La Terra dei Mucchi di Pietre, cap. XVI
16. Ocra di colore rosso.
Il numero totale di morti era quasi uguale a quello
dei componenti - vivi, ma molto impressionati - della Compagnia. I corpi che
avevano rinvenuto e contato giacevano scomposti e orrendamente mutilati, gli
uni vicini agli altri. In certi punti erano così fitti da non potervi trovare
un passaggio.
Insetti di ogni genere erano ormai convenuti a
quell’insperato ed abbondante festino. Anche molti animali di varia taglia, disturbati
appena dai nuovi venuti, avrebbero completato l’affronto su quei miseri resti
ormai così poco umani, con competente e laboriosa voracità.
Intorno, regnava una quiete innaturale e maligna.
Un terribile e persistente odore di morte aleggiava
dolciastro su quella vista impietosa, estendendosi ovunque, contaminando tutto.
Questo rese ancor più ingrato il compito di effettuare l’inventario...
Comunque, alla fine di quell’orrido censimento,
sembrò valida la stima di 26 morti per gli sconfitti contro 18 dei vincitori, i
quali però ne avevano avuti almeno altri 25 contro le pattuglie della Compagnia...
Tutto questo fu fedelmente riportato dalla pattuglia di ritorno al campo e fu
ascoltato da tutti con grande interesse.
Dalla descrizione del massacro risultava evidente -
e tutti ne convennero - il grande vantaggio di cui godeva la Compagnia. Essa
poteva quasi sempre evitare i corpo a corpo grazie agli archi più precisi e più
potenti, che permettevano di fermare gli avversari a distanza. Inoltre, in un
eventuale scontro diretto, le armi di metallo avrebbero mostrato la propria
superiorità crudele. Si valutò che tra gli sconfitti sbandati forse altri 10 o
15 erano stati raggiunti dagli inseguitori. Questo significava che, fra vinti e
vincitori, almeno 80 erano i morti. In qualunque posto si fossero trovati - nel
cuore della montagna, o persi nella foresta - almeno due interi villaggi
avrebbero avuto sicuri motivi per piangere, quella notte. Ma la domanda che
tutti nella Compagnia si ponevano era: poteva mai la gente di quei due villaggi
essere così numerosa, aggressiva e insensibile da volere e potere ancora combattere
dopo quelle perdite? Questo era il timore soprattutto degli uomini di Hanys che
già altre volte avevano sperimentato su di sé gli effetti devastanti di quella
furia improvvisa, e non solo vedendone gli esiti sul corpo di altri.
La notte, pietosa, stese egualmente il proprio bel
manto oscuro sulle paure delle sentinelle - raddoppiate per l’occasione. Come
l’aveva steso anche sopra quel prezioso sangue umano, perduto inutilmente, che
adesso tingeva di cremisi e di porpora quella terra fertile e bella...
L’indomani mattina, quasi naturalmente non ci si preoccupò
più tanto di non essere visti e si accesero i fuochi per potere così almeno
mangiare cibo caldo. Da parte sua, il Gran Sacerdote cercò soprattutto di comunicare
con Nugor, come voleva essere chiamato il ferito, che era stato da loro
soccorso la notte prima. Il dolore, la sorpresa, l’incertezza, la riconoscenza,
furono tutti puntualmente mimati da molti gesti, accompagnati da qualche
parola.
Lo scambio ripetuto dei nomi servì a ricordarsi i
nuovi amici. Qualche sorriso fu offerto e fu reso. Qualche altra parola prudente,
per vincere le ultime incertezze.
Quindi Nugor si alzò, dapprima con una certa fatica.
Eseguì qualche movimento di prova, per valutare le proprie capacità. Il risultato lo vide più che
soddisfatto. Allora indicò una direzione e la volontà di andare. Si terminò di
smontare il campo e si partì, seguendo le indicazioni della nuova guida. Fu una
salita quasi continua: molto presto lasciarono il fiume alla loro destra e
presero a salire un canalone laterale, asciutto, in quest’epoca dell’anno.
Nugor si muoveva con la sicurezza di chi percorre
luoghi familiari e sicuri. In modo più agevole di quanto non sembrasse
possibile a prima vista, superarono la cresta del monte che avevano avuto alla
loro destra. Si aprì allora ai loro occhi uno scenario imponente e bellissimo
per colori e sfumature: ovunque d’intorno stavano i monti, chiari e brillanti i
più vicini, indistinti e di colori più tenui gli altri. Le fertili valli scure
vi si interponevano armoniosamente all’infinito, finché l’occhio vedeva.
