La Terra dei Mucchi di Pietre, cap. 12
di Maurizio Feo
12. Hur, il Sacerdote della Montagna.
Dopo un cammino disagevole, ma fortunatamente breve,
gli uomini della Compagnia fecero una breve sosta: si aprì ai loro occhi una
valle, la cui vicina presenza e molto vasta estensione erano insospettabili
dall’esterno. Vi si trovava, insieme ad acqua in quantità, anche un villaggio
piuttosto grande e dall’aspetto semplice ma opulento. Esso risultava ben difeso
- oltre che dallo stretto accesso, nascosto alla vista - anche da uno spesso
muro tutt’intorno. Al centro della valle torreggiava un piccolo tempio tondo,
con un modesto recinto e privo di fornace.
Davanti al tempio - con l’alto cappello a cono, con
il grosso bastone del comando e con tutti i paramenti sacri - già stava in
attesa il sacerdote, in posa ieratica, avvertito in ossequioso anticipo dalle
vedette di Hanys.
Egli li accolse con queste parole: “Siano benvenuti
gli amici lontani che chiedono aiuto. Che la nostra umile ospitalità li renda
più sereni e metta in fuga i loro incubi vani. Ci chiediamo in verità quale
aiuto possa offrire un piccolo villaggio di montagna ad uno grande e ricco
qual’é Tal-Ur - che dall’altopiano tratta con le città sul mare e con le terme
del fiume e che ogni anno ci rallegra e ci stupisce con i suoi prodigi”.
Non sfuggì a Lauchme lo scarso entusiasmo del
benvenuto formale, ma egli fu forse l’unico che vi riconobbe l’invidia del
collega meno fortunato, che malvolentieri accoglieva sul proprio terreno un
potenziale, migliore concorrente. Proprio in quel dettaglio subito Lauchme
individuò il vero pericolo, l’ostacolo che tutto avrebbe potuto compromettere...
Allora il Grande Sacerdote di Tal-Ur si scoprì il
capo e scelse di assumere un aspetto dimesso. Diede il proprio bastone ricurvo
a Norax, avanzò di un passo e - allargando prima le braccia in senso di
dichiarata impotenza, poi alzandole, palmi avanti come in preghiera - disse in
tono supplice: “Oh, Sacerdote che hai scelto di essere buona guida tra la
fiera gente dei monti, é invero pressante il nostro bisogno di aiuto se ci ha
portato fino a te, senza invito e senza annuncio! E per questo é giusto il disappunto
che tu sicuramente provi, anche se nella tua generosità - intuisco - non vuoi
farcelo pesare. Noi ti chiediamo di ascoltarci, con la buona disposizione di
cuore che distingue la nostra gente, di cui tutti qui facciamo parte, ognuno
con un certo onore e orgoglio... Il problema per adesso appare lontano -
questo é vero - ma purtroppo non é soltanto un cattivo sogno. Forse tale esso é
stato in passato - e se così, non
fu ben interpretato - e adesso sta per realizzarsi a danno di noi tutti. Per
Inanna, dolce viso del Sole, e per
suo figlio, che muore e risorge nelle nostre stagioni; per la Luna che conta il
nostro tempo: ascolta ciò che abbiamo da dirti con la pazienza e l’attenzione
di un fratello”. L’altro sacerdote - che evidentemente si aspettava, e temeva,
un confronto con un altezzoso e superbo concorrente di casta - rimase sorpreso
dal tono di accorata ed umile supplica, ciononostante cogliendo in essa il
tentativo di adulazione personale e di imbonimento pubblico. Fece quindi per
rispondere, poi mutò idea ed indicò al sacerdote di Tal-Ur l’entrata della
propria capanna, con un gesto che sanciva forse un armistizio, non certo una
resa: di certo, considerava preferibile e più prudente un incontro privato.
Decisero subito che i pari specie avrebbero prima
parlato tra loro, per poi tenere un consiglio più allargato. Perciò, mentre il
gruppo sacerdotale si ritirava, Mandras e Iolao erano a colloquio con Hanys ed
i suoi Luogotenenti.
La diffidenza del sacerdote della Montagna - il cui
nome era Hur - si faceva riconoscere ancora
attraverso la sua formale, ma fredda, cortesia: “Anche noi spremiamo il succo
fuori dall’uva, pur preferendo tuttora la birra” - disse soavemente, indicando
boccali ricolmi ai suoi ospiti - “Anche se solo da pochi anni la coltiviamo,
seguendo il costume orientale che vi é ben noto da tempo... Sedetevi, e
raccontatemi la vostra inquietudine”.
