sono state presentate e giudicate come lettere dell’”alfabeto nuragico”, a mio giudizio, o non sono altro che segni ornamentali o decorativi di oggetti in metallo o in terracotta (come dimostra anche la loro posizione di perfetta “simmetria bilaterale”), oppure sono lettere di altri alfabeti realmente documentati, ma dei quali si ha l’obbligo preciso di dare una vera e propria dimostrazione scientifica.

2) Quando un epigrafista in una antica iscrizione rinvenuta si trova di fronte ad accertati segni grafici o grafemi di un alfabeto già conosciuto, suo primo dovere è quello di convertire quei grafemi in altrettanti fonemi, facendo uso dell’”Alfabeto Fonetico Internazionale” o almeno dell’alfabeto latino arricchito con i noti gruppi grafici ch, ph, th.

3) L’epigrafista poi deve procedere a effettuare e indicare i “rappruppamenti grafematici” che si susseguono nella iscrizione, per convertirli dopo in “raggruppamenti fonematici” che determinano i corrispondenti “vocaboli”. In tutte le lingue, appartenenti a qualsiasi famiglia linguistica, si parla infatti con “vocaboli” e non con singoli “fonemi”. Questa operazione l’epigrafista deve fare per indicare come venivano effettivamente pronunziati quei “raggruppamenti grafo-fonematici” riscontrati nell’iscrizione antica.

4) L’epigrafista dopo deve passare dal “raggruppamento grafo-fonematico” di ciascun vocabolo al suo “valore semantico”, ossia deve indicare il suo effettivo “significato”.

5) L’epigrafista poi deve dimostrare la connessione concettuale e la compatibilità logica del significato di tutti o almeno di una parte dei vocaboli presenti nell’iscrizione.

6) L’epigrafista deve poi dimostrare la connessione linguistica tra i vocaboli dell’iscrizione interpretata con la fonetica, il lessico e la grammatica della lingua nella quale egli ritiene che sia scritta l’iscrizione stessa. Nel caso specifico, se un epigrafista ritiene che una iscrizione da lui trovata, interpretata e tradotta sia scritta nella lingua nuragica o protosarda, allora deve fare preciso riferimento a quanto gli specialisti hanno scritto su di essa da un’ottantina di anni in qua. La lingua nuragica o protosarda infatti non è affatto tutta un “mistero”, visto che su di essa una dozzina di linguisti di professione abbiamo già scritto numerosi articoli e perfino libri interi. E non si tratta di citare semplicemente i nomi di questi linguisti, ma si tratta di citare soprattutto gli appellativi, i toponimi e i fenomeni fonetici e quelli morfo-sintattici che essi hanno ormai da tempo individuato, studiato ed esposto.
Tutto questo perché la lingua nuragica o protosarda non è un “mistero” totale e pertanto essa non ha necessità di uno scopritore primo ed iniziale, come lo è stato Jean François Champollion per l’antica lingua egizia.

7) La invenzione dell’”alfabeto” o della “scrittura” era stata così laboriosa, difficile e lunga che solamente il ceto sacerdotale dappertutto ne aveva la conoscenza e il possesso ed anche per questo alla “scrittura” si attribuiva pure un carattere magico-sacrale, che in quanto tale, non poteva né doveva essere adoperata da chiunque e in qualunque modo, tanto meno nella modalità del gioco o dello scherzo. Tutto questo è tanto vero che le grandi religioni sono state presentate dai rispettivi popoli sempre codificate in “libri sacri” tramandati di generazione in generazione ed inoltre “immutabili”.
Per questa precisa ragione si deve respingere ogni tentativo di leggere e interpretare una iscrizione antica leggendola da sinistra a destra e pure al contrario, da destra a sinistra: giochi pseudografici e pseudolinguistici di questo genere si trovano solamente nelle riviste odierne di enigmistica, mentre non si ritrovano nelle isrizioni antiche, soprattutto in quelle “pubbliche” e in quelle “monumentali”. Fra le 300 mila iscrizioni latine, destrorse, delCorpus inscriptionum latinarum e le 11 mila, sinistrorse, del Corpus inscriptionum etruscarum, io sfido chiunche a trovarne una sola che si possa leggere anche al contrario, da sinistra a destra e da destra a sinistra.

