mercoledì 1 gennaio 2014

Chapter VI




Terra dei Mucchi di Pietre, cap VI

di Maurizio Feo

6. I campi di korra.


 
Adesso, però, Norax sentiva avvicinarsi il pericolo, come più volte ed in diversi modi gli era stato detto. Quasi a dargli conferma sonora di quella sensazione, subito udì ronzare vicino alle orecchie le prime fastidiose zanzare, a ricordargli ed annunciare la vicinanza delle vaste distese di acqua. Quel suono, per un verso fami­liare, cui non era più abituato ormai da tempo, gli giunse quasi come un indesiderato, inaspettato saluto, accompagnato dal fastidioso prurito delle prime punture. Stranamente, osservò Norax, da quando non abitava più sugli stagni, le zanzare non lo riconoscevano più, e lo pungevano.
 Si schiaffeggiò qua e là e proseguì, distrattamente seguendo il volo dei primi uccelli marini in caccia: su in alto, un lento falco di palude; vicina e nervosa, una ghiandaia marina multicolore; più in là, sull’acqua, un maestoso, elegante airone rosso... Proseguì, costeggiando da una certa distanza la città, lasciandosela lontana sulla sinistra - come d’altronde era aduso fare ad ogni visita - ma questa volta sentendo in essa una presenza nuova ed oscuramente ostile. Provava un’inconsueta e forte diffidenza, un’avversione strana.


