La Terra dei Mucchi di Pietre, cap. XV
di Maurizio Feo
15. Urla di guerra.
L’indomani mattina, i primi movimenti procurarono
anche a Norax lancinanti dolori a tutte le membra e - da quanto vedeva ovunque
intorno a sé - quello che egli provava non era ancor niente rispetto agli
acciacchi degli altri!
Per alcuni degli uomini più malridotti, Lauchme
dovette usare frizioni con ranuncoli, che provocavano un calore terribile e
formavano dolorose bolle sulla pelle, ma almeno permettevano alle ginocchia e
alle caviglie più gravemente bloccate di funzionare ancora.
Consumarono senza gioia un breve pasto frugale
mentre già le sentinelle tornavano dalle loro postazioni ed in cielo compariva
il primo chiarore.
Hanys fece muovere il gruppo prima ancora che il
sole sorgesse, quando il cielo alle loro spalle era ancora buio e la luce era
molto incerta.
Non pioveva più e il cielo appariva sgombro in tutte
le direzioni. I cacciatori presero ad annusare l’aria attentamente, oltre a
tutte le altre precauzioni, perché - come sapevano - dopo la pioggia gli odori
erano tutti più intensi e facilmente apprezzabili.
Appena superata la cresta apparve loro un grosso
fiume, che scorreva da destra a sinistra molto più in basso davanti a
loro. Poi lentamente, impercettibilmente,
descriveva una curva allontanandosi!
Il fiume li separava da un gruppo di monti alti e
massicci, le cui cime si confondevano tra loro nell’aria velata di umidità, che
andava schiarendosi rapidamente. Tutti guardavano come affascinati quello
spettacolo tanto atteso, che significava almeno essere giunti alla metà del
viaggio. Soltanto gli occhi attenti di Hanys già frugavano febbrilmente, ma
invano, a monte e a valle del fiume,
alla ricerca di elementi che permettessero di scegliere quale
direzione seguire.
“Giù! - alla fine risolse - andiamo al fiume, lì
decideremo la via”.
A questo risoluto ordine di Hanys tutti si mossero
in gruppi silenziosi, scendendo protetti dalla vista dalle chiome degli alberi.
In uno spiazzo grande abbastanza per accoglierli tutti, presso il fiume, si
tenne un breve consiglio.
Fu accettato da tutti che delle due direzioni
indicate dal fiume una era certamente diretta al mare, ma purtroppo deviava ulteriormente
verso nord - più ancora di quanto già non erano stati costretti a fare - ed era
quindi presumibilmente un percorso molto più lungo dell’altro. L’altra strada
appariva di sicuro posta in una direzione più corretta verso la loro
destinazione, ma certamente li avrebbe anche condotti a salire molto più in
alto, e questa volta senza guide in grado di trovare un più agevole passo nascosto
tra quei monti tutti uguali. Ed infatti le guide si sentirono in dovere di
esprimere il proprio parere, per bocca del loro rappresentante, luogotenente di
Hanys: “Credo che se risaliamo il fiume ci sarà un maggior rischio di essere
aggrediti dalla gente della montagna”.
Mandras ribadì però che la Compagnia era fuori rotta
- stando alle sue osservazioni sulle poche stelle visibili - e che quindi
occorreva al più presto riprendere nella direzione giusta; ma volle inoltre
formulare una domanda che in fondo parve lecita a tutti: “Mi domando come mai
non ci abbiano ancora attaccato: Forse non ci hanno ancora visto, dato il
tempo inclemente?. Oppure ci hanno visto e giudicato troppo numerosi, o troppo
bene armati?”.
Intervenne dunque il Sacerdote, cui tutti ormai
avevano riservato, di spontaneo, comune accordo il potere di ultima e definitiva
risoluzione: “Andare a monte del fiume, contro corrente, é forse più pericoloso
per noi, che comunque abbiamo fin dall’inizio scelto una missione difficile e
pericolosa. Andare a valle significa invece avere un viaggio più facile e di
sicuro compimento, ma arrivare tardi - io vi dico - é peggio che non arrivare
affatto”.
Questa frase fu di grande effetto e convinse tutti
ad accettare la direzione prospettata come unica ed inevitabile. Norax fu il
solo a pensare tra sé che le stesse parole - in ordine diverso - potevano
essere usate anche per dimostrare proprio la tesi esattamente opposta. E
conosceva abbastanza bene il suo Maestro Lauchme per esser certo che egli
stesso ne era ben cosciente. Non riusciva però ad immaginare se - a parte il
risparmio di tempo anche nel prendere decisioni - vi fosse qualche altra ragione
per scegliere la strada che il Grande Sacerdote aveva indicato. Era certo di sì. Si ricordò inoltre che
un giorno gli aveva sentito dichiarare con rammarico quanto fosse mille volte
preferibile perire in un valoroso tentativo, piuttosto che sopravvivere per ignavia
ad un proprio fallimento.