Infine, lontano, tutto si confondeva col cielo azzurrissimo, ingombro di
bianche nuvole trionfanti che vi troneggiavano, gonfie e leggere. Lungo la
strada avevano potuto con qualche profitto cacciare, per cui disponevano ora di
sufficiente selvaggina fresca, che fu subito spellata o spennata, svuotata ed
infilata sugli spiedi. Per la prima volta da quando erano partiti si
preparavano un vero pasto, senza nascondersi, senza ansie, ma anzi con quella
anticipazione di piacere che già di per sé era gioia.
Mentre vicino ai fuochi iniziava a sfrigolare la
carne, Nugor tentava di comunicare con il Gran Sacerdote.
Egli indicò una valle disposta in direzione obliqua
verso il mare, a destra di un monte oblungo, non molto alto, dalla cima spelacchiata.
Quella doveva essere la loro strada. In quella direzione Nugor destinò a gesti
tutta la Compagnia. Ma subito dopo toccò in successione il petto del Gran
Sacerdote, quello di Norax ed il proprio, indicando un’altra direzione, quasi opposta.
Il dialogo durò per quasi tutta la cottura della selvaggina, interrotto ogni
tanto dall’assaggio delle cotenne più vicine al fuoco o da qualcuna delle
frattaglie. Fu un ghiotto dialogo tra amici.
Il Sacerdote fece notare alla guida che essi avevano
fretta, perché un nemico molto, molto più potente della gente delle grotte li
minacciava. Riuscì a spiegare come questo nemico non fosse ancora giunto, ma
fosse presto atteso, dal mare. Nugor parve molto preoccupato: nella sua mente
era chiaro che assai potente doveva essere quel nemico per potere incutere
paura a guerrieri così bene armati e valorosi. Ciononostante - almeno così
parve di capire - egli voleva almeno presentare alla sua gente chi lo aveva
salvato e curato. Promise che sarebbero stati di ritorno alla Compagnia molto
prima del tramonto e che dopo, prima di notte, molta strada ancora avrebbero potuto
percorrere, con guide meglio in arnese di lui - e quindi più veloci - che egli solennemente
prometteva loro fin da quel momento. E in questo senso si accordarono
finalmente, godendo felici di quel nuovo patto di amicizia e del poter mangiare
e bere insieme così vicini al cielo, abbracciando con gli occhi la loro Terra
del Sole, madre comune.
Una ritrovata dignità gonfiava ora il petto di
Nugor, e Norax raccolse un guizzo divertito negli occhi - ora sereni - del suo
Maestro.
Ognuno avrebbe pagato qualcosa, ognuno avrebbe ricevuto qualcosa.
Ognuno avrebbe pagato qualcosa, ognuno avrebbe ricevuto qualcosa.
Alla fine, Hanys parve molto contrariato dal vederli
partire in tre, soli e senza bestie da soma - che Nugor aveva con gran forza
rifiutato di prendere con sé. Il Gran Sacerdote si consultò con Mandras ed
Hanys e li rese solennemente depositari della Missione in sua assenza: se per
qualche motivo egli non si fosse trovato al punto convenuto prima del tramonto,
sarebbe stato loro preciso compito condurre a termine l’impresa della Compagnia
di Ennin. Si accomiatarono e presero a scendere la montagna per strade
divergenti. Nugor, malgrado le recentissime ferite, riusciva a procedere a
piedi in modo spedito. Le difficoltà del percorso, in realtà, consistevano
principalmente nel riuscire a riconoscere
il percorso stesso dalle molte false strade che, evidentemente - concluse tra
se Norax - servivano a confondere gli intrusi. Per il resto si trattò di una
marcia abbastanza agevole.
Giunti al fondo della valle attraversarono un
rigagnolo e presto presero a risalire lungo il pendio della montagna dalla cima
spelacchiata, percorrendone i costoni rocciosi inclinati. Questi ultimi
costituivano comode rampe di ascesa, su cui non restavano tracce del passaggio,
come Lauchme fece notare a Norax. Stavano procedendo - sempre salendo - con la
valle a destra e la montagna sulla propria sinistra. In un punto che non
portava alcun segno e non sembrava in alcun modo differire dagli altri, Nugor
svoltò repentinamente a sinistra, girando intorno ad una roccia, scavalcando
un vecchio tronco caduto e cominciando a precorrere un ripidissimo sentiero
tortuoso, che prima - dal basso - era rimasto del tutto nascosto. Norax e Lauchme
guardarono in alto - ché altro non si poteva fare - e quindi si scambiarono
un’occhiata perplessa, in quanto più su, di fronte a loro, vi era soltanto una
liscia parete di roccia...
