mercoledì 29 maggio 2013

Un altro falso ancora

FALSO L'OSSARIO DI GIACOMO



archaeology.org
18 Giugno 2003


Falsi. Questo è il verdetto del comitato scientifico istituito dall’Autorità Israeliana per le Antichità (IAA) costituito per esaminare l’Ossario di Giacomo e l’Iscrizione di Jehoash.
Annunciate nel corso di una conferenza stampa a Gerusalemme, le decisioni del comitato concludono che questi due artefatti non sarebbero altro che falsi moderni, e non antiche reliquie testimonianza del testo biblico.
Un fremito di eccitazione pervase i media lo scorso ottobre a seguito dell’annuncio che Andrè Lemaire dell’Università della Sorbona di Parigi avesse trovato l’iscrizione "Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù" su una cassa di pietra calcarea color marrone chiaro, del tipo comunemente usato per i seppellimento del primo secolo d.C. a Gerusalemme.
Sembra che questa cassa - o ossario - abbia una volta contenuto le ossa del fratello di Gesù di Nazareth, Giacomo, lapidato a morte nel 62 d.C., secondo il racconto di Giuseppe Flavio.

Pubblicizzato dalla rivista "Biblical Archaeology Review", l’ossario è stato definito dalla rivista "Time" come probabilmente "la più importante scoperta nella storia dell’archeologia del Nuovo Testamento."

È stata esposta al Royal Ontario Museum di Toronto (ROM), è stata soggetto di un libro di Harper Collins, ed è stata persino argomento di un documentario di Discovery Channel. 

Dubbi riguardo alle origini dell’ossario e questioni relative alla sua autenticità sono sempre esistite, essendo molti studiosi biblici come anche i geologi del Servizio Geologico israeliano e alcuni scienziati del ROM, alquanto perplessi.
I dubbi si sono persino rafforzati lo scorso gennaio, quando un altro notevole artefatto con associazioni bibliche - ed incerte origini e proprietà - è emerso in Israele: l’Iscrizione di Jehoash, ovvero il presunto racconto, risalente a 2800 anni or sono, delle riparazioni operate sul Tempio di Gerusalemme. (vedi post precedente, in Inglese, solo riassunto e non tradotto).

Il suo testo, in lingua Ebreo-Fenicia, reca un’insolita somiglianza con un passaggio del Vecchio Testamento.

Microscopiche pagliuzze d’oro si dice siano state trovate tra le lettere iscritte, spiegate come resti delle pareti d’oro e dagli altri oggetti del Tempio di Salomone distrutto con un rogo dai Babilonesi. 

Ma gli studiosi, quasi immediatamente, hanno evidenziato quanti errori formali, di impostazione, di tipologia e di struttura oltre che grammaticali si trovassero nel testo.
Queste scoperte sono dunque troppo belle per essere vere?

L’Autorità per le Antichità Israeliane ha aperto un’indagine.
Un articolo di Neil Asher Silberman e Yuval Goren sul numero di settembre/ottobre di "Archaeology" riporta le indagini, i retroscena e le conclusioni. Nel contempo la conferenza stampa della IAA ha fatto chiarezza sui seguenti dettagli:
Gli studiosi del comitato scientifico della IAA si sono divisi in subcomitati per indagare gli aspetti epigrafici delle iscrizioni (forma delle lettere, grammatica, sintassi) e per portare avanti un minuto esame fisico degli artefatti, inclusa la patina che li ricopre.
Il comitato epigrafico includeva Avigdor Victor Horwitz e Shmuel Ahituv della Ben-Gurion University del Negev, Ronny Reich della Haifa University, Amos Kloner e Ester Eshel della Bar-Ilan University, Hagai Misgav dell’Università Ebraica di Gerusalemme, e Tal Ilan dell’IAA.
Il comitato per l’esame fisico includeva Yuval Goren della Tel-Aviv University, Avner Ayalon del Servizio per il Controllo Geologico Israeliano, Elisabetta Buaretto, capo del laboratorio per la datazione al radiocarbonio al Weizmann Institute di Scienze, Jacques Neguer, capo del dipartimento della IAA per il restauro della pietra, and Orna Cohen, un restauratore ed archeologo di comprovata esperienza.
Il loro mandato era specifico: condurre uno studio approfondito ed indipendente su entrambe gli artefatti; verificare le precedenti conclusioni scientifiche; ed infine, arrivare ad una ragionata valutazione della loro autenticità.
Il Ministro per la Cultura Israeliano, Limor Livnat, ha personalmente affidato l’incarico alla commissione scientifica. Ha poi notato, con particolare riguardo all’Iscrizione di Jehoash, che se fosse stata scoperta genuina, sarebbe stata "la più importante scoperta archeologica mai fatta nello Stato d’Israele".
Ma quello che i membri del comitato hanno trovato sono stati svariati inconfondibili indizi di una contraffazione di antichità del ventunesimo secolo.