Hanys, da uomo d’azione, non stette certo a porsi
tutti questi problemi, e subito indirizzò la Compagnia verso un possibile
guado, protetto alla vista dall’alto da salici, pioppi e ontani. Mandras aveva
salutato con gioia l’acqua così abbondante e aveva quasi rimpianto di non avere
con sé una barca con la quale - ne era certo - agevolmente avrebbe evitato ogni
pericolo e concluso rapidamente il viaggio... Ma purtroppo non c’era affatto
il tempo di costruire barche a sufficienza per cinquantuno persone. Norax
dette un’occhiata alle due sponde del fiume mentre lo guadava: le piante erano
qui di un verde più vivo e più intenso che non altrove ed ostentavano foglie
lucide, più grandi e carnose. L’aria però gli sembrò pervasa di una maligna certezza
di tragedia imminente, in vivo contrasto con l’apparente immutabilità di quel
paradiso.
Restò piuttosto turbato da questa sua spiacevole
sensazione e non volle confessarla a nessun altro della Compagnia...
Risalirono comunque tranquilli il fiume per un buon
tratto, fino al punto in cui ne riceveva un altro più piccolo, da una valle trasversale
che giaceva in direzione del sole nascente, mentre quella principale sembrava
proseguire ancora molto a lungo nella stessa direzione, verso sud. Si fermarono
alla giunzione dei due fiumi, in attesa di raccogliere tutte le squadre, mentre
le guide davano inspiegabilmente qualche segno di nervosismo, ed il Sacerdote
sembrava fissare con interesse il nulla
nell’acqua dei due fiumi. Norax - incuriosito e perplesso - guardò anch’egli
nell’acqua, per scoprire se vi fosse qualcosa degno di attenzione, ma non trovò
alcunché, a parte qualche ramoscello e qualche foglia colore verde tenero che,
galleggiando sulle acque increspate e scintillanti, provenivano dal fiume più
piccolo...
Poi, d’improvviso, il Grande Sacerdote dai molti
nomi sollevò il capo verso la piccola valle trasversale e parve cercare con gli
occhi acuti qualcosa lungo i due molli e verdissimi pendii che scendevano ad
incontrarsi sulle rive del fiume più piccolo. I suoi occhi scrutavano attenti e
preoccupati in cerca di qualche cosa di preciso, che non era in vista, ma che doveva esserci e che non poteva
essere trascurato.
Fece un cenno, indicando di prendere quella via.
I cacciatori ora annusavano un odore sospetto e,
come d’altronde le guide, apparivano nervosi e tesi, ma ancora senza un motivo
preciso. D’istinto, Mandras portava più spesso la mano all’impugnatura della
propria spada, minacciosa, seppure inguainata. Norax si decise finalmente a
chiedere sottovoce, mentre la Compagnia cominciava ad infilare la valle
piccola: “Perché, questa scelta, Maestro? alcune foglie verdi non provano gran
che: non capisco”.
“Se tu avessi guardato anche sotto il pelo
dell’acqua, Norax, avresti visto che i pesci dal fiume più grande - da valle e
da monte - si infilavano veloci ed in gran numero, contro corrente, nel fiume
più piccolo e lo risalivano. E questo non é normale”.
La voce del Maestro gli giunse con una nota di
rimprovero.
Norax non seppe se ridere di nuova ammirazione o
piangere di rabbia. Azzardò, a metà tra il dire ed il chiedere: “Qualcuno sta pescando più a monte, con buona esca”. “Questo” - gli rispose
asciutto il Sacerdote - “o altro...”
Norax allora tacque, consapevole del fatto che non
avrebbe ottenuto altre spiegazioni, in quel momento. Si rassegnò quindi ad
attendere che alle sue domande rispondessero i fatti.
Altre foglie e ramoscelli spezzati di fresco
venivano giù galleggiando pigramente sul pelo dell’acqua, mentre la Compagnia
risaliva lentamente il fiume. I cacciatori notarono che gli insetti avevano
preso a volare basso, sopra l’acqua appena increspata, alcuni ronzando
sonoramente, altri in perfetto silenzio, tutti intenti nel loro lavoro di avida
ricerca. C’era nell’aria l’accordo di un mutuo convegno e tutte le creature
sembravano convergere verso un luogo preciso: ma non c’era gioia, nè
aspettazione trepida, bensì un senso spettrale di ineluttabilità del fato, di
necessità e di morte.
