La Terra dei Mucchi di Pietre cap X
di Maurizio Feo
10. L’inizio del viaggio.
Lèkere si fece riconoscere dalle guardie del turno
di notte, che furono molto sorprese di vederla apparire così, d’improvviso,
senza neanche un rumore di scalpiccio sul pietrisco, dal nulla: “Anche voi, che
sentite i canti da lontano, avete diritto ad un poco di vino. Più tardi vi farò
portare l’arrosto. Che vi sia lieve il peso della veglia in questo primo giorno
di festa, amici” - disse, versando
il vino anche per sé - “e che i
vostri desideri possano avverarsi nel migliore dei modi e nella più breve delle
attese”.
Tutti avidamente bevvero grati, brindando volentieri
a quest’augurio, senza notare che il bicchiere di Asu Lèkere era rimasto colmo,
anzi ringraziandola per non averli dimenticati, malgrado il tanto daffare.
Lèkere si allontanò poco dopo, con un sorriso
enigmatico, leggera e furtiva come era arrivata, anche questa volta non vista
da alcuno del corpo di guardia, dato che il suo vino aveva già sortito
l’effetto desiderato.
“Dormono tutti” - riferì poco dopo Lèkere al Gran
Sacerdote, che all’annuncio assunse subito un’espressione preoccupata.
“Gli ho dato il vino dei dormienti, ma un po’ meno forte, perché non debbono dormire
poi così a lungo.”
Il Gran Sacerdote parve rassicurato da quella
precisazione e quindi a sua volta chiese: “Hai notato qualche reazione tra il
pubblico, all’augurio finale del mio discorso?”.
La Bithia rispose: “No, nessuna, anche se io e le
mie ancelle abbiamo guardato bene... Inoltre, non credo che le spie siano tra
noi: siamo lontani dalle rive, e non ci considerano pericolosi per loro - così
io stimo. D’altro canto il loro obiettivo é lo sbarco, come tu stesso hai
dedotto e tante volte ripetuto da convincermene. A maggior ragione, io dico,
dovete partire adesso: nessuno vi vedrà. La festa procederà bene. Io - da parte
mia - mi prenderò cura come sempre dell’Oracolo e del Sonno dei Cinque Giorni. Alle mie, aggiungerò anche la cura delle tue mansioni. Se tornerete presto, nessuno dei presenti -
ti giuro - noterà la vostra assenza”.
In realtà dubbi e paure erano più numerosi e
consistenti di quanto Lèkere non desse a vedere e non riguardavano certo la durata
del viaggio, come ambedue sapevano bene e si tacevano l’un l’altra a parole,
ma si confessavano guardandosi intensamente negli occhi e parlandosi più
sinceramente con quelli.
L’espressione del Grande Sacerdote di Tal-Ur era
dolce, mentre le passava la mano tra i capelli corvini, poi - leggermente -
sulla fronte corrugata e quindi sulla guancia pallida, tacendo tutto quello
che avrebbe voluto dirle, ma che gli sembrava già detto, o già compreso, e
quindi superfluo, sottinteso. Si sentì stanco, per aver già vissuto altre
volte le stesse paure, per averle combattute e sconfitte, o esserne stato
sconfitto. Come fantasmi di un
passato non dimenticato - ogni volta, puntualmente, ritornavano. Avevano vesti,
voci e volti diversi, ma era sempre immutata l’avidità del dominio, la forza
della sopraffazione, l’arroganza del sopruso. Si domandò chi avrebbe vinto, stavolta...
L’espressione insolitamente indifesa di Lèkere
avrebbe stupito chiunque avesse potuto vederla in quei momenti: era quella di una
bimba che ha paura di smarrirsi e sul cui viso si legge chiaro il conforto pur
lieve di una carezza.
Ma non stupì il Gran Sacerdote Lauchme, che
dolcemente sussurrandole qualcosa in un armonioso linguaggio antico si accomiatò
da lei, però giurandole in tono premuroso - insieme paterno ed infantile - che
sarebbe stato via solo per poco, lasciandola comunque con i begli occhi pieni di
pianto.
Subito, Lauchme andò a recuperare Norax, trovandolo
ancora rapito dall’incanto collettivo e con lo sguardo perso nel vuoto,
sognante.
“I miei migliori aiutanti hanno strani occhi,
questa notte” - gli disse, scuotendolo, Lauchme.
Norax non poté comprendere, ma lo seguì docilmente.
Poco più tardi, quattro boscaioli, quattro
cacciatori, Norax e Lauchme uscirono segretamente in fila dalla porta grande passando
in silenzio a dorso di mulo, affianco alle guardie ancora addormentate: il
gruppo furtivo procedeva in qualche modo intristito dal graduale affievolirsi
dei suoni e dei canti della festa, oltre che dall’ostile incombere dell’ignoto
in attesa dinnanzi a loro...
Presto i dieci si persero - scendendo nel buio -
inoltrandosi in direzione del traghetto del Lago Lungo.
