Circa due milioni di anni fa, le due linee genetiche che avrebbero portato
da una parte allo scimpanzè e dall’altra all’uomo, si separarono.[1]
Presumendo – secondo una valida deduzione logica – che il primo ipotetico
antenato umano avesse capacità di linguaggio simili a quelle di una scimmia, si
può anche desumere che le distintive capacità di linguaggio umane si siano evolute
negli ultimi 6 milioni di anni.
Uno dei metodi usati legittimamente è quello di esaminare le
modifiche anatomiche sviluppatesi nel corso del tempo lungo la linea evolutiva
dell’uomo.
Anche se non sappiamo quale realmente fosse l’aspetto dei
nostri antenati, possiamo bene immaginare che essi apparissero molto più
‘scimmieschi’ di noi. Le differenze distintive tra uomo e scimmia si produssero gradulamente, ma possiamo riconoscere almeno tre momenti principali.
1) Il primo momento fu la comparsa del ‘bipedalismo’: la
capacità di camminare in posizione eretta su due soli arti. Si suppone che
questo sia avvenuto molto presto: circa 4.500.000 anni fa, dato che già è
osservabile nell’Ardipithecus, che definiamo ‘ominide’. Si discute circa le ragioni che condussero al
bipedalismo. Una delle (multiple) ragioni potrebbe essere la necessità di
muoversi rapidamente su pianure cespugliose. Le dimensioni del cervello
rimanevano piccole e gli strumenti che gli ominidi sapevano creare erano poco o
niente: il che relega tra le teorie errate quella di Darwin per cui gli
strumenti furono creati quando le mani rimasero più libere.
2) Il secondo grande momento fu quello dell’incremento delle
dimensioni del cervello: poche centinaia di centimetri cubici nelle
australopitecine, 600-700 cc in Homo Habilis, (il primo membro del nostro
genus), 800-1.200 cc in Homo Erectus. Gli ominidi iniziarono ad usare strumenti
durante l’esistenza di Homo Habilis, circa 2,3 milioni di anni fa.
Probabilmente, l’incremento di pensiero determinato dalla creazione di
strumenti causò un ulteriore aumento delle dimensioni encefaliche.
Questi ominidi con grandi encefali sarebbero stati gli
antenati anche dei Neanderthal: sappiamo che questi ultimi possedevano encefali
più grandi di quelli dell’uomo anatomicamente moderno (in media circa il 10%).
Questo fatto lascia comprendere che – almeno in questo caso – le dimensioni non
sono tutto: evidentemente è l’uso che si fa di un organo a stabilirne la vera
efficienza. Probabilmente, l’uomo anatomicamente moderno aveva connessioni
neuro-neuronali più veloci ed efficienti.
[1] Questo si
ottiene contando il numero didifferenze in nucleotidi tra i geni di uomo e di
scimpanzè, e usando il ritmo delle mutazioni, che è noto, al fine di calcolare
per quanto tempo le due linee genetiche abbiano potuto divergere.