domenica 1 settembre 2013

TI LU NARU IEU - 2


“VOLERE E NON VOLERE”

C’era una volta una mamma buona e bella e laboriosa, ma povera, che aveva due figlie. Una delle due figlie, la maggiore, si chiamava Chicchina: era bella, ma pigra e vanitosa, invidiosa ed egoista e stupida e cocciuta proprio comente unu molente

Il nome della figlia minore era Luisedda: al confronto con la sorella sembrava quasi bruttina, ma era sveglia e volenterosa, generosa e buona come un pane appena sfornato, modesta e laboriosa. La famiglia era povera, perché i soldi che babbo portava a casa erano troppo pochi per la famiglia numerosa (c’erano anche altri tre fra fratelli e sorelle, ancora tutti troppo piccoli per lavorare e guadagnare).

Un giorno accadde proprio che la mamma si trovasse inaspettatamente senza sapone per lavare i panni. Soldi per comperarlo non ce n’erano, in casa, quindi pensò di mandare la figlia maggiore a chiederlo in prestito, mentre lei finiva di rassettare la casa, sbattere i materassi ed i tappeti e pulire il camino dalla cenere del fuoco del giorno prima.

Le chiese, quasi cantando una filastrocca:

“Oh Chicchina, Chicchinedda,

Figgia mea bellixedda,

Andresti a chiedere sapone

Per lavare i miei panni,

Chicchina, Chicchinedda?”.

Ma Chicchinedda era pigra e si stava pettinando i bei capelli, dopo essersi messa il vestito buono, per farsi vedere in piazza da tutti i ragazzi che le facevano la corte. Poi, non voleva certamente fare la figura di andare a chiedere l’elemosina come una mischinedda, quindi le rispose, sgarbatamente: “Io oggi non mi sento affatto bene, faccio persino fatica a stare in piedi! E non so neppure se riuscirò ad andare agli appuntamenti che avevo preso, per cui - tra l'altro - sono già in ritardo!”

Il vicino era un vecchio vedovo burbero, molto ricco e solitario, che viveva in un palazzo sempre chiuso, e conduceva una vita molto ritirata, senza mai invitare alcuno, né uscire, per non incontrare nessuno. Era una persona piena di mistero. Qualcuno diceva fosse un mago, o uno stregone, o chissà …

Anche per questo motivo, malgrado le accorate richieste d’aiuto della madre, Chicchinedda si rifiutò assolutamente di andarci.

Allora, la madre fu costretta a chiedere alla figlia minore:

“Oh Luisa, Luisedda,

amore ‘e su coro,

Andresti a chiedere sapone

Per lavare i miei panni,

Luisedda, prenda ‘e oro?”

La piccola scattò subito in piedi e lasciò i suoi cinque ciottoli bianchi di fiume con i quali stava giocando a bruscheras e prontamente dichiarò, con un sorriso: “Certo che ci vado, mamma!”.

Il palazzo non era lontano e la strada era breve. Il giardino intorno al palazzo era quasi un parco, curato e pulito, con alberi ombrosi e maestosi e piante da fiore sempre fiorite: era un vero piacere per gli occhi. Luisedda bussò al portone timidamente e chiese educatamente il permesso d’entrare.

Una vocina da dentro rispose d’entrare, ché era sempre aperto.

Appena fu entrata, Luisedda vide una servetta, ancora più piccola di lei, che faticava inutilmente con uno straccio a pulire l’enorme lastricato dell’atrio del palazzo. La servetta ansimava e faticava, ma quel lavoro sembrava davvero troppo grande per lei. Luisedda le chiese allora se poteva aiutarla, ma ancora prima di ricevere una risposta era già in ginocchio e stava dando una mano. Il lavoro fu presto finito ed il risultato era splendido: la servetta la ringraziò di vero cuore e le chiese perché mai fosse venuta al palazzo.

Luisedda raccontò: “Mia madre è rimasta senza sapone così e così. Allora, alla fine sono venuta io: ah lo posso prendere in prestito un po’ del vostro sapone?”.

“Certamente per me: ma io sono solo una serva; devi chiederlo prima al padrone, che sta al piano di sopra”.

Allora Luisedda salì saltellando per un enorme scalone che portava al piano di sopra: era ornato di quadri d’antenati impettiti, ed austeri, ma certamente non spaventò Luisedda, intenzionata a trovare il padrone, per chiedergli il permesso per avere il sapone da dare alla madre per lavare i suoi panni.