Norax sbirciò verso il suo Maestro e vide che questi
stava tormentandosi i lunghi baffi con pollice ed indice, segno - come egli ben
sapeva - di grande agitazione e di turbinosi pensieri non dati a vedere. Pensò
che molte parole stavano per essere spese, e che forse inutilmente sarebbero
scivolate via sull’insensibilità e sull’indifferenza del già maldisposto e
diffidente Hur. Norax indovinò che il suo Maestro stava furiosamente cercando
le parole per fare breccia attraverso quel muro e che forse - anzi, sicuramente
- avrebbe trovato un punto debole sul quale insistere.
Intanto Hator - una sua inserviente - aveva loro versato altro prezioso
succo di uva nera ed aveva portato via con sé i grandi paramenti del suo sacerdote,
per ricomparire subito dopo con dolci fatti di cumino, mandorle e miele.
“Vi sono molti segni” - cominciò il sacerdote di
Tal-Ur - “sufficienti a convincere i più increduli”.
“Come la spada, ad esempio?” - S’intromise Hur,
anticipandolo, per metterlo in difficoltà.
“Si: la spada é già uno dei segni” - ammise Lauchme
con pazienza e l’altro, sorridendo di soddisfazione, disse: “Spade e pugnali
come quello sono rari, come raro é il metallo da cui sono ottenuti e ancor più
rara la conoscenza necessaria per fonderlo. Essi vengono destinati come regali
graditi a giudici o re, da parte di ricchi commercianti o da altri re stranieri.
Non ve ne saranno mai abbastanza per armare un esercito. L’unico loro scopo é
quello di guadagnarsi i favori, non certo quello di vincere le guerre. Quelle
lame - come tu, fratello nell’arte, dovresti ben sapere - si ricoprono di una
polvere rossa che le rode e le consuma: prima gli toglie la lucentezza, quindi
le priva di ogni forza, riducendole come foglie secche. Quando le nostre lame
brune sono ottuse, invece, noi le rifondiamo per ribatterle, senza difficoltà,
più belle di prima. Ma esse non perdono mai la loro lucentezza dorata, tanto
che con lo stesso metallo noi facciamo gli specchi, oltre alle fibbie, ai
bracciali, agli anelli, alle spille, ai pettini, alle stesse piastre sacre che
tu ed io portiamo - più o meno degnamente, devo dire - sul petto. Tu, Sacerdote
del Grande Circolo, non puoi ignorare queste cose; o devo credere che così in
basso siano ormai caduti i più eletti custodi della nostra fede?”.
Hur era più vecchio di Lauchme, ma in questo
momento aveva occhi che brillavano per la convinzione di avere già in pugno
l’avversario: si ergeva ben dritto sulla sua poltrona quasi come su di un
trono, convinto di poter avere facilmente ragione di un avversario che forse
prima egli aveva troppo temuto davvero.
Ma gli rispose il Grande Sacerdote Lauchme: “E tu,
Hur che ne parli così semplicemente, tu conosci il segreto per fondere quel
metallo? Conosci forse l’ubicazione delle miniere? Hai avuto messaggi e prove
da Orwa,
da Kar,
da Bithia, da Nure, da Solki, da Tarr, da tutte le nostre
coste? Hai potuto contare le vittime di una guerra assassina non dichiarata,
che già si combatte nelle nostre città? O forse poco t’importa che quelle
possano essere prese dal nemico, perché sono lontane, o perché non ti
piacciono, o soltanto perché speri che un esercito numeroso e bene armato non
oserà salire su questi monti? Tutto ciò che si frappone tra noi ed una belva
feroce va difeso, se ci difende, che ci piaccia oppure no. Io ti dico che
verranno e bruceranno la terra! Bruceranno prima le città, quindi prenderanno i
villaggi delle pianure ed infine, con tutto comodo, saranno qui, più numerosi
delle formiche, più forti che mai”. Nel dire queste parole il tono di Lauchme
s’era gradualmente accresciuto, lo sguardo indurito, la persona protesa nella
sua poltrona come per lanciarsi avanti, la figura stessa sembrava essersi
fatta più grande, incombente.
Ma subito dopo riprese a parlare della propria arte,
in tono più sommesso: “Io conosco il modo per fondere quel metallo che alcuni
chiamano Isarno.
E’ un segreto di quei Twrshna che si fanno chiamare Rasena e che hanno scelto a propria definitiva dimora la “Terra nel
buio”, Ereb.
Essi la illuminano di fuochi maestosi e della loro scienza. Ne disboscano gran
parte e vi fanno giungere la luce del Sole. La coltivano e vi fanno
sapientemente scorrere l’acqua. Quella terra é ricca del metallo grigio, oltre
che di quello che dà il nome alla lontana Isola del Rame. Essi vi fanno
giungere da lontano anche un metallo giallo sempre brillante e tutti li
lavorano con incredibile maestria. Questo risponde ai tuoi argomenti”.
