TI LU NARU IEU - 2
“VOLERE E NON VOLERE”
C’era
una volta una mamma buona e bella e laboriosa, ma povera, che aveva due
figlie. Una delle due figlie, la maggiore, si chiamava Chicchina: era
bella, ma pigra e vanitosa, invidiosa ed egoista e stupida e cocciuta proprio comente unu molente.
Il nome della figlia minore era Luisedda: al
confronto con la sorella sembrava quasi bruttina, ma era sveglia e
volenterosa, generosa e buona come un pane appena sfornato, modesta e
laboriosa. La famiglia era povera, perché i soldi che babbo portava a
casa erano troppo pochi per la famiglia numerosa (c’erano anche altri
tre fra fratelli e sorelle, ancora tutti troppo piccoli per lavorare e
guadagnare).
Un
giorno accadde proprio che la mamma si trovasse inaspettatamente senza
sapone per lavare i panni. Soldi per comperarlo non ce n’erano, in casa,
quindi pensò di mandare la figlia maggiore a chiederlo in prestito,
mentre lei finiva di rassettare la casa, sbattere i materassi ed i
tappeti e pulire il camino dalla cenere del fuoco del giorno prima.
Le chiese, quasi cantando una filastrocca:
“Oh Chicchina, Chicchinedda,
Figgia mea bellixedda,
Andresti a chiedere sapone
Per lavare i miei panni,
Chicchina, Chicchinedda?”.
Ma
Chicchinedda era pigra e si stava pettinando i bei capelli, dopo
essersi messa il vestito buono, per farsi vedere in piazza da tutti i
ragazzi che le facevano la corte. Poi, non voleva certamente fare la
figura di andare a chiedere l’elemosina come una mischinedda, quindi le
rispose, sgarbatamente: “Io oggi non mi sento affatto bene, faccio
persino fatica a stare in piedi! E non so neppure se riuscirò ad andare
agli appuntamenti che avevo preso, per cui - tra l'altro - sono già in ritardo!”
Il
vicino era un vecchio vedovo burbero, molto ricco e solitario, che viveva in un
palazzo sempre chiuso, e conduceva una vita molto ritirata, senza mai
invitare alcuno, né uscire, per non incontrare nessuno. Era una persona
piena di mistero. Qualcuno diceva fosse un mago, o uno stregone, o
chissà …
Anche per questo motivo, malgrado le accorate richieste d’aiuto della madre, Chicchinedda si rifiutò assolutamente di andarci.
Allora, la madre fu costretta a chiedere alla figlia minore:
“Oh Luisa, Luisedda,
amore ‘e su coro,
Andresti a chiedere sapone
Per lavare i miei panni,
Luisedda, prenda ‘e oro?”
La
piccola scattò subito in piedi e lasciò i suoi cinque ciottoli bianchi
di fiume con i quali stava giocando a bruscheras e prontamente dichiarò,
con un sorriso: “Certo che ci vado, mamma!”.
Il
palazzo non era lontano e la strada era breve. Il giardino intorno al
palazzo era quasi un parco, curato e pulito, con alberi ombrosi e
maestosi e piante da fiore sempre fiorite: era un vero piacere per gli
occhi. Luisedda bussò al portone timidamente e chiese educatamente il permesso
d’entrare.
Una vocina da dentro rispose d’entrare, ché era sempre aperto.
Appena
fu entrata, Luisedda vide una servetta, ancora più piccola di lei, che
faticava inutilmente con uno straccio a pulire l’enorme lastricato
dell’atrio del palazzo. La servetta ansimava e faticava, ma quel lavoro
sembrava davvero troppo grande per lei. Luisedda le chiese allora se
poteva aiutarla, ma ancora prima di ricevere una risposta era già in
ginocchio e stava dando una mano. Il lavoro fu presto finito ed il
risultato era splendido: la servetta la ringraziò di vero cuore e le
chiese perché mai fosse venuta al palazzo.
Luisedda
raccontò: “Mia madre è rimasta senza sapone così e così. Allora, alla
fine sono venuta io: ah lo posso prendere in prestito un po’ del vostro
sapone?”.
“Certamente per me: ma io sono solo una serva; devi chiederlo prima al padrone, che sta al piano di sopra”.
Allora
Luisedda salì saltellando per un enorme scalone che portava al piano di
sopra: era ornato di quadri d’antenati impettiti, ed austeri, ma
certamente non spaventò Luisedda, intenzionata a trovare il padrone, per
chiedergli il permesso per avere il sapone da dare alla madre per
lavare i suoi panni.