8) L’epigrafista deve rendere conto della connessione e della compatibilità della iscrizione col supporto materiale in cui risulta incisa o scolpita: un vaso, un’anfora, una tomba, un cippo funerario, una statuetta, il frontone di un tempio ecc. Sarebbe infatti certamente errata l’interpretazione di una iscrizione sepolcrale, la quale recitasse in questo modo: «Cantano giulivi gli uccellini a primavera»; oppure in una coppa vinaria per convivi la traduzione dicesse «La vedova sconsolata piange il marito prematuramente scomparso».
Si chiama, questa, “contestualità pragmatica”, che nell’Università di Firenze Giacomo Devoto mi insegnò con questa semplice affermazione: «il primo e principale indizio per la traduzione di una iscrizione viene dall’oggetto o cosa in cui essa risulta scolpita o incisa».
Per questa precisa ragione, in un ipotetico caso specifico, un epigrafista avrebbe il dovere di rendere anche conto e ragione del fatto che alcune iscrizioni siano state incise su semplici ciottoli, posto che, per il riconosciuto valore magico-sacrale della scrittura, gli antichi evitavano con la massima cura di usarla per semplice gioco o scherzo. E ancora dovrebbe rendere conto e ragione del fatto che esse possano essere state rinvenute tutte assieme.

9) Sempre per il suo carattere e valore magico-sacrale ciascun alfabeto era un sistema del tutto rigido, che gli utenti rispettavano in maniera assoluta. E questo avveniva pure quando un certo popolo adottava un alfabeto straniero, come avvenne per gli Etruschi, i quali adottarono l’alfabeto greco, rispettandolo in tutto e per tutto (come risulta dai loro alfabetari), comprese le lettere beta e delta che essi non scrivevano né pronunziavano mai.
Sempre per questa ragione della rigidità di ogni alfabeto non è legittimo per un epigrafista, nel tentativo di interpretare e tradurre una epigrafe antica, chiamare in causa contemporaneamente due o più differenti alfabeti antichi. Sarebbe come se l’utente di un computer odierno si illudesse di passare con tutta facilità e continuamente da un sistema operativo ad un altro differente.
In linea di fatto si è constatato che per spiegare alcune supposte iscrizioni nuragiche sono stati adoperati contemporaneamente più alfabeti differenti. Ed è anche del tutto inverosimile che in Sardegna siano arrivati tanto numerosi e tanto differenti alfabeti di altre aree geografiche.

10) L’epigrafia è un ramo delle discipline umanistiche che richiede una molto stretta e approfondita preparazione specialistica (del tutto differtente, ad es. dalla specializzazione in un ramo della biologia), con conoscenze numerose e approfondite relative alla lingua, alla storia e alla archeologia del relativo popolo antico. Ma tutto questo non si può avere contemporaneamente in epigrafisti che pensino di passare con tutta facilità e continuamente da una lingua ad un’altra. In linea di fatto io dico di non aver mai conosciuto “epigrafisti-omnibus” di questa specie.

Ovviamente io non mi illudo che tutte e singole tesi da me esposte e sostenute in questo mio scritto siano accettate da tutti coloro che le leggeranno. Ebbene, si facciano avanti per contrastarle; parliamone senz’altro, ma parliamone con pacatezza e serenità e soprattutto con reciproco rispetto. Inoltre parliamone in maniera sintetica e non con lunghe dissertazioni, che soltanto pochissimi riuscirebbero a seguire. Io ho già avuto modo di scrivere che tra i linguisti è noto che una tesi tanto più è accettabile, quanto più breve è la sua dimostrazione, e viceversa, tanto meno è accettabile quanto più lunga è la sua dimostrazione.