Lauchme proseguì come un fiume in piena, senza più
lasciarsi interrompere, né smentire. Hur stette ad ascoltare con avidità come
si presentavano in natura le pietre contenenti i vari metalli, e come
apparivano dopo la fusione. Ascoltò come i Rasena barattassero i propri
manufatti con il metallo giallo, oltre che con splendidi vasi dipinti, ambra
preziosa, rarissime uova di struzzo, pelli e denti di animali strani e mostruosi,
che vivevano ai confini del mondo.
Lauchme disse: “Sembra che i Rasenna conoscano una
strada, quasi tutta per terra, che conduce fino alle isole Kassitere. Dove i
nostri marinai giungono soltanto con grande rischio, costeggiando tutta la
terra nel buio con le navi, e portando soltanto un piccolo carico, là i Rasenna
fanno viaggiare lunghe colonne di grandi carri - o di barche - attraverso la
terra dei Keltoi e degli Iperborei”.
Norax stava ascoltando affascinato - e non era il
solo - e già presentiva che da quel solo colloquio avrebbe appreso molto di più
che non in una intera luna di tirocinio. “Di tutto questo qualcosa ho udito
anch’io” - disse il sacerdote della montagna - “e qualcosa ho appreso a suo
tempo, malgrado quel popolo sia molto geloso dei suoi segreti. E tu, come sai tutto questo?”
Lauchme rispose con noncuranza: “Ho vissuto presso di loro, prima
che essi lasciassero le nostre coste. Ero poco più di un ragazzino, per cui
non davano molta importanza a me, ma io avevo occhio acuto ed orecchio attento ad ogni dettaglio”.
“E sono forse essi la grande minaccia di cui tu
parli?”
“No” - sorrise il Gran Sacerdote - per Ennin, essi
sono un popolo religioso e pacifico e pieno di quella saggezza, con la quale
non é male convincere i popoli e quindi conquistarli. Per la verità, essi si
spingono ormai più per terra che non per mare e sono troppo indaffarati nel
trasformare la Terra nel Buio in un paese ospitale. Credo che la flotta dei
Shardana delle nostre coste sia più grande e più veloce della loro. E forse
meglio armata”.
E qui Lauchme, vista un po’ sopita la diffidenza di
Hur, cominciò a raccontare per esteso i fatti, i sospetti, i progetti e le paure.
Mostrò naturalmente il papiro che aveva portato con sé e pazientemente
soddisfò ogni curiosità di Hur su quella scrittura antica, su quei tenaci
inchiostri brillanti, su quale parte di quale erba del fiume si dovesse usare,
dopo averne incollati insieme gli steli aperti e srotolati - per scriverci su.
O di come in mancanza di quell’erba - si potesse stendere la cera delle api su
di una ruvida tavoletta di legno e ad essa affidare i messaggi e le note che
non si addicono alla voce, né alla memoria...
Infine, dovette pazientemente confrontare le proprie
conoscenze sull’arte di guarire dai mali, sforzandosi di non assumere
l’atteggiamento di chi di fatto insegna cose nuove a chi é rimasto isolato
indietro, bensì lavorando d’ingegno, e mostrando di ritenere che sempre l’altro
sapesse già bene ciò di cui si andava parlando, o che addirittura l’avesse
suggerito per primo proprio colui che invece udiva quelle cose per la prima
volta...
In questo modo gli permise di annotare bene molte
utili nozioni nuove, peraltro facendogli fare egualmente bella figura di
fronte ai propri aiutanti. Di ciò l’altro non poté non essergli grato, come il
suo mutato atteggiamento già di fatto dimostrava. Naturalmente, Lauchme
dovette premurarsi di porre a propria volta alcune domande su argomenti accortamente
scelti nella Vecchia Tradizione.
Su questi ultimi Hur fu ben pronto a rispondere con
una tal impressionante dovizia di dettagli, da meritarsene un ammirato elogio.
Norax però dubitava molto che quelle domande fossero realmente formulate dal
suo Maestro per apprendere.
Infatti, questi si rivolgeva ogni tanto a Norax e
con fare grave gli diceva: “Di questo prendi nota” - riferendosi talvolta a dettagli
che erano ben familiari perfino allo stesso Norax. Si prestò comunque alla
commedia con naturalezza, perché era un ragazzo sveglio e aveva già compreso
per quali difficili strade passasse talvolta la fiducia degli uomini, prima di
giungere a buon fine.