Fu poco dopo che Mandras ruppe il silenzio e per
primo indicò a tutti qualcosa di appena visibile che galleggiava sull’acqua nel
tratto più lontano del fiume, scendendo lento e sicuro verso di loro. Si
disposero allora per riceverlo, qualsiasi cosa fosse, alcuni uomini in
equilibrio sulle pietre semi affioranti dall’acqua, altri pronti con gli archi
a colpirlo ed altri di guardia verso l’esterno.
Fu con qualche sollievo, ma con nuovo preoccupato
interesse che finalmente riconobbero l’oggetto galleggiante per uno scudo di
pelli.
Un cacciatore ne fermò la corsa silenziosa
nell’acqua e lo sollevò con gesto pronto e abile. Poi con un grido soffocato e
l’orrore dipinto sul volto, sorprendentemente, lo lasciò ricadere, tanto che
poi ci volle del bello e del buono da parte di tutti per riuscire a riconquistarlo,
nella corrente veloce. Quando l’oggetto fu finalmente deposto al sicuro sulla
terraferma fu chiaro a tutti il motivo del gesto spontaneo di orrore. Ancora
prigioniero di due bande di cuoio - nella faccia interna, prima nascosta dallo
scudo - stava il braccio del guerriero che lo aveva usato con così scarso
vantaggio. La mano livida era ancora stretta intorno ad una terza banda di cuoio.
Il vimini intrecciato – che ne costituiva la struttura – era così intriso del
suo sangue, tanto da sembrare dipinto di rosso…
“Gente delle grotte” - sentenziò Hanys, che a voce
bassa soggiunse - “Così furiosamente combattono. Questo braccio é stato
troncato di netto da una scure pesante. Forse questa é la parte del corpo più
riconoscibile, per essere sfuggita, cadendo troncata nell’acqua, ad una
vendetta più completa”.
Norax rabbrividì, mentre immagini orrende gli si
affollavano nella mente. I visi intorno a lui esprimevano lo stesso disagio.
Dovettero comunque proseguire, con quella triste
visione ancora ben chiara negli occhi e pesante nel cuore, raccogliendo ogni
suono, ogni movimento, ogni odore. Tutti erano tesi come le corde degli archi,
tutti ben pronti e fortemente intenzionati a colpire per primi, per
sopravvivere. Ormai, si rendevano conto più che bene dell’entità del pericolo
che stava da qualche parte davanti a loro, forse in attesa.
Poco dopo udirono - d’improvviso - le prime urla...
Erano lontane, sparse in più direzioni. Non erano indirizzate a loro, ma
egualmente un brivido percorse tutto il gruppo e una grande agitazione pervase
quelli che mai prima di allora avevano avuto esperienza di una vera battaglia.
Alcune di quelle grida erano ordini di incitamento
alla battaglia, ma altre erano certamente strazianti urla strozzate, di morte e di dolore.
Gli uomini di Mandras, prontamente ubbidendo agli
ordini, presero subito le posizioni avanzate dello schieramento. Sul lato non
difeso dal fiume stavano, guardinghi, i più numerosi guerrieri di Hanys, mentre
alla retroguardia seguivano i cacciatori ed i boscaioli di Tal-Ur. Protetti, al
centro di questo schieramento, procedevano il Gran Sacerdote Lauchme, Mandras,
Hanys e Norax, i quali potevano così valutare più serenamente ogni aspetto
dell’insolita situazione e prendere - se necessario - più rapidi provvedimenti
e decisioni. Valutarono insieme la situazione, per quanto gli era dato a
conoscere. L’impressione che essi ne ricavarono era quella di uno scontro
frontale, già risoltosi prima dell’arrivo della Compagnia, che così adesso assisteva
- sia pure solo indirettamente - all’inseguimento degli sconfitti sbandati da
parte dei vincitori, e alle ultime drammatiche scaramucce. Una delle fonti di
grida e di trambusto si fece man mano più vicina, per cui tutti si fermarono in
ascolto, cercando subito riparo tra le fronde, in un silenzio sospeso.
Un uomo infine apparve tra le piante della riva di
là dal fiume: era visibilmente esausto, e una smorfia di dolore traspariva
chiaramente attraverso una maschera di sangue che era il suo viso. Non vi si
leggevano né terrore, né tanto meno paura, come in chi abbia ormai superato
ogni soglia terrena d'angoscia e stia per accettare ciò che é imminente ed ineluttabile,
come se la propria morte già non lo riguardasse più.
L’uomo entrò nell’acqua, cadendovi con parti uguali
di volontà e di necessità, tentando debolmente di restare a galla. Dietro di
lui comparvero quasi subito - e di incredibile slancio - numerose terribili
figure armate, dipinte di strani colori, irsute, insanguinate, urlanti.
