I ricercatori dell'Università di Sheffield hanno sviluppato un metodo per determinare l'origine dell'ossidiana che richiede solo 10 secondi -- Dozzine di volte più veloce del metodo attualmente in uso -- per mezzo di uno strumento portatile a mano, che può essere usato negli scavi archeologici.
L'ossidiana, cioé il 'vetro vulcanico' che si ritrova in natura, è liscio, duro e molto più affilato di un bisturi quando sia fratturato: il che lo rese un materiale molto ricercato per ottenerne stumenti di pietra, per tutta la storia dell'umanità. I più antichi strumenti di ossidiana furono trovati circa due milioni d'anni fa nell'Africa orientale e alcuni bisturi sono tutt'oggi in ossidiana (per esempio, in oculistica, ndt.).
La composizione chimica dell'ossidiana varia da vulcano a vulcano e le 'impronte digitali' chimiche permettono ai ricercatori di confrontare un artefatto d'ossidiana sfruttando proprio l'origine vulcanica del materiale. I test chimici spesso coinvolgono laboratori d'analisi dedicati specificamente all'uopo, persino con reattori nucleari, che richiedono mesi o anni d'attesa dopo lo scavo.
Il nuovo procedimento adotta una tecnica d'analisi detta "fluorescenza portatile a raggi X" (portable X-ray fluorescence = pXRF) che richiede uno strumento portatile non più grande e non dissimile da un telefono portatile cordless. Questa metodica è comodissima, dando la possibilità all'archeologo d'identificare l'origine dell'oggetto di pietra sul campo, invece di doverlo spedire lontano, risparmiando così tempo e denaro. Sarà usata prima per studiare gli strumenti d'ossidiana fatti dai primi esseri umani, includendo Neanderthal ed Erectus, decine di migliaia d'anni fa.
Il Dr Ellery Frahm dell'Università di Sheffield, Dipartimento di Archeologia, è molto soddisfatto di potere esaminare i reperti sul campo, senza più le lunghe attese che erano richieste in passato e soprattutto del fatto che il riconoscimento sia fatto contestualmente al momento dello scavo, sul sito di scavo, con risultati entro 10 secondi per ciò che riguarda la provenienza dell'ossidiana.
La ricerca è stata condotta in Armenia, "perché si tratta di uno dei territori naturalmente più ricchi di ossidiana in assoluto ed insieme uno dei paesaggi culturali più ricchi nel mondo, con assemblaggi litici di numerosi siti del Paleolitico che sono composti prevalentemente, se non unicamente, di ossidiana".
Il presente lavoro è il più recente: prima la ricerca era condotta in siria, un'area nella quale gli attuali eventi bellici stanno mettendo a rischio tutto l'insieme dell'eredità culturale del paese.
Questa ricerca globalmente ha avuto origine dal fatto che il dipartimento sia entrato nel circuito - a finanziamento Unione europea - Marie Curie "New Archaeological Research Network for Integrating Approaches to Ancient Material Studies," conosciuto meglio sotto l'acronimo di NARNIA. Il dr Frahm sostiene che la ricerca di Sheffield a mezzo NARNIA unisce lavoro laboratoristico archeologico al lavoro archeologico sul campo: tenedo in mente due scopi fondamentali. "Lavorare dove prima non potevamo lavorare e rispondere a domande a cui prima non potevamo rispondere."
Il Dr Frahm si dichiara estremamente soddisfatto del fatto che l'analisi chimica sia stata portata via ai "camici bianchi" per essere consegnata agli "scarponi infangati". Più specialisti presenti sul campo significa sempre migliori risultati pratici.
Source: University of Sheffield [September 09, 2013]
Dr Ellery Frahm using pXRF [Credit: University of Sheffield] |
La composizione chimica dell'ossidiana varia da vulcano a vulcano e le 'impronte digitali' chimiche permettono ai ricercatori di confrontare un artefatto d'ossidiana sfruttando proprio l'origine vulcanica del materiale. I test chimici spesso coinvolgono laboratori d'analisi dedicati specificamente all'uopo, persino con reattori nucleari, che richiedono mesi o anni d'attesa dopo lo scavo.
Il nuovo procedimento adotta una tecnica d'analisi detta "fluorescenza portatile a raggi X" (portable X-ray fluorescence = pXRF) che richiede uno strumento portatile non più grande e non dissimile da un telefono portatile cordless. Questa metodica è comodissima, dando la possibilità all'archeologo d'identificare l'origine dell'oggetto di pietra sul campo, invece di doverlo spedire lontano, risparmiando così tempo e denaro. Sarà usata prima per studiare gli strumenti d'ossidiana fatti dai primi esseri umani, includendo Neanderthal ed Erectus, decine di migliaia d'anni fa.
Il Dr Ellery Frahm dell'Università di Sheffield, Dipartimento di Archeologia, è molto soddisfatto di potere esaminare i reperti sul campo, senza più le lunghe attese che erano richieste in passato e soprattutto del fatto che il riconoscimento sia fatto contestualmente al momento dello scavo, sul sito di scavo, con risultati entro 10 secondi per ciò che riguarda la provenienza dell'ossidiana.
La ricerca è stata condotta in Armenia, "perché si tratta di uno dei territori naturalmente più ricchi di ossidiana in assoluto ed insieme uno dei paesaggi culturali più ricchi nel mondo, con assemblaggi litici di numerosi siti del Paleolitico che sono composti prevalentemente, se non unicamente, di ossidiana".
Il presente lavoro è il più recente: prima la ricerca era condotta in siria, un'area nella quale gli attuali eventi bellici stanno mettendo a rischio tutto l'insieme dell'eredità culturale del paese.