Percorsa ancora, faticosamente, la lunghezza di
dieci canne, videro la loro guida scomparire infilandosi in una stretta fessura
che si apriva obliquamente nella parete rocciosa, e che diventava visibile solo
quando la si aveva proprio davanti, a pochi passi.
Con fatica, aiutandosi con le mani, si avvicinarono
anch’essi alla fessura...
Era una profonda spaccatura di uno sperone roccioso,
il cui pavimento irregolare dapprima saliva in modo impervio, per poi scendere
più comodamente sullo stesso versante del monte, verso una terrazzatura
altrimenti irraggiungibile senza ali. Provarono un brivido di freddo, a causa
del vento che sembrava soffiare con più forza all’interno della fessura, forse
anche raffreddato - nel suo passaggio - dalle rocce in ombra. Giunti sulla
terrazza, Nugor prese a parlare a qualcuno nella sua lingua gutturale e strana.
Nessuno si mostrò, ma i tre proseguirono
indisturbati.
Per quanto cercasse, voltandosi più volte indietro,
Norax non riuscì a capire dove si nascondesse il misterioso guardiano.
Procedevano adesso spediti su di un piano, con il dirupo alla loro sinistra -
avendo invertito direzione alla fessura - e Norax notò che stavano camminando, apparentemente, su di una pietraia. In realtà, questa non era altro
che un unico enorme blocco di pietra, minutamente scavato e fittamente
frastagliato, tanto da dare l’impressione di una pietraia. Infatti, quelle che
sembravano singole pietre staccate non si spostavano affatto sotto i loro piedi
col peso di un uomo. Sulla loro destra, il solido blocco di pietra assumeva un
aspetto più compatto, e appariva striato da solchi paralleli che confluivano
tra loro, nel contempo appianandosi, seguendo la curvatura rotondeggiante della
roccia e formando un vero e proprio riparo sulle loro teste.
Sembrava un’onda di pietra.
Se fosse piovuto - pensò Norax - nessuno di loro si
sarebbe bagnato, e l’acqua non si sarebbe potuta mai raccogliere in pozze sotto
i loro piedi, filtrando invece attraverso le fessure. Alla fine di quel tratto
rettilineo ed in piano - dal quale non visti si poteva vedere tutta la valle -
incontrarono alcune sentinelle, visibili questa volta, che erano già state in
qualche modo avvertite del loro arrivo. Nugor non dovette nemmeno parlare,
questa volta. Essi li lasciarono passare per un viottolo che sembrava buttarsi
a capofitto nel burrone e per il quale i nuovi venuti si inoltrarono solo con
molta riluttanza, temendo per la propria incolumità. Dopo pochi passi soltanto
furono però su di uno spiazzo che sembrava angusto dall’alto, ma - videro poi -
si apriva nella montagna, formando l’ingresso dell’enorme grotta del popolo di
Nugor. In realtà, non era poi propriamente una grotta, come ebbero modo di
vedere. Non era affatto una caverna - anzi - comunque era enorme. Videro chiaramente che il pavimento si stendeva
ineguale e obliquo, più sotto di loro di una distanza di circa venti passi. Se
si fosse trattato di una grotta non sarebbe stata possibile tutta quella luce
dentro di essa. Infatti, mentre scendevano incuriositi una scala in parte di
pietra scavata ed in parte ricavata da pioli di legno, riuscirono a vedere che
solo alcune zone di quello strano posto erano in ombra. Vi si vedevano almeno
quaranta modeste capanne sparse qua e là, più qualche costruzione maggiore.
Finalmente, appena furono a terra si resero conto di dove mai provenisse quella
luce: le pareti scabre di quell’enorme spiazzo quasi circolare non si richiudevano
in alto - molto al di sopra di loro - invece si arricciavano un poco, man mano
avvicinandosi tra loro senza toccarsi. Il resto era cielo aperto. Al centro
dello spiazzo si ergeva un’enorme roccia conica, attorno alla cui larga base
stavano alcuni alberi di lentisco. Il pavimento - obliquo - degradava verso la
parte più bassa e più buia della conca, ove questa assumeva in modo più deciso
i caratteri propri di una grotta, con grosse colonne che univano la volta al
pavimento. Su quest’ultimo, nel punto più basso, si radunava un laghetto di
acqua limpidissima e fresca.