Appena
fu su, vide subito due sguattere che, poverine, stavano lavando una
montagna di stoviglie più grande di loro: arrivavano appena alla vasca
in pietra dove stavano i piatti e le pentole e facevano una gran fatica a
riporre i piatti asciutti sul ripiano, anche usando sgabelli e
scalette. Allora Luisedda, che era più alta di loro, si offrì subito di
aiutarle, ma era già lì con le maniche rimboccate, prima ancora che loro
le dicessero sì, a lavare, asciugare, riporre.
Quando
anche questo lavoro fu fatto, le due sguattere non smettevano di
ringraziarla per l’aiuto. Infine, vollero sapere perché mai fosse lì e
lei rispose loro: “Così, così e così. Quindi mi servirebbe del sapone per lavare i
panni: posso prenderne un po’ del vostro?”.
Le due risposero che senz’altro sì, ma doveva avere prima di tutto informarne il padrone, che stava al piano di sopra.
Luisedda
salì allegramente cinguettando anche la seconda rampa di scale, che questa volta era
ornata con viste meravigliose di tutti gli angoli più belli del paese.
Infine giunse ad una camera dove tre cuoche stavano pasticciando
incredibilmente con della pasta per fare il pane e i dolci, senza
riuscire a concludere nulla e senza neppure riuscire ad accendere il
fuoco del forno.
Luisedda,
che era bravissima, perché aveva imparato osservando e aiutando sua madre, chiese il
permesso di aiutarle e immediatamente iniziò a lavorare il pane, a farne
delle forme, ad infornarle con grande abilità nel forno che aveva prima
portato alla temperatura giusta. L’odore del pane appena fatto si
sparse indiscreto per tutta la casa e – come al solito – rese subito
tutti più allegri e contenti.
Le
tre cuoche, dopo averla molto ringraziata per il suo aiuto, le chiesero
come mai si trovasse lì ed ella cortesemente raccontò ancora tutta la
storia: “Così e così. Quindi eccomi qui, a chiedervi un po’ del vostro
sapone in prestito”.
Le
tre cuoche le risposero che avrebbe certamente potuto prenderlo, ma che
prima di portarlo via doveva avvertire il padrone, che stava sempre da
solo nell’unica stanza del piano di sopra, dove la vista bellissima lo
distraeva dai suoi pensieri tristi e dalle malefatte degli uomini.
Luisedda
salì canticchiando fiduciosa ed allegra l’ultima rampa di scale, che era ornata da
immagini varie e fantasiose, d’angeli e di fate, d’elfi e di folletti e
finalmente giunse a quell’unica stanza, che era fatta con pareti tutte
di vetro e fu subito rapita da un panorama bellissimo, che toglieva il
fiato: si vedevano la campagna fertile, le montagne quiete, il fiume tortuoso e paziente, quasi
fino al mare immenso. Una figura d’uomo anziano, ma ancora alto e snello, le
dava le spalle, rivolto verso quella vista bellissima. Sentendola
arrivare, si voltò e la salutò con cortesia, con una voce profonda e
calda: “So che cosa desideri, piccola Luisedda. Ma quello che tu sei
merita davvero molto di più di quello che tu chiedi.
Perciò
ti farò avere tutto il sapone che servirà a tua madre per mesi, il
servizio di piatti in porcellana fine che hai lavato ed asciugato per
bene, un servizio di posate in argento che hai trattato con cura, pane
carasatu e focacce a sufficienza per tutta la tua numerosa famiglia.
Inoltre, ti darò vestiti di seta preziosa per te e gioielli che saranno
un giorno la tua dote. Infine ti donerò una fata tutta tua, che vegli su
te e che ti assista sempre” – poi, si rabbuiò in volto, e proseguì, con
voce severa: – “Tua sorella Chicchinedda, invece, che non è voluta
venire qui, con la scusa di stare male, da ora in poi merita di stare
male davvero e di perdere quella bellezza che adesso cura così tanto,
come se fosse la cosa più importante al mondo. E si merita d’incontrare
persone che la tratteranno male, esattamente come lei tratta gli altri,
con egoismo e cattiveria. Questo è giusto ed è stato deciso così,
ormai”.
E questa è tutta la storia, che vi piaccia e ci crediate, oppure no.
E da allora Luisedda fu davvero felice e ben accetta da tutti, mentre Chicchinedda fu evitata e compatita da tutti.
Perché
qualcuno c’è – in fondo – che ci guarda e ci giudica, in ogni momento,
anche se non ci sembra affatto che sia così, e sembra che davvero sappia
molte più cose di ognuno di noi, di quanto ciascuno non creda
possibile…
E
qualche volta, anche se forse non proprio sempre, succede che il giusto
premio infine arriva, a premiare le buone azioni e la buona
disposizione d’animo: magari quando davvero non ci speriamo quasi più e
quando ormai fatichiamo un po’ a sorridere…
E questo vale, naturalmente, anche per la giusta punizione.
Maurizio Feo