Questa ricerca globalmente ha avuto origine dal fatto che il dipartimento sia entrato nel circuito - a finanziamento Unione europea - Marie Curie "New Archaeological Research Network for Integrating Approaches to Ancient Material Studies," conosciuto meglio sotto l'acronimo di NARNIA. Il dr Frahm sostiene che la ricerca di Sheffield a mezzo NARNIA unisce lavoro laboratoristico archeologico al lavoro archeologico sul campo: tenedo in mente due scopi fondamentali. "Lavorare dove prima non potevamo lavorare e rispondere a domande a cui prima non potevamo rispondere."
Il Dr Frahm si dichiara estremamente soddisfatto del fatto che l'analisi chimica sia stata portata via ai "camici bianchi" per essere consegnata agli "scarponi infangati". Più specialisti presenti sul campo significa sempre migliori risultati pratici.
Source: University of Sheffield [September 09, 2013]
Researchers at the University of Sheffield have developed a method of sourcing obsidian artefacts that takes only 10 seconds -- dozens of times faster than the current methods -- with a handheld instrument that can be used at archaeological excavations.
Obsidian, naturally occurring volcanic glass, is smooth, hard, and far sharper than a surgical scalpel when fractured, making it a highly desirable raw material for crafting stone tools for almost all of human history. The earliest obsidian tools, found in East Africa, are nearly two million years old, and obsidian scalpels are still used today in specialised medical procedures.
The chemistry of obsidian varies from volcano to volcano, and the chemical "fingerprints" allow researchers to match an obsidian artefact to the volcanic origin of its raw material. The chemical tests often involve dedicated analytical laboratories, even nuclear reactors, and take place months or years after an archaeological site has been excavated.
The new process uses an analytical technique called portable X-ray fluorescence (pXRF), which involves a handheld instrument about the size, shape, and weight of a cordless drill. This portability enables archaeologists to identify the origins of stone tools in the field rather than having to send off artefacts to a distant lab. The newly developed method, which saves time and money, will first be used to study obsidian tools made by early humans, including Neanderthals and Homo erectus, tens of thousands of years ago.
Dr Ellery Frahm from the University of Sheffield's Department of Archaeology explained: "Obsidian sourcing has, for the last 50 years, involved chemical analysis in a distant laboratory, often taking five minutes per artefact, completely separate from the process of archaeological excavation. We sought to bring new tools for chemical analysis with us into the field, so we can do obsidian sourcing as we excavate or survey an archaeological site, not wait until months or years later to learn the results. We can now analyse an obsidian artefact in the field, and just 10 seconds later, we have an answer for its origin.
"We carried out the research in Armenia because it has one of the most obsidian-rich natural and cultural landscapes in the world, and the lithic assemblages of numerous Palaeolithic sites are predominantly, if not entirely, composed of obsidian."
The work is the latest of Dr Frahm's achievements in the field of obsidian sourcing, an area that he previously researched in Syria, prior to the current conflict situation which now threatens the country's heritage.
This research arose from the department's involvement in the EU-funded Marie Curie network "New Archaeological Research Network for Integrating Approaches to Ancient Material Studies," known by its acronym as NARNIA. Dr Frahm explained that Sheffield's research with NARNIA includes uniting archaeological labwork and fieldwork in the field: "We have a broad remit on the project, but we are driven by two goals: work where we couldn't work before, and answer what we couldn't answer before."
Dr Frahm continued: "Here at Sheffield we're shifting chemical analysis from the realm of 'white lab coats' to 'muddy boots.' The more that archaeologists and specialists in various fields can work together on-site the better.
Source: University of Sheffield [September 09, 2013]
Dr Ellery Frahm using pXRF [Credit: University of Sheffield] |
The chemistry of obsidian varies from volcano to volcano, and the chemical "fingerprints" allow researchers to match an obsidian artefact to the volcanic origin of its raw material. The chemical tests often involve dedicated analytical laboratories, even nuclear reactors, and take place months or years after an archaeological site has been excavated.
The new process uses an analytical technique called portable X-ray fluorescence (pXRF), which involves a handheld instrument about the size, shape, and weight of a cordless drill. This portability enables archaeologists to identify the origins of stone tools in the field rather than having to send off artefacts to a distant lab. The newly developed method, which saves time and money, will first be used to study obsidian tools made by early humans, including Neanderthals and Homo erectus, tens of thousands of years ago.
Dr Ellery Frahm from the University of Sheffield's Department of Archaeology explained: "Obsidian sourcing has, for the last 50 years, involved chemical analysis in a distant laboratory, often taking five minutes per artefact, completely separate from the process of archaeological excavation. We sought to bring new tools for chemical analysis with us into the field, so we can do obsidian sourcing as we excavate or survey an archaeological site, not wait until months or years later to learn the results. We can now analyse an obsidian artefact in the field, and just 10 seconds later, we have an answer for its origin.
"We carried out the research in Armenia because it has one of the most obsidian-rich natural and cultural landscapes in the world, and the lithic assemblages of numerous Palaeolithic sites are predominantly, if not entirely, composed of obsidian."
The work is the latest of Dr Frahm's achievements in the field of obsidian sourcing, an area that he previously researched in Syria, prior to the current conflict situation which now threatens the country's heritage.
This research arose from the department's involvement in the EU-funded Marie Curie network "New Archaeological Research Network for Integrating Approaches to Ancient Material Studies," known by its acronym as NARNIA. Dr Frahm explained that Sheffield's research with NARNIA includes uniting archaeological labwork and fieldwork in the field: "We have a broad remit on the project, but we are driven by two goals: work where we couldn't work before, and answer what we couldn't answer before."
Dr Frahm continued: "Here at Sheffield we're shifting chemical analysis from the realm of 'white lab coats' to 'muddy boots.' The more that archaeologists and specialists in various fields can work together on-site the better.
Source: University of Sheffield [September 09, 2013]