In realtà il Grande Fiume Twrshna si apriva in
quella valle fino a diventare larghissimo - quasi un lago, appunto, stretto e
lungo - scorrendovi forse anche un po’ più lento: nel punto in cui esso tornava a
restringersi era attraversato dalle grosse e robuste corde che guidavano il
traghetto, subito dopo piegava verso il mare bagnando prima Mago Twrshna e poi
Othoca...
Giunsero sulle rive del lago al primissimo, incerto
chiarore del mattino, quando tutti i colori delle cose sono lividi e incerti : ancora
nessuno era in vista. Recuperarono con le corde la zattera e con essa furono necessari
due viaggi, perché tutti potessero attraversare il lago. Verso il centro del
fiume la corrente era forte e faceva gemere le corde tese, mentre l’acqua
gorgogliava forte intorno alla zattera e schizzava dispettosamente i suoi
passeggeri.
Il Padre del Grande Fiume sapeva essere molto
pericoloso nella stagione piovosa, ma anche adesso era degno di ogni rispetto e
lo ricordava ai viandanti, rilucendo qua e là con i suoi mulinelli insidiosi.
Finito il trasbordo, iniziarono la salita, dura e
lenta, verso l’altura su cui era stato fissato l’appuntamento con Mandras ed
i suoi guerrieri. Era importante portarsi presto fuori dalla vista di quelle
rive che tra non molto sarebbero state brulicanti di viaggiatori e degli
stessi abitanti del posto. Non sembrò loro troppo presto, quando finalmente
giunsero al luogo convenuto, stanchi, ma contenti di trovare ad attenderli una
colazione calda, preparata premurosamente dagli uomini di Mandras, che per tutta la salita li
avevano prudentemente tenuti d’occhio.
Mentre si riposavano e mangiavano, Mandras
confabulò brevemente con il Gran Sacerdote circa la strada da prendere. Quindi
lo mise al corrente dello stato delle cose, e cioè di come avesse rischiato di
giungere in ritardo nel tentativo di confondere un insistente ed indesiderato
inseguitore che le vedette gli avevano segnalato.
Il tentativo era alla fine riuscito, così avevano potuto
evitare di abbatterlo con gli archi lunghi.
Mandras disse di avere dato disposizione ai
guerrieri shardana di destare meno sospetti possibili. La loro attività doveva
essere soltanto di vigile attesa fino a nuovo ordine, a meno che non fossero
costretti a combattere. Mandras riferì inoltre che adesso poteva contare ben
cinque uomini in più, tanti quanti erano le città che gli avevano mandato
messaggeri a tenerlo informato.
Sembrava - egli riferì - che le città della costa
fossero ormai tutte in un certo allarme e che temessero un attacco imminente
da parte di un esercito potente che - da sole - non erano in grado di
fronteggiare. In ogni città si muoveva nell’ombra una organizzazione di spie
nemiche. A Kar, in modo particolare.
Da qualche tempo i guardiani shardana si scambiavano
messaggi con tale frequenza che talvolta non attendevano una risposta al
precedente prima di mandare il successivo. E così era accaduto anche questa
volta: i messaggi erano tutti stranamente simili e sinistri e giustificavano
tanto nervosismo...
Una nave commerciale attesa in una delle città del
Golfo Maggiore era ormai in grave ritardo. Piccole navi d’appoggio mandate ad
incontrarla si erano incrociate con snelle navi armate sconosciute, che si
erano subito allontanate unendo la forza del remo alla velocità del vento.
Altri strani incontri erano capitati ai pescherecci di Kur e Tarr. Troppi
pescherecci di Kia non erano più tornati. Lo sguardo fiero
di Mandras si era incupito nel riferire a sua volta questi fatti: “Il mare ha
sempre ottenuto le nostre vittime in cambio dei suoi ricchi doni e di qualche
buona navigazione, ma in questa stagione tante assenze non possono che essere
causate dall’uomo, oppure devo concludere che i valorosi popoli del mare non
sanno più navigare”.
Mandras aggiunse, a conferma di ciò, che oramai non
era più prudente mandare navi alle isole Gymnesie. Queste erano state da sempre
isole Shardana, ma nuovi padroni le avevano conquistate nel sangue e le avevano
rinominate Pitiuse. Erano molto ostili e si dice
che fossero marinai Tirii o Sidonii, quindi confederati o comunque amici di
Qart-Adasht.
Il Gran Sacerdote ponderò attentamente queste
notizie, quindi scelse attentamente le parole per rispondere: “Amici, se possibile
dobbiamo ancora raccogliere qualche prova, che sia inoppugnabile, che non possa
essere confutata da chi ancora é scettico e si crede lontano dal pericolo. Il
nostro più difficile compito é infatti quello di ottenere l’appoggio della
fiera popolazione dell’interno, che si ritiene superiore, lontana, protetta
dalle montagne. E’ gente che non conosce neanche l’esistenza delle isole
Gymnesie e che non crede di potere subire una sorte analoga alla loro. E’
inoltre importante che questo sia fatto presto, perché tutto mi fa credere che
non ci sia più molto tempo da attendere, prima di quel temuto attacco. Per questo
credo sia meglio incontrare le tribù dell’interno nel corso del nostro viaggio
di andata e prima ancora di avere quelle prove, perché essi possano - prima -
abituarsi all’idea nuova e indigesta di avere alleati tra gente che non considerano
amica e di avere nemici tra gente di cui non conoscono neppure l’esistenza”.