Lontano, più avanti, indovinava già le piatte distese su cui giacevano sornioni i grandi e torbidi stagni pescosi, nelle cui acque si riflettevano le colorate barche dei pescatori. Poco più oltre anticipava già la vista delle capanne brune di vimini e asfodelo sulle rive e delle palafitte di ontano sparse qua e là sull’acqua, che avevano tutte insieme il dolce nome di S’rdan, il suo paese.
E quasi subito, allora, gli sembrò di annusare l’aglio nell’aria....
Talvolta, il dispettoso fetore dei campi di Korra giungeva indiscreto in folate improvvise... Ma per lo più S’rdan godeva di un’aria pulita e fresca, profumata dalle erbe aromatiche e dai fiori, dalle resine degli arbusti e degli alberi e dai sogni semplici di gente quieta e laboriosa.
S’rdan era stata casa, anche se non lo era più, ormai, da molto tempo.
Tutto ciò che Norax vi scorgeva adesso, anche i neonati che non poteva avere ancora mai visto, gli erano in qualche modo da sempre familiari, già visti con gli occhi del cuore. In fondo, Norax sapeva apprezzare la leggera follia dei copricapo con le piume e le penne, la sottile superstizione degli scarabei multicolori - incisi e scolpiti - che tutti solevano portare come talismani inseparabili. In molti modi era affezionato alle altre vanità inutili e preziose frivolezze che la sua gente d’origine coltivava, insieme alle più solide usanze utili e indispensabili. Queste costose esteriorità non erano certo virtù molto apprezzate dalla ruvida Vera Gente di Tal-Ur, da cui Norax aveva scelto e ottenuto di farsi accogliere poco dopo la disgrazia del naufragio. Di fatto però, sotto alla scintillante e vana buccia dei S’rdani c’era senz’altro una qualità che passava anche l’esame del più severo giudizio della Vera Gente. Il coraggio testardo che la gente di S’rdan mostrava nell’affrontare il mare, ritrovando quasi ogni volta la difficile strada del ritorno. Il coraggio di lasciarsi circondare dal grande mare, stando affollati e impavidi entro quei piccoli gusci di legno nero, impeciato e legato; di vedere l’acqua farsi più scura e minacciosa intorno. Per fare poi ritorno orgogliosi, in un giorno felice, dalle fredde isole dello stagno - le isole Kassitere - con un carico prezioso di pani di stagno, o dalla divina Archnta, la città d’argento di Tartesso. E quindi far festa per il ricco e meritato bottino e per il definitivo esorcismo del pericolo mortale, affrontato e vinto. Fieri, fino alla prossima sfida, a viso aperto, con gli incerti confini di quei luoghi sperduti dove i sentieri del giorno e della notte sono così vicini da confondersi tra loro...
Ma questa volta Norax tornava a S’rdan con minore gioia, come ad un’ultima tappa prima di un grande viaggio insidioso, del quale ancora non sapeva alcunché. Né poteva confidare ad alcuno le proprie paure per un’impresa che doveva restare segreta e che sembrava essere della massima importanza e di molta urgenza.
Cercò subito gli amici e con loro fu subito gran festa: per non scontentare nessuno prese accordi per raduni, gare, gite, feste e spuntini come dovesse trattenersi per almeno un mese, poi ‘Nbrys ebbe la meglio su tutti e lo volle con sé ai campi di Korra: Norax non poté rifiutarsi di seguire l’amico del cuore.
Prima passò, insieme a lui, a dare un doveroso saluto ai genitori adottivi, cui aveva portato piccoli doni da Tal-Ur: miele amaro della passata stagione, tratto dai fiori dei corbezzoli dell’altopiano; succo di mirto, proveniente da bacche più succulente e gustose di quelle maturate vicine al mare; una piccola statua votiva rappresentante il grande eroe che giaceva nel Vanas di Tal-Ur, Avle Feluske...
Poi si incamminò volentieri con ‘Nbrys. Infatti riteneva che il lavoro sui campi di Korra, per quanto nauseante, gli avrebbe permesso a maggior ragione di restare appartato e di parlare molto e liberamente senza pentirsene, di fare molte domande senza destare curiosità e sospetti. ‘Nbrys era alto e bruno, abbronzato. In questa stagione indossava solo una corta veste di lino opaco, viola. Portava sempre appeso al collo un sottile laccio di cuoio da cui pendevano un diaspro verde scuro in forma di scarabeo ed un piccolo Bes di ambra, dio del grande fiume d’oriente. ‘Nbrys sopportava i sandali solo d’inverno ed era il suo migliore amico di razza Sartna, quello che Norax avrebbe voluto con sé tra la Vera Gente.
Passarono il giorno insieme, indaffarati a rompere le grosse conchiglie pescate la mattina e a mettere i molluschi nelle grosse vasche di pietra. Lì avrebbero dovuto essere lasciati per alcuni giorni fino a quando, producendo un insostenibile olezzo agliaceo avrebbero secreto un ben poco invitante liquido giallognolo che era la portentosa Korra, uno dei più grandi tesori del loro mare. Con essa si potevano tingere tutte le stoffe di vari colori - chiari o scuri a seconda del numero e della durata dei bagni - non ottenibili con alcuna bacca, né foglia, né corteccia.
Quindi la Korra - come Norax sapeva bene - permetteva vantaggiosi commerci con altri paesi le cui spiagge non erano altrettanto generose, e le cui popolazioni dovevano ricorrere, con peggiori risultati, alle rarissime galle del Kermes delle foglie di quercia spinosa.
‘Nbrys gli raccontò che ormai prendeva già parte ad alcuni dei viaggi per mare, mentre per il resto del tempo faceva il lavoro più umile e noioso sugli stagni, oppure a terra. Riparava le reti da pesca, tinte pazientemente di rosso con corteccia di pino per meglio ingannare i pesci. O preparava le nasse con rami di salice e fibre di ginestra. Oppure, come oggi, preparava la Korra...
Norax lo guardò con sincera ammirazione, ripensando a quante volte - da bambini - avevano spiato avidamente insieme le barche e le navi proibite, sognando ardentemente di po­tervi un giorno salire. Fu contento per l’amico, nei cui occhi seppe leggere l’orgoglio e la soddisfazione...
“Si, anch’io ho udito di viaggiatori e commercianti che non sono raccomandabili - disse più tardi ‘Nbrys - ma credo che siano tutte storie: che motivo ci sarebbe ?”. La domanda non richiedeva una vera risposta, per cui ‘Nbrys proseguì, estraendo con fatica un mollusco piuttosto tenace: “E attraversare il mare... attraversare... il mare, non é cosa che si fa per scherzo: ci deve essere un motivo molto serio, amico mio, perché i pericoli sono molto grandi. E tu lo sai”. Con questo ‘Nbrys faceva riferimento al naufragio dell’amico sull’isola di Mal Vento. Ma subito, pentito per avere così maldestramente evocato ricordi tanto penosi, sorrise apologeticamente e quindi propose, con più enfasi del necessario, di procurarsi di che mangiare. Quindi interruppero il noioso e puzzolente lavoro per salire su di un lento panciuto Quffah, che pigramente attendeva ormeggiato sul bordo dell’opaco stagno salato.
Sembrava impossibile che quelle acque così torbide e brutte da vicino, viste da lontano si trasformassero in lucidi specchi così magicamente lisci e sfavillanti. ‘Nbrys disimpegnò rapidamente il Quffah dalla riva, manovrandolo - per quanto fosse possibile ad una imbarcazione tozza e tonda con fondo piatto - con una lunga pertica di prezioso ontano, il legno più resistente all’acqua. Si portarono - lentamente - soltanto fino alla zona in cui i sugheri galleggianti segnalavano la sottostante presenza delle nasse di vimini: fu sufficiente tirarne a bordo un paio per trovare un’abbondante e varia soluzione al problema del digiuno.
Perché così generosa era la Grande Madre con i suoi figli prediletti, che essi non dovevano far altro che protendere distrattamente le mani per scoprirsele subi­to piene di nuovi frutti succulenti e di ricchi doni d’ogni genere...