Quell’uomo stava per raggiungere i suoi avi.
La necessaria decisione fu presa immediatamente per
un moto istintivo, ma il Sacerdote la espresse più compiutamente in parole:
“Quell’uomo é la nostra guida fuori da questi monti: salviamolo da chi
l’insegue”.
Immediatamente, le frecce uscirono dai grandi archi
tutte insieme, e ronzando attraversarono l’aria immota sullo specchio d’acqua.
Ognuna cercava con il proprio messaggio sibilante di morte il bersaglio
desiderato. Non fu neanche necessario
un secondo tiro, perché in quell’angolo di foresta tornasse il
silenzio.
L’uomo ferito, salvo ed incredulo, fu quindi tratto
a riva e il Gran Sacerdote cominciò subito a prendersi buona cura di lui.
Tremava, ansimava e tossiva ed era lordo di sangue e
di sudore, malgrado il suo tuffo in acqua. Come risultato di ciò, il suo sorriso di gratitudine e di sollievo
sembrava soltanto un orribile ghigno e non aveva più nulla di umano. Lauchme
aveva già visto altre volte, in altri luoghi, questo stesso spettacolo
bestiale. Dedicava la sua stessa vita alla missione di eliminarlo quanto più
possibile con le proprie arti.
Poche parole furono scambiate, e meno ancora
risultarono quelle - in comune alle due lingue - che potevano essere comprese.
D’altronde il ferito poteva prestare scarsa attenzione anche ad un discorso
fatto soltanto di gesti, dopo quanto aveva passato. Lauchme, terminato un primo
esame riferì: “Ha ferite profonde ad ambedue le braccia, nessuna ferita che
metta in pericolo la vita. Fuggiva perché non può più stringere un’arma con la
mano destra. Né io credo che potrà farlo più, in futuro: alcune di queste
ferite hanno reciso le corde bianche che tirano le dita. Guariranno lasciando
brutti segni lucidi, ma guariranno. E lui imparerà ad usare l’altra mano.”
Detto questo, Lauchme estrasse da una sacca del suo
bagaglio i fiori gialli dell’erba vulneraria. Non visto, li aveva raccolti
lungo la strada, avendone già immaginato per tempo l’imminente necessità. Li
fece pestare ben bene in una ciotola con un poco di acqua, fino a formare una
consistente poltiglia. Quindi applicò con l’aiuto di Norax la poltiglia sulle
ferite, fissandola poi accuratamente con un primo strato di foglie di rovo
stropicciate tra le mani e quindi con un secondo strato di foglie più larghe.
Assicurò tutto con lacci di cuoio ben stretti,
perché il sangue non sfuggisse più fuori dal corpo.
Sui lividi più brutti appose una poltiglia ottenuta
con preziosa polvere di lino, acqua e olio. La assicurò con lo stesso sistema,
questa volta con profumate foglie di tiglio e stringendo di meno sui lacci.
Inoltre, fece scavar fuori le radici di una piccola pianta, le fece triturare e
con un piccolo fuoco ne ottenne un infuso caldo, cui aggiunse miele e - proprio
all’ultimo momento - una polvere da un sacchetto che portava con sé, occultato
nei propri abiti. Quindi diede l’infuso da bere al ferito, cui parlò con poche
parole, in tono suadente.
Egli bevve - ancora gemendo - ma quasi subito si
addormentò, con un’aria già meno sofferente.
Nel frattempo, il campo era stato già approntato,
stabiliti i turni e le postazioni di guardia. Pattuglie erano state mandate in
giro ed altri scontri si erano inevitabilmente verificati, tutti per fortuna
risolti a favore della Compagnia. Ma uno dei cacciatori di Tal-Ur aveva avuto
un orecchio mozzato e ricevuto una brutta ferita alla spalla in uno dei rari
corpo a corpo. Lo si medicò.
In questo modo - però - si era tenuto lontano il
pericolo.
I vincitori del precedente scontro tra gente delle
grotte erano stati messi in fuga, con loro gravi perdite in uomini. I loro nuovi
caduti erano stati altrettanto numerosi di quelli del primo scontro. Poco più
tardi, una pattuglia della Compagnia si imbatté nei miseri resti della prima
cruenta battaglia, in uno spiazzo presso il fiume, più a monte...
Un idilliaco ed inerme paradiso, come sempre così
pazientemente cesellato dalle cure della Grande Madre, era stato trasformato in
un’infernale lordura dalla insensata profanazione degli uomini che La rinnegavano e Le facevano oltraggio.