Appena fu su, vide subito due sguattere che, poverine, stavano lavando una montagna di stoviglie più grande di loro: arrivavano appena alla vasca in pietra dove stavano i piatti e le pentole e facevano una gran fatica a riporre i piatti asciutti sul ripiano, anche usando sgabelli e scalette. Allora Luisedda, che era più alta di loro, si offrì subito di aiutarle, ma era già lì con le maniche rimboccate, prima ancora che loro le dicessero sì, a lavare, asciugare, riporre.

Quando anche questo lavoro fu fatto, le due sguattere non smettevano di ringraziarla per l’aiuto. Infine, vollero sapere perché mai fosse lì e lei rispose loro: “Così, così e così. Quindi mi servirebbe del sapone per lavare i panni: posso prenderne un po’ del vostro?”.

Le due risposero che senz’altro sì, ma doveva avere prima di tutto informarne il padrone, che stava al piano di sopra.

Luisedda salì allegramente cinguettando anche la seconda rampa di scale, che questa volta era ornata con viste meravigliose di tutti gli angoli più belli del paese. Infine giunse ad una camera dove tre cuoche stavano pasticciando incredibilmente con della pasta per fare il pane e i dolci, senza riuscire a concludere nulla e senza neppure riuscire ad accendere il fuoco del forno.

Luisedda, che era bravissima, perché aveva imparato osservando e aiutando sua madre, chiese il permesso di aiutarle e immediatamente iniziò a lavorare il pane, a farne delle forme, ad infornarle con grande abilità nel forno che aveva prima portato alla temperatura giusta. L’odore del pane appena fatto si sparse indiscreto per tutta la casa e – come al solito – rese subito tutti più allegri e contenti.

Le tre cuoche, dopo averla molto ringraziata per il suo aiuto, le chiesero come mai si trovasse lì ed ella cortesemente raccontò ancora tutta la storia: “Così e così. Quindi eccomi qui, a chiedervi un po’ del vostro sapone in prestito”.

Le tre cuoche le risposero che avrebbe certamente potuto prenderlo, ma che prima di portarlo via doveva avvertire il padrone, che stava sempre da solo nell’unica stanza del piano di sopra, dove la vista bellissima lo distraeva dai suoi pensieri tristi e dalle malefatte degli uomini.

Luisedda salì canticchiando fiduciosa ed allegra l’ultima rampa di scale, che era ornata da immagini varie e fantasiose, d’angeli e di fate, d’elfi e di folletti e finalmente giunse a quell’unica stanza, che era fatta con pareti tutte di vetro e fu subito rapita da un panorama bellissimo, che toglieva il fiato: si vedevano la campagna fertile, le montagne quiete, il fiume tortuoso e paziente, quasi fino al mare immenso. Una figura d’uomo anziano, ma ancora alto e snello, le dava le spalle, rivolto verso quella vista bellissima. Sentendola arrivare, si voltò e la salutò con cortesia, con una voce profonda e calda: “So che cosa desideri, piccola Luisedda. Ma quello che tu sei merita davvero molto di più di quello che tu chiedi.

Perciò ti farò avere tutto il sapone che servirà a tua madre per mesi, il servizio di piatti in porcellana fine che hai lavato ed asciugato per bene, un servizio di posate in argento che hai trattato con cura, pane carasatu e focacce a sufficienza per tutta la tua numerosa famiglia. Inoltre, ti darò vestiti di seta preziosa per te e gioielli che saranno un giorno la tua dote. Infine ti donerò una fata tutta tua, che vegli su te e che ti assista sempre” – poi, si rabbuiò in volto, e proseguì, con voce severa: – “Tua sorella Chicchinedda, invece, che non è voluta venire qui, con la scusa di stare male, da ora in poi merita di stare male davvero e di perdere quella bellezza che adesso cura così tanto, come se fosse la cosa più importante al mondo. E si merita d’incontrare persone che la tratteranno male, esattamente come lei tratta gli altri, con egoismo e cattiveria. Questo è giusto ed è stato deciso così, ormai”.

E questa è tutta la storia, che vi piaccia e ci crediate, oppure no.

E da allora Luisedda fu davvero felice e ben accetta da tutti, mentre Chicchinedda fu evitata e compatita da tutti.

Perché qualcuno c’è – in fondo – che ci guarda e ci giudica, in ogni momento, anche se non ci sembra affatto che sia così, e sembra che davvero sappia molte più cose di ognuno di noi, di quanto ciascuno non creda possibile…

E qualche volta, anche se forse non proprio sempre, succede che il giusto premio infine arriva, a premiare le buone azioni e la buona disposizione d’animo: magari quando davvero non ci speriamo quasi più e quando ormai fatichiamo un po’ a sorridere…

E questo vale, naturalmente, anche per la giusta punizione.

Maurizio Feo