In tal modo, inoltre, Norax ebbe modo di apprendere
molto dal garbato ed erudito scambio, ad esempio: come in ogni essere vivente
alberghi una forza enorme che tende a guarirlo dalle malattie. Questo si può
già osservare spezzando qualche ramo di un albero: poco dopo rispuntano più
folte e numerose le piccole foglie nuove. Così la Vita reagisce ad un piccolo
insulto, impegnandosi subito nel lavoro di porvi rimedio. Tale forza é presente
in ogni essere ed è quasi invincibile - ma purtroppo lenta - talché se il male
é più veloce di essa o molto grande di per sé, l’essere muore. I due sacerdoti
convennero che lo scopo del guaritore consiste nel limitare l’entità e la
velocità della malattia quel tanto che basti perché quella forza vitale sanatrice
possa avere il sopravvento...
Molte furono le domande di Hur sui colori così belli
e brillanti ottenuti da Lauchme. Anche intorno a questi segreti il sacerdote
di Tal-Ur fu prodigo di lumi: per l’azzurro, consigliò di migliorare la
vecchia formula orientale, usando
invece di sabbia il raro vetro triturato, più polvere di rame tenuta a
lungo in acqua, più lapislazzuli pestati, e poi cuocendo il tutto alla
fiamma. Il verde più stabile si può ottenere con malachite polverizzata, rame
tenuto in aceto, sale, soda. Il giallo, il rosso, il bruno si hanno con ocra -
naturale o variamente bruciata. Il nero migliore é dato dal carbone - oppure
da ossa di animali bruciate - con aggiunta di colla di semi di grano per
renderlo più tenace. Il bianco si ottiene - meglio ancora che con gesso o altro
- con sarmenti e piombo tenuti a bagno nell’urina molto, molto a lungo...
Intanto, fuori, la ruvida e semplice gente della
montagna aveva interpretato il raduno come un’occasione per festeggiare, per
cui già da tempo erano stati accesi fuochi, preparati gli addobbi, aperte le
rustiche dispense, riempite le lampade.
Già suonavano le tibie e gli altri strumenti.
Di ciò erano stati ben contenti i cacciatori ed i
boscaioli di Tal-Ur, che non molto prima e con rammarico avevano intrapreso il
viaggio lasciandosi dietro proprio una festa. Quindi ben volentieri avevano
aiutato a fare questi nuovi preparativi.
Il fatto, quindi, era compiuto: rifiutare non si
poteva, se non offendendo a morte chi generosamente - ma imperiosamente -
offriva la festa. Si doveva restare e forse ballare, ascoltare canzoni,
parlare, fare gare di forza o di destrezza, bere e mangiare, scambiarsi buoni
auguri, fino a che la notte troppo stanca non avesse ceduto al giorno. Non appena
Norax si rese conto di ciò - uscendo dalla capanna di Hur - scambiò uno sguardo
di disappunto con il suo Maestro e fece per parlare.
Ma il saggio Lauchme lo zittì, posandogli una mano
sul braccio, e contemporaneamente chiedendo al loro ospite Hur il tempo ed il
luogo ove potessero liberarsi dal bagaglio e della polvere, del sudore del
viaggio, in modo da essere più presentabili per la festa. Quindi, una volta
soli, parlò con il suo apprendista: “Ohi, Norax tu hai visto ed hai compreso
in fretta quanto é accaduto prima. Per tutte le cose si deve ogni volta pagare
un prezzo, e forse mai nella stessa moneta. Abbiamo ottenuto la fiducia del
pastore, ora dobbiamo guadagnarci quella del suo gregge. Se il pastore ha
voluto la lana, il gregge ora con ragione chiede il pascolo. Non possiamo -
né adesso, né mai - rifiutare un’offerta di amicizia: non ci sarebbe perdono.
Quello che per noi é un prezzo molto caro, per essi é soltanto qualche ora
della notte e la cenere del fuoco... Non lamentarti se così spesso, coprendoti
la spalla fredda col tuo piccolo mantello ti scopri le gambe e non riesci mai a
stare caldo tutto. Questo ti accadrà continuamente nella vita che gli Dei ti
hanno donato, fino a quando la Grande Madre Ennin non ti regalerà per sempre
una coperta più grande e più definitiva, che già riscalda i tuoi antenati nelle
loro favisse... Quindi usciamo di qui
volentieri e mescoliamoci ai nostri fratelli con la sincerità del sangue e
restiamo con loro finché essi lo vorranno. Alla fine, ricorda, anche il prezzo
che a nostra volta noi richiederemo, in cambio, sarà molto alto per loro. Tutti
riceveranno qualcosa, tutti pagheranno qualcosa”.
Nuraghe (di Marco Camedda, 2007 - china su carta) |