I fenicotteri e le garzette si tennero dignitosamente e sdegnosamente lontano, ma gli audaci gabbiani subito presero a svolazzare schiamazzando, insistenti, vicino a loro, in una gara vorace e festosa verso gli scarti dei pesci che Norax e ‘Nbrys andavano preparando. E fu così che- durante un modesto, ma squisito, pasto da pescatori in buona compagnia - parlarono ancora molto, di tutto ciò che liberamente passava loro per la testa, e continuarono a farlo una volta ritornati al loro lavoro. Perciò non fu affatto difficile per Norax accennare finalmente, come per caso, al desiderio di incontrare Mandras...

L’amico si rabbuiò, nell’udire quel nome: “Mandras! forse non desidererai più di vederlo” - gli disse mentre si avviavano a lavarsi “quando avrai appreso ciò che si dice di lui”. Norax nascose l’ansia montante dentro di sé e si limitò a tacere con aria interrogativa, ostentando una normale curiosità e simulando le sue vere e segrete ragioni.
“Dicono” - proseguì ‘Nbrys - “che abbia ucciso un visitatore venuto da Qart-Hadasht di là dal mare, e poi sia sfuggito alla punizione dei due Giudici. Pare che, per questo motivo, adesso viva nascosto. E’ successo da pochi giorni e ancora tutti ne parlano, in città”.
Anche se Norax non aveva dimestichezza con le cose della città che non poteva conoscere ancora, quando l’aveva lasciata ancora bambino, egli sapeva bene dalle spiegazioni del suo Maestro che i due Giudici erano la più alta autorità, una civile e l’altra militare, e che ben difficilmente potevano sbagliare entrambi. Lo scoramento gli si lesse sul volto, mentre gli sfuggiva un gemito disperato. “Ennin! Non me lo sarei mai aspettato...”.
In quel mentre un giovane lavorante di pelle scura, che già da qualche tempo si era avvicinato a loro per lavarsi a sua volta, si intromise nella conversazione come per caso.
In realtà, egli li aveva ascoltati non visto per un bel po’ di tempo. E adesso - liberandosi gli occhi obliqui dai lunghi riccioli neri cadenti - disse, con l’aria noncurante di chi ha udito per caso di un problema e vuole rendersi utile: “Io, di persona, non so; ma un mio amico nella zona del porto, sa dove si nasconde il Grande Mandras, che si crede così potente da sfidare l’ira dei giudici e l’alleanza con la grande Qart-Hadasht, ricchissima di merci nel suo porto commerciale e difesissima dal formidabile porto militare rotondo”.
Norax - che apprezzava molto la dovizia di particolari - avrebbe voluto farsi condurre subito laggiù.
Ma vinse la tentazione, per non scoprirsi e anzi - ostentando una doverosa titubanza - disse: “Io... desideravo vedere l’eroe, perché così lo avevo sentito descrivere, ma non credo di volere incontrare un assassino. Non credo di aver più molto interesse a cercarlo”.
Norax sperava così di mantenere il segreto su cui tanto aveva insistito il suo Maestro. Non poteva immaginare di essere ormai oggetto di un’indagine spietata, che ancora non sembrava certo tale, e che non prevedeva alcuna esclusione di colpi.
Il nuovo arrivato, allora, riprese con modi accattivanti la parola, per dire: “Comunque questi fatti saltano di bocca in bocca e così tanto si modificano, in questo processo, che alla fine poco o nulla di vero é rimasto nel racconto: forse il Grande Mandras non si é affatto macchiato di quella colpa, o se lo ha fatto - chissà? - forse vi é stato costretto... Il mio amico ne saprà certamente di più: è un tipo molto informato, lui”.
“E tu sapresti condurmi?” Chiese Norax a questo punto, giudicando opportuno e non sospetto il momento per quella domanda.
L’altro giovane annuì più volte e sorrise, mostrando una chiostra di radi denti bianchissimi: “Non da Mandras” - ammise, con aria furba, stringendosi nelle spalle - “Ma da chi dice di sapere dov’é... Quando tu vuoi. Se vuoi, anche subito: prima che sia buio, però. Sai che la zona del porto non é propriamente allegra, di sera”.
E nel dire ciò assunse l’aria compunta del bravo ragazzo che rifugge le risse improvvise ed insensate, le cattive occasioni di ogni genere ed i tristi figuri che gravitano intorno ai porti trafficati per condurvi i loro osceni ed illeciti mercati. E’ lì che - con i giochi di azzardo - si bruciano fortune facilmente acquisite, spesso rubate. E’ lì che si vendono e si affittano persone, per piacere o per uccidere. E’ lì che si passa il confine del mondo noto, tranquillo, di ogni giorno, per entrare forse in un mondo nuovo di scoperte entusiasmanti, oppure nell’Inferno senza più ritorno...
“Ma sì!” - accettò Norax, rassicurato dai modi familiari e semplici dell’altro - “Che cosa ho da perdere in fondo? La cala del porto puzzerà sicuramente di meno di questo posto!”.
Tutti e tre risero forte e finirono di rivestirsi, raccogliendo ognuno le proprie cose da dove le aveva lasciate.
“E’ già tardi. Dovremo correre” - disse con tono conclusivo il giovane sconosciuto.