Decisero quindi di partire in fretta, dopo avere
raccolto o nascosto ogni traccia del loro breve bivacco.
Per qualche tempo le vedette ed i cacciatori si
curarono di mascherare anche le tracce del passaggio dei ventisei quadrupedi
su cui la compagnia procedeva, allontanandosi dalle strade battute. Si tennero
sempre ad una certa distanza dal lago, sulle cui rive sorgeva qualche abitato
e correvano - lungo la strada - i traffici. Per fare ciò dovettero salire
ancora più su, tenendosi ben coperti dalla vegetazione, finché finalmente
furono in vista dell’ansa a forma di corno in cui due fiumi sboccavano nel Lago Lungo dandogli nutrimento.
Il più grande dei due era il Grande Fiume Twrshna,
ed essi presero invece la direzione dell’altro - che incontrarono per primo -
che li avrebbe portati nel mezzo delle vicine montagne da cui scendeva.
Dopo non molto tempo furono ad un secondo lago -
molto più piccolo, quasi fosse solo una pozza, un punto in cui il fiume
sembrava rallentare il proprio corso per riposarsi un poco - e lo costeggiarono
fino a raggiungere il fiume che lo alimentava.
Quindi risalirono il corso tortuoso del fiume in uno
scenario solitario e selvaggio che li costringeva ad una esasperata lentezza.
Infine, dopo una ennesima tortuosità del fiume videro aprirsi alla loro
sinistra un’ampia valle verde, mentre molto più angusta era - sulla destra -
quella da cui scendeva saltellando il fiume.
Qui si fermarono finalmente a prendere fiato, uomini
e bestie.
I cacciatori di Tal-Ur, che facevano da guide, si
consultarono con Mandras e Lauchme, per concludere nelle parole del capo
cacciatore: “Da qui si può proseguire lungo il fiume, oppure lasciarlo.
Nel primo caso si incontrano altri tre laghi, poco
più che piccole pozze, e in poco tempo si sale a grande, impressionante altezza,
forse anche il doppio di dove siamo adesso”. Mandras storse la bocca a quella
notizia e chiese: “Che cosa c’é dopo il terzo lago? Saremo arrivati, allora?”.
“Non credo” - ammise il cacciatore - “ma non so con
precisione: io non sono mai arrivato oltre il terzo lago, anzi per la verità
non ne ho neanche toccato la riva. Dalla montagna che lo sovrasta ho visto che
molte montagne si alzano dietro di esso, alcune ancora più alte di quella da
cui guardavo, tanto da nascondere ogni altro orizzonte”.
A queste parole, il Gran Sacerdote domandò: “E
l’altra strada, per la valle, dove ci porterebbe?”. Il cacciatore tacque, guardandosi
intorno confuso, senza sapere che dire. Intervenne allora un altro cacciatore,
che conosceva la risposta: “L’altra strada sale anch’essa, ma non così in alto,
ed é abbastanza agevole. Purtroppo essa descrive un lungo giro seguendo il
lato freddo delle montagne per potere così evitare le cime più alte”.
“E questa strada ci porterà dove vogliamo?” -
incalzò con un’ombra di impazienza Mandras - “cioè sull’altro mare?”.
“Credo di si” - rispose fiducioso il cacciatore -
“Ma io non ho mai visto l’altro mare con i miei occhi. Sono giunto fino ad un
grosso fiume che scorreva allontanandosi dalla
parte opposta a quella da cui provenivo io”.
“Quindi” - si illuminò Lauchme - “Se non si può
dire che quel punto é a metà strada, comunque pone almeno fine alla salita! Per
quanto poco possa valere, è pur sempre una consolazione...” - Ed il suo tono si
fece perplesso, mentre cercava con gli occhi lo sguardo degli astanti - “Mi
domando quanto ci porterà fuori dalla nostra via quella deviazione”.
Mandras lo incalzò di rimando: “Guarda questo coro
di monti, Lauchme: su quella strada ripida saremo lenti, più ancora di quanto
non siamo stati fino ad ora. Rischieremmo i garretti dei nostri cavalli. E
dietro a questi monti, come abbiamo udito, ve ne sono ancora altri, più alti e
più scoscesi”.
“Sì ”- ammise calmo il Gran Sacerdote - “una
decisione che si impone, senza scelta, é sicuramente la più facile da
prendere. La mia preoccupazione, Mandras, é per il dopo: per le altre guide
che sapremo trovare, per le altre genti che dovremo incontrare, per il pressare
del tempo... Dovremo essere preparati a queste e a molte altre evenienze, che
ora non sembrano prevedibili: dobbiamo pensare molto, mentre procediamo, per
non fare errori... Andiamo” - disse quindi con semplicità al secondo
cacciatore, accarezzandosi i baffi con indice e pollice della mano sinistra -
“guidaci fin dove sai: fino a quel fiume, di cui ci hai detto, poco fa”.