Caro amico mio, Pasuco,
Torno, dopo un po' troppo tempo, sul tema delle identità, numerosissime e talvolta sfuggenti, talvolta futili e talaltra inutili steccati, creati da noi uomini per separarci gli uni dagli altri e vederci antagonisti anche quando , in fondo, non lo siamo mai stati, perché davvero apparteniamo ad un unico gregge......
Perdonami, ma sono stato in Sardegna per due settimane: lì non dispongo né di computer, né di telefono fisso e sono introvabile (che è - davvero! - uno dei tanti motivi per cui mi piace andarci).
Ti ringrazio per l'articolo di Cavalli Sforza. Anche se ho i suoi libri ed ho visto le mostre scientifiche curate da lui (e Plevani) quello in particolare mi era sfuggito.
Trovo naturale che non si condividano esattamente le medesime posizioni e punti di vista: mi preoccuperebbe molto il contrario, invece!
E anzi trovo sano il pensare diversamente e trovo utile il confronto, purché sia - come questo nostro - pacato e comprensivo.
E - naturalmente - non mi riferisco solo alle difficoltà dovute al fatto che per iscritto non udiamo le differenze del tono della voce e non vediamo le espressioni facciali o gli altri gesti. (Immagina di ascoltare prima una dichiarazione di Trapattoni in televisione e dopo un po' di tempo analizzare per iscritto la registrazione di quello che ha detto: all'improvviso diventa una serie incomprensibile di parole smozzicate e senza senso).
Il che non significa dire che siamo al livello espressivo del Trap, perché fortunatamente non è questo il caso: ma le difficoltà ci sono.
Credo in fondo che ognuno di noi abbia le proprie esperienze ed il proprio bagaglio, ciascuno di noi diverso, e che tenda innanzitutto a schematizzare l'argomento/problema identitario secondo quello che ha in bertula (nella borsa, in sardo). Infine, lo esprime secondo le proprie preferenze e capacità scrittorie: proprio stamane stavo guardando un articolo del mio amico (almeno, io lo considero tale) Alfonso Stiglitz, archeologo sardo (malgrado il nome). L'articolo è comparso stamane sul 'Manifesto Sardo' numero 146 (http://www.manifestosardo. org/il-diritto-a-una-memoria- condivisa/): per la sua brevità ed incompletezza, dovuta certamente a motivi di spazio troppo limitato, mi ha lasciato insoddisfatto e allora mi sono permesso di indicare il tuo sito, perché gli desse un'occhiata. Ognuno di noi, intendo, ha i suoi modi.
Ma per tornare al tema: non credo proprio di sopra stimare il fattore ambientale geografico-spaziale. Esso - credo sinceramente - è anzi di fondamentale importanza per tutti gli esseri viventi. Anzi: è stato di enorme importanza - sempre e comunque - per qualsiasi associazione biologica sul nostro pianeta.
Un esempio animale - Il bufalo è sempre e comunque, a qualsiasi latitudine e longitudine - un animale di una forza incontenibile e mostruosa, pericolosissimo e non addomesticabile dall'uomo (da qui derivano forse le dotazioni decorative in corna delle antiche divinità mesopotamiche e poteriori), ma se ci fai caso, non possiede le medesime proporzioni in tutto il mondo. Nei paesi freddi tende a raggiungere dimensioni molto maggiori che in Africa: questo è dovuto al fatto che l superficie corporea varia in proporzione quadratica, mentre il volume corporeo in misura cubica: pertanto gli animali Africani a sangue caldo non possono mai essere troppo grandi, perché sono a rischio colpo di calore.(ti verranno subito in mente, come obiezioni, alcuni animali enormi, come gli ippopotami e gli elefanti: ma se ci pensi bene, i primi escono raramente dall'acqua ed i secondi possiedono un fantastico sistema di raffreddamento del sangue nelle orecchie). Esiste una regola (credo si chiami di Greenberg, ma non ne sono sicuro), per cui gli stessi animali a sangue caldo, anche l'uomo, generano prole progressivamente più grandi nei climi freddi. I Watussi sono alti, ma non grossi.
La distanza geografica (o qualsiasi barriera fisica, che determini separazione completa) è anch'essa determinante. nel 1835 accadde un fatto indicativo di ciò, nelle isole Chatam (800 km a est della Nuova Zelanda). I bellicosi Maori partirono dalla Nuova Zelanda sovraffollata ed invasero le Chatam: uccisero tutti i pacifici abitanti Moriori, salvo alcuni che testimoniarono sulle atrocità compiute dai Maori. Non mi soffermo sui dettagli cruenti, né sui tempi (non avvenne tutto in un tempo breve), salvo informarti che i Maori si cibarono dei vinti.
Un fatto impressionante, tanto più che i Maori erano discendenti di un gruppo di agricoltori polinesiani giunti in Nuova Zelanda verso il 1000 a.C.. Poco dopo, alcuni Maori si erano spinti nelle Chatam ed erano ritornati ad essere cacciatori raccoglitori, pacifici e disorganizzati.
I Maori dell'Isola del Nord Neozelandese si erano invece dati all'agricoltura intensiva ed avevano sviluppato tecnologie ed evoluzioni sociali molto più complesse ed avanzate.
Questi destini differenti, queste evoluzioni divergenti di uomini appartenenti ad un medesimo gruppo etnico furono fondamentali per il finale esito drammatico della storia.
I Moriori erano in realtà discendenti dei colono polinesiani, come i Maori. ma nessuno ne conservava più memoria e le differenze tra i due gruppi erano ormai tali che non si riconoscevano più come affini.
In piccola scala è esattamente ciò che è successo in tutto il mondo, tra tutti gli uomini, nei tredicimila annii dell'evoluzione che ci separano oggi dalla scoperta della produzione di cibo.