Il verdetto degli epigrafisti circa l’Iscrizione di Jehoash è stato unanime: tutti hanno convenuto che i numerosi errori di grammatica e l’eccentrica mistura di forme delle lettere, tratte da altre iscrizioni, ha reso chiaro si trattasse di un moderno tentativo di falsificazione.
L’Ossario di Giacomo era una questione differente.
Gli epigrafisti erano divisi circa l’autenticità della prima parte dell’iscrizione ma alla luce dei risultati del comitato per l’esame della patina, hanno convenuto unanimemente che l’intera iscrizione dovesse essere stata moderna.
Così, in questo caso, sono state le analisi geochimiche e microscopiche - piuttosto che l’erudizione scolastica - a svelare la verità.
Esami di una piccola sezione del gesso sul quale sono state incise le parole dell’Ossario di Giacomo indicano che si tratterebbe di calcare gessoso della Formazione Montuosa di Menuha del Gruppo del Monte Scopus, il che è pienamente concordante con le centinaia di ossari autentici che sono stati trovati nell’area di Gerusalemme. Ma i primi esperti geologi ed i conservatori del Royal Ontario Museum hanno menzionato un tipo singolo di patina a forma di "cavolfiore".
I geologi Goren e Ayalon, invece, hanno identificato tre distinte coperture sulla superficie dell’ossario: Una sottile superficie di argilla ed altri minerali cementati alla superficie della roccia, presumibilmente uno strato di roccia creato da batteri vivi o alghe nel corso di protratti periodi di tempo.
Una naturale copertura crostosa - o patina (questo era il "cavolfiore") che si è formata sulla superficie della roccia per via dell’assorbimento o della perdita di vari elementi e minerali.
Il cosiddetto "James Bond": un materiale di composizione unica che ha ricevuto questo soprannome da Goren dal momento che si trova depositato sulle lettere incise dell’Ossario di Giacomo ma non è stato trovato in alcun altro punto della superficie dell’ossario - o in alcuno degli ossari autentici che i membri della commissione hanno usato come esempi comparativi.
Lo strato che copre grandi aree della superficie dell’ossario e la patina sono penetrati attraverso il primo strato in vari punti. Sia lo strato che la patina coprivano una rosetta incisa sull’altro lato dell’ossario, ma le meticolose analisi di Goren e Ayalon hanno mostrato che le lettere dell’intera iscrizione aramaica "Giacomo, Figlio di Giuseppe, Fratello di Gesù" sono state incise attraverso lo strato, ciò ad indicare che l’incisione è stata praticata molto tempo dopo - forse secoli - la rosetta coperta dallo stesso strato.
Più strano di tutto è il "James Bond", il materiale gessoso che copre le lettere. Contiene numerosi microfossili, naturalmente presenti come particelle estranee nel gesso, ma non dissolvibili nell’acqua.

È emerso da ciò che non si trattava di una vera patina formata in superficie dalle cristallizzazioni della calcite, ma piuttosto gesso polverizzato - completo di microfossili - che è stato dissolto in acqua e intonacato sull’intera iscrizione.