Era quindi un villaggio nascosto e segreto, ben
protetto da ostacoli naturali e dall’organizzazione degli uomini, e ben approvvigionato
di tutto ciò che è più necessario alla sopravvivenza. Ecco spiegate - in un sol
colpo - sia la magica sparizione degli uomini delle grotte, sia il loro
improvviso apparire dal nulla.
Subito la gente del villaggio si fece loro incontro
e vi si assiepò intorno, distraendoli dalle loro meraviglie per quel rifugio nascosto.
La gente del villaggio pronunciava in coro il nome di Nugor, nel contempo
cercando se vi fossero altri sopravvissuti con lui. Lauchme e Norax ebbero a
notare come quella piccola folla fosse prevalentemente composta di donne,
bambini e vecchi. Pochi erano gli uomini adulti rimasti, ed evidentemente quasi
tutti destinati alla guardia. Nugor non dovette dare buone notizie, come fu
chiaro dalle loro reazioni. Norax comprendeva qua e là qualche parola, ma per
il resto si affidava ai toni delle voci, alle espressioni dei volti. Si
scopriva vieppiù affascinato da quel dialetto a lui quasi del tutto ignoto,
eppure capace di toccare alcune corde appena sopite del suo essere, traendone
una segreta vibrante melodia, così stranamente consueta e solo apparentemente
nuova.
Non ci volle molto per comprendere che Nugor era una
persona di alto rango e che l’averlo salvato e curato costituiva un grande
merito. Ma Nugor stesso impedì subito ogni tentativo di rendergli onore ed
ogni preparativo di festa con fermezza ed autorità. Egli prima chiese che il
Gran Sacerdote medicasse alcuni degli altri feriti che in qualche modo erano
scampati alla strage e giacevano nelle loro capanne. Nugor volle seguire ogni
gesto, per poterlo a sua volta ripetere, oppure almeno insegnare. Quindi radunò
la sua gente - o meglio, ciò che ne restava - presso il grande sperone roccioso
e là, presso quel luogo che doveva essere sacro per lui, pronunciò un solenne
discorso. Dichiarò l’alleanza con il Grande Sacerdote Guaritore: i due popoli
non si sarebbero mai più incontrati con le armi. Nugor assicurò a Lauchme che
la sua riconoscenza lo avrebbe seguito ovunque egli andasse. Quando fosse tornato
avrebbe sempre trovato ospitalità e compagnia per attraversare il territorio.
Ma a questo punto Nugor si rabbuiò e si dichiarò incerto sulla possibilità che
il suo popolo risiedesse ancora a lungo in quel villaggio, così pressato da
tribù nemiche. Forse, si sarebbero allontanati più a nord. Ma il patto tra loro
sarebbe rimasto valido ed immutato per sempre, in ogni luogo, in ogni stagione,
finché ci fossero mai stati luoghi e stagioni. Il Gran Sacerdote di Tal Ur dai
molti nomi oscuri - Lygmon per i saggi Rasenna, Guaritore per il popolo di
Nugor, Colui che porta la luce nel buio per altri, Lauchme per altri ancora -
sorrise, mentre già un’altra, nuova buona idea germinava nella sua fertile
mente. Giudicando ancora prematuro il
momento, il saggio Padre della Vera Gente non la espresse in parole e la tenne
per sé. Invece, badando a scegliere accuratamente le parole comuni ai due
linguaggi, egli ringraziò altrettanto solennemente per l’onore di quella
visita. Promise ogni necessario aiuto al popolo di Nugor, se questi invece che più a Nord, avesse
mai preferito dimorare nelle terre di Tal-Ur, il Grande Cerchio, il suo
Tempio. Aggiunse che qualunque
fosse stata la loro scelta, il giuramento lo avrebbe impegnato ad un felice
vincolo di fratellanza per sempre. Le mani intinte nell’ocra impressero il proprio
stampo alla base dello sperone di roccia e così fu sancito il patto tra Lygmon
e Nugor. Quindi Lauchme si scusò, dicendo che era ormai angustiato dal tempo,
per cui doveva purtroppo lasciarli e non trascurare più oltre la propria
Missione, di cui Nugor bene sapeva. E a quell’accenno Nugor assentì gravemente,
con atteggiamento iniziatico, guardato con stupore ed ammirazione dalla sua
gente. Ma la prossima volta - promise argutamente Lauchme - avrebbero
festeggiato e banchettato insieme, anche per questa occasione perduta e così
sarebbe certamente stata una festa doppiamente felice. Le sue parole furono
molto gradite, ancorché forse più interpretate che realmente comprese.