Io credo che conoscere questi fatti e soprattutto questi meccanismi sia cultura o - se preferisci - conoscenza e che possa prevenire validamente il pensiero innato e la tentazione naturale, connaturata nell'uomo, di aggredire un altro gruppo umano solo perché è 'diverso'. Anzi, se non lo hai letto, ti consiglio vivissimamente il libro: "Armi, Acciaio e Malattie" di Jared Diamond. Un libro che dovrebbe essere studiato nelle scuole, da tutti.
La conoscenza piena, scientificamente provata, del fatto che quella tentazione sia non solo un pretesto, ma anche soprattutto un grandissimo errore ed un'offesa mortale contro la propria specie dovrebbe essere divulgata ed insegnata nelle scuole, in modo che il pensiero xenofobo non abbia più motivo di esistere.
Quando tu mi scrivi: "secondo me, la Cultura non esiste. Esiste una moltitudine di inculture, più o meno apparentate e giustificate fra di loro, caratteristiche di gruppi umani raggruppabili, appunto, per la condivisione dell'una o dell'altra di queste inculture: quelle che io chiamo le Identità. Ad ogni gruppo, la propria incultura appare giustificata, evidente, benefica, altruista, perfetta. Spesso, inculture adiacenti prosperano in simbiosi e alleanza, più o meno condivise da popolazioni culturalmente omogenee. Purtroppo, può accadere che si crei un contrasto insanabile fra inculture diverse, con conseguenti violenze fra le persone coinvolte", tu stai fotografando lo stato attuale delle cose. Ed io sono senz'altro d'accordo con te.
Nel proporre una mia soluzione (vogliamo chiamarla di conoscenza attraverso lo studio?) non sono affatto certo che sia quella giusta e non sto neppure affermando che sia facile modificare lo status quo. specialmente in certe situazioni. Specialmente in quei casi in cui tutto è strumentalizzato per motivi di parte, cioé, appunto, ideologici.
E' anzi una cura debole.
Per esempio, l'indottrinamento teocratico delle 'Madrasse' Musulmane non è affatto facilmente, né rapidamente, sostituibile con un insegnamento positivista, scientifico, materialista, di tipo occidentale. Anzi appare tanto più un ostacolo insormontabile (altrimenti, ll conflitto arabo israeliano sarebbe finito da un pezzo), quanto più essi interpretano il pensiero scientifico occidentale come falsità strumentali al vantaggio dell'occidente.
Altre questioni sono di difficile soluzione: si veda, per esempio, il problema dell'accettazione attiva (non passiva) dell'omosessualità attuata oggi con convinzione nella nostra permissiva e radical-chic società contemporanea, che probabilmente da un altro lato ne determina (a mio vedere, s'intende) un possibile incremento, proprio con la propria mancata eliminazione di quelle sue colpevoli sacche di sofferenza e confusione morale e materiale ormai così tanto diffuse..
La mia tesi è quella della omosessualità intesa come deviazione dalla norma in quella che è invece una specie sessuata: i soggetti che non obbediscono alle regole dell'attrazione sessuale tra sessi diversi (finalizzata alla riproduzione) sono evidentemente affetti da una patologia che non segue le direttive della sopravvivenza della specie.
In una specie che si riproduce per partenogenesi, sarebbe malato un individuo che cercasse un rapporto sessuale.
Le chiocciole sono ermafrodite, cioé possiedono sia organi sessuali femminili, sia organi sessuali maschili. Ma sono ermafroditi insufficienti, cioé non si possono autofecondare: hanno bisogno di un altro individuo per fecondarlo ed essere da lui fecondate. Ad ogni specie la propria normalità: e la deviazione da quella normalità è malattia.
La Medicina ha il compito di curare gli individui malati e, ove ciò sia impossibile, di prevenirne la malattia. La medicina non esercita razzismo, segregazione o discriminazione verso i malati: ha solamente un atteggiamento terapeutico globale ed individuale. Non chiuderei in una stanza un malato di cancro, né lo tratterei male o non gli affiderei un lavoro. Ma - contemporaneamente - sconsiglierei al malato di fare cortei in piazza vestito con un boa di piume ed un perizoma leopardato.
Insomma: nessuno (e certamente non io!) ha niente contro le mandorle dolci (che l'uomo sfrutta a proprio vantaggio) ma la normalità del mandorlo naturale è - come per tutte le piante che si riproducono per seme - quella di produrre mandorle amare (cioé semi che gli animali non trovino appetitosi e che di conseguenza non mangino): per salvare la propria specie e potersi riprodurre. Il mandorlo che produce mandorle dolci è una cosa che non risponde alle semplici e e logiche leggi della natura.
Sappiamo, invece, che esiste tutta una serie di malesseri sociali e di manchevolezze dell'ambiente intimo familiare, e di quello più allargato, che possono essere responsabili dell'omosessualità di un individuo indifeso ed in formazione. Non si applicano le dovute misure preventive, perché "non dobbiamo essere omofobi e l'omosessualità è una cosa naturale". Molti altri fattori ancora ignoti possono probabilmente essere individuati solo esaminando vaste casistiche con super computers e 'Fuzzy logic'. Non è ancora stato fatto, ma credo che chi lo farà si beccherà il Nobel.
Infine, non è facile convincere gli altri a fidarsi del tuo pensiero. Gli altri - dietrologisti -possono sempre pensare che tu lo abbia costruito appositamente per fregarli.
E magari resistere ad oltranza, in difesa di questa o quell'altra identità, sentita in modo più terebrante e struggente.
Ma si fa tardi...
Devo scappare, per ora.