Così, la tecnica dei falsari è apparsa evidente: l’Ossario di Giacomo era un artefatto autentico sul quale una rosetta decorativa originariamente contrassegnava il lato "frontale".
In un periodo di durata non determinabile, dopo completato il naturale processo di stratificazione e patinatura all’interno dell’ambiente di una grotta umida, qualcuno avrebbe inciso una serie di lettere attraverso lo strato naturale, sul lato "posteriore" dell’ossario. Quindi le lettere incise di fresco sarebbero state coperte con una "patina" ad imitazione, fatta d’acqua e gesso macinato.

Il metodo d’imitazione della patina antica mediante la preparazione e l’applicazione di una mistura di materiali genericamente simili era anche evidente all’interno e tra le lettere dell’Iscrizione di Jehoash.
I risultati ottenuti da Ayalon lo hanno chiarito.
I suoi studi si sono concentrati su un indizio rivelatore relativo alla natura dell’autentica patina antica: il suo tasso isotopico di ossigeno offre un’indicazione immediata circa le qualità dell’acqua con le quali è stata prodotta la patina. La calcite (carbonato di calcio CaCo3) è il componente primario della patina che si forma naturalmente su artefatti archeologici sepolti in aree calcaree, come la regione di Gerusalemme.
Ciò è dovuto al fatto che la calcite si dissolve in acqua di sedimento. Con la perdita di Co2, dall’acqua per evaporazione, la calcite si cristallizza ancora sulla superficie della pietra. L’ossigeno all’interno di questa copertura calcarea ricristallizzata - la patina - ha la stessa ratio isotopica dell’acqua dalla quale è stata prodotta. E quel valore può perfino essere usato per determinare la temperatura alla quale la cristallizzazione ha avuto luogo.
Ayalon ha determinato nella sua analisi che mentre la calcite della patina della superficie non iscritta dell’ossario di Giacomo, e le superfici e le iscrizioni degli ossari autentici che ha esaminato, avevano livelli normali per la temperatura media delle vicinanze di Gerusalemme, la ratio del "James Bond" - lo strano miscuglio che copre solo le lettere dell’iscrizione - era assolutamente differente.
La cristallizzazione pertanto avrebbe avuto luogo in acque riscaldate, non nell’"ambiente della grotta" che i primi geologi avevano teorizzato.
Le prove indicano una falsificazione intenzionale della patina sulle lettere dell’iscrizione "Giacomo, figlio di Giuseppe, fratello di Gesù" - ed in nessuna altra parte.
Nel caso dell’Iscrizione di Jehoash, il verdetto geologico era di condanna così come quello epigrafico.
I geologi del Servizio di Controllo Israeliano hanno perfino confuso il tipo di roccia. Non era una roccia calcarea dell’Israele meridionale o del Giordano, ma un conglomerato metamorfico di basso grado di un tipo trovato comunemente nella Cipro occidentale e in aree ancora più occidentali, ma non nel sud dell’Oriente o nella Siria settentrionale.
Il retro della pietra era coperto da una patina dura, come i primi esperti avevano dichiarato, ma questa patina è stata trovata composta solo di silice, più probabilmente risultante dalla composizione silicea della roccia. È improbabile che una tale patinatura sia stata creata su una pietra che era seppellita nell’ambiente interamente calcareo di Gerusalemme.
Una volta ancora, questa è una differenza drammatica tra la patina del retro non iscritto e i lati della pietra, rispetto alla facciata con le lettere cesellate. A differenza del deposito siliceo degli altri punti, questo materiale è soffice e composto di argilla pura mischiata con gesso polverizzato. All’interno di questa mistura artificiale si trovavano pochi globuli microscopici di metallo (presumibilmente oro secondo quanto dichiarato dai primi esperti), come anche particelle carbonizzate.
Era più o meno il tipo di "sapone" che Goren aveva suggerito come materiale ideale per un moderno falsario. Ma prima di adesso Goren non aveva avuto accesso al reale artefatto. Ed ora, scoprendo che questa "patina" potrebbe essere facilmente cancellata dalle lettere, si può asserire che le incisioni sono indubitabilmente fresche.
In effetti, la patina falsa sull’Iscrizione di Jehoash condivide le caratteristiche del "James Bond" dell’Ossario di Giacomo.
La presenza di microfossili non dissolti nella mistura mostra che è stata prodotta da gesso polverizzato, non dalla naturale cristallizzazione, ed i valori isotopici di ossigeno per la calcite nella patina falsa dell’Iscrizione di Jehoash indicano ancora che la cristallizzazione è stata prodotta in acqua calda, e non in terra.
Basandosi su questi risultati in una combinazione di considerazioni epigrafiche e storiche, il comitato della IAA ha concluso che entrambe le iscrizioni sono falsi moderni, incise su artefatti autentici e coperte con una mistura preparata con grande attenzione per riprodurre una patina che sembrasse antica di secoli.
E circa i due stili di scrittura manuale dell’Ossario di Giacomo che sono stati individuati da alcuni dei primi critici?
Questo aspetto del caso non è stato toccato nel corso della conferenza stampa della IAA, ma, come Silberman e Goren riportano nel loro articolo di prossima uscita per "Archaeology", una teoria intrigante sarebbe emersa nel corso delle indagini.
L’esame fisico ha mostrato che l’intera iscrizione è stata incisa allo stesso tempo, così due mani diverse sembrerebbero improbabili in un’iscrizione di sole cinque parole. O forse no?
Esami dello stesso catalogo di ossari che il professor Lamaire ha usato come metro di comparazione per la forma delle lettere nell’Iscrizione dell’ossario, ora sembrano esserne la possibile fonte.
Nell’epoca dei software per la scansione e riproduzione di immagini digitali è assolutamente possibile effettuare copie di antiche lettere per come esattamente appaiono sull’artefatto genuino.