Lauchme volle assicurare che, se avesse incontrato
altri superstiti lungo il viaggio, avrebbe riservato loro le stesse cure che
aveva offerto a Nugor. Avrebbe trovato il modo per restituirli al villaggio, o
comunque di mandare segnali. Per questo motivo, Nugor non doveva partire per il
Nord prima di avere ricevuto indicazioni da lui. Anche su questo si
accordarono. Nugor li salutò con un abbraccio ed essi subito si rimisero in
viaggio.
Due guide li riaccompagnarono giù dalla montagna,
per una strada diversa da quella che già conoscevano, e che si trovava sul
versante opposto. Giunsero ad un costone impervio, dal quale dovettero essere
calati - con lunghe corde - da altri uomini che appositamente li attendevano.
Certo qualunque quadrupede sarebbe stato di impaccio per la maggior parte del
percorso, il che giustificava il reciso rifiuto opposto prima da Nugor a
qualunque bestia da soma. Molto velocemente e molto prima del tramonto -
proprio come promesso - si riunirono con il resto della Compagnia. Appena essi
furono in vista, li accolsero con grida spontanee di giubilo e di franco
sollievo. Quindi tutti insieme, i cinquantun uomini della Compagnia e le due
guide, ripresero di buona lena la loro marcia verso il mare. Superarono un
crinale alto poco di più del villaggio segreto - che comunque anche da lì
restava del tutto invisibile - e presto furono in vista di un fiume molto
grande, sito in una valle stretta e buia.
Le guide indicarono nella direzione opposta al
tramonto, un poco mimando a gesti e un poco dicendo a parole che là si trovava
più vicino il mare e che quella era la loro meta, a quanto gli era stato detto.
Il Gran Sacerdote parve un poco perplesso a quella notizia. Confrontò
brevemente le proprie osservazioni delle stelle con quelle fatte da Mandras.
Infine risolse di tracciare alcuni segni sul terreno con uno stecco...
Cercando di farsi ben comprendere dalle guide, dapprima disegnò il mare - molte
linee spezzate una vicina all’altra. Quindi - nel punto ove terminavano queste
linee - disegnò una terra alta, ripetendo più volte il termine “kia” che indicava appunto la terra ed era comprensibile
anche alle guide. Sull’altopiano, quasi al centro, disegnò un grande buco
profondo, che impresse infiggendo
con forza uno stecco nel terreno,
roteandolo con decisione e ripetendo più volte la parola “nurra”, che le guide mostrarono di
comprendere vagamente. Accanto alla voragine - per la crescente curiosità di
Norax - disegnò un enorme serpente con un capo di fattezza umana, che chiamò
con il nome “Serapis”...
Le guide di Nugor parvero intimorite da alcune delle
parole e dall’intero disegno, in special modo poi dal serpente, ma, pur avendo
ben compresa la descrizione del luogo, non dettero alcun segno di
riconoscimento, nemmeno a sentire pronunciare il suo nome. Ma non era certo
Lauchme uomo da perdersi al primo ostacolo, per cui pazientemente prese a
completare il disegno, estendendolo verso l’alto. Tracciò i segni di molte
grotte affiancate, che dalla terra si aprivano sul mare, scorrendo parallele
una affianco all’altra, mentre un’altra grotta, più discosta, disegnò più
grande, più lunga e con più rami...
Questo luogo fu subito riconosciuto, e proprio per
raggiungerlo le guide di Nugor indicarono nuovamente e con più convinzione la
medesima direzione che avevano segnalato prima, verso il mare.
“Non ci sono dubbi” - concluse allora il Sacerdote -
“Siamo molto vicini al mare, ma siamo anche più a nord di quanto temessi.