Per esempio, prendendo la parola "Giacobbe" (dal catalogo n. 396), le parole "figlio di Giuseppe" (dal catalogo n. 573), "fratello di" (dal catalogo n. 570), "Gesù" (abbastanza comune da avere numerosi esempi), dando a tutte la stessa dimensione e allineandole con un software per computer come Photoshop o Page Maker, si possono facilmente creare dei caratteri straordinariamente prossimi agli originali per un’iscrizione falsa, che sembrerà però, ad un attento esame, scritta da una o più mani differenti.

Le persone coinvolte nell’affare degli artefatti apparentemente falsi hanno risposto quasi immediatamente.
Oded Golan, per la sua parte, ha mantenuto la linea di sempre.
"Sono certo che l’ossario è autentico - ha dichiarato al quotidiano israeliano Ha’aretz - Sono sicuro che il comitato sbaglia circa le conclusioni che ha tratto."
E, accusando il comitato di avere idee preconcette, ha anche espresso la sua convinzione che l’Iscrizione di Jehoash sia altrettanto genuina.
In un frettoloso comunicato stampa di Roger M. Freet, direttore associato di marketing e pubblicità per Harper San Francisco, editore di "Giacomo, Fratello di Gesù", Hershel Shanks, coautore del libro ed editore della Rivista di Archeologia Biblica, avrebbe così dichiarato: "Alcune dei paleografi più famosi al mondo, e due team di rigorosi scienziati che hanno testato l’iscrizione, non hanno trovato niente da eccepire sulla loro autenticità. Tutto indica una data del primo secolo. Vi sono troppe prove in favore dell’autenticità dell’iscrizione che la IAA non ha ancora debitamente confutato. Alla fine, se l’iscrizione si dovesse effettivamente provare un falso perpetrato da un moderno mistificatore, spero che il mistificatore sia preso e messo in galera."
Shanks ha anche provocato il direttore della IAA Shuka Dorfman, dicendo: "Dorfman - che odia i collezionisti d’antichità, i commercianti d’antichità, il commercio d’antichità e che vorrebbe chiudere il mercato delle antichità israeliane - ha nominato il suo vice presidente del comitato scientifico per studiare l’iscrizione. Si tratta certo di un esperto archeologo, ma non ha competenze di chimica o geologia."

Ciò nonostante, le conclusioni del comitato della IAA sono state unanimi e sembrerebbero porre fine in modo definitivo alla questione sull’autenticità dei due reperti.