Inoltre, come avrete capito, le guide di Nugor non conoscono il territorio nel
quale dobbiamo addentrarci, se non per la prima piccolissima parte. In ogni
caso ci sono state utili e so che fino a che lo potranno - ci serviranno bene e
fedelmente”... Si decise quindi - malgrado la stanchezza di tutti e l’ora
ormai tarda - di attraversare il fiume, di risalire la montagna di fronte a
loro in modo da potere utilizzare fino in fondo la luce del sole calante per
guidare i loro passi e per recuperare anche il poco tempo perduto
nell’interrogare le guide.
Questo pizzico di buona volontà in più, questo
spirito di sacrificio - come avrebbero saputo subito dopo - furono probabilmente la
loro salvezza...
Nuvole bianchissime e delicate traboccavano dalla
cima delle montagne e cadevano giù lentissime, adagiate appena lungo il pendio
scosceso. Erano qua e là leggermente tinte di rosa dal tramonto, stagliate
contro il cielo azzurro intenso cangiante. Sembrava l’immagine irreale di una
cascata resa immobile, come per una magia del fato, in muta e stupita attesa
della volontà divina...
Erano appena giunti, tutti, sull’altra
sponda.
Già i primi si erano inerpicati sul fianco della
montagna che assecondava il decorso sinuoso del fiume.
D’improvviso risuonarono le agghiaccianti urla furenti che ormai tutti conoscevano fin troppo bene... I nemici - numerosi - si tuffavano disordinatamente in acqua, mentre alcuni di essi si attardavano in un lancio di frecce che fortunatamente non riusciva a far vittime, data la provvidenziale distanza dell’altra sponda del fiume, poco profondo ma largo in quel punto. In quel momento i componenti della Compagnia erano sparpagliati in un terreno diseguale ed erano inoltre - ad onore del vero - piuttosto impreparati a difendersi. Ciononostante ognuno reagì con la massima rapidità - brandendo le proprie armi - specialmente con gli archi, che si erano già dimostrati determinanti nei precedenti scontri con gli stessi avversari.
D’improvviso risuonarono le agghiaccianti urla furenti che ormai tutti conoscevano fin troppo bene... I nemici - numerosi - si tuffavano disordinatamente in acqua, mentre alcuni di essi si attardavano in un lancio di frecce che fortunatamente non riusciva a far vittime, data la provvidenziale distanza dell’altra sponda del fiume, poco profondo ma largo in quel punto. In quel momento i componenti della Compagnia erano sparpagliati in un terreno diseguale ed erano inoltre - ad onore del vero - piuttosto impreparati a difendersi. Ciononostante ognuno reagì con la massima rapidità - brandendo le proprie armi - specialmente con gli archi, che si erano già dimostrati determinanti nei precedenti scontri con gli stessi avversari.
La prima nuvola di frecce che uscì ronzando dai
grandi archi fu purtroppo un po’ tardiva: rese incerta l’avanzata nemica per un
attimo, ma non la arrestò. Se non ci fosse stato il fiume, provvidenzialmente
largo, a rallentare il nemico, l’agguato sarebbe stato ben più repentino e
devastante di quanto non fosse. E già così era una esperienza agghiacciante e
terribile. I guerrieri, dipinti orribilmente di ocre colorate, uscivano dal
bosco sempre più numerosi, incuranti della morte che li attendeva e che gli
andava incontro, delle frecce che li decimavano, della forza e della decisione
degli avversari...
Gli arcieri della Compagnia stavano schierati più in
alto, in posizione favorevole per il tiro - ormai difficoltoso, perché la visibilità
era scarsa: in più, la fretta dettata dall’imprevisto li costringeva a piccoli
errori, per cui si ferirono le labbra ed il mento con le corde tese e
continuarono, imprecando e sanguinando, a mirare con troppa ansia e poca cura.
Il primo violento corpo a corpo fu con gli uomini di
Mandras, i quali brandeggiando con destrezza le loro pesanti spade di metallo,
infransero l’attacco forsennato sulla riva del fiume. Il raccolto mortale fu
rapido e terribile ed in un momento il fiume si tinse di sangue. Dai due lati e
dal centro, i guerrieri di Hanys balzarono quasi nell’acqua a respingere il
nemico con pari rabbia e violenza.
Quello parve quasi essere il segnale della fine.
Subitaneamente, gli altri si ritirarono al di là del
fiume, da dove venivano. Molti corpi galleggiavano inerti nell’acqua, trascinati
pigramente via dalla corrente, mentre la ringhiosa retroguardia nemica scompariva riluttante tra gli
alberi, inseguita dagli ultimi sibili velenosi delle frecce esperte...