Quando i primi uomini uscirono
dall’Africa, la TBC viaggiò con loro.
Attraverso
tutta la Storia dell’Uomo, la tubercolosi, o TBC o 'consunzione', è stata una delle
più mortali malattie infettive. La sua evoluzione naturale – senza terapia – la
porta ad uccidere metà dei pazienti infettati. Persino oggi, pur con l’entrata
in campo di antibiotici sofisticati, la TBC uccide da 1 a 2 milioni di persone,
ogni anno, specialmente nei paesi in via di sviluppo. Si pensava comunemente
che il Mycobacterium Tuberculosis – l’agente causale della TBC – si fosse
sviluppato circa 10.000 anni fa negli
animali e si fosse poi trasferito all’Uomo con l’invenzione dell’agricoltura (J. Diamond – Armi, acciaio e malattie –
ipotizzava un’origine nei bovini, avvenuto forse quindi in Mesopotamia). Un nuovo
studio scientifico ha dimostrato che la TBC possiede una molto più antica e
profonda interrelazione con gli esseri umani: sembra che esso risalga
addirittura a circa 70.000 anni fa, prima ancora che i nostri antenati umani
uscissero dall’Africa..
Nei secoli
XVIII e XIX , nelle nazioni europee e nordamericane
che andavano rapidamente
industrializzandosi la TBC raggiunse picchi epici. Era
la principale causa di morte in tutti i gruppi d’età in tutto il mondo occidentale e
restò tale fino al XX secolo, quando igiene e sanità migliori portarono ad una diminuzione della
mortalità. Con l’avvento degli antibiotici il trattamento della TBC divenne
molto più efficace e la pratica – una volta comune – di trattare i pazienti in
un ‘sanatorio’ divenne una pratica ormai superata.
Malgrado
tutto, però, la malattia resta ancora oggi un pericolo per la salute globale,
grazie alla sua prevalenza nelle nazioni emergenti, con più bassi livelli
igienici e più alte densità di popolazione. Inoltre, la TBC è il principale
sterminatore dei pazienti affetti dall’HIV ed uccide tuttora fino a 2 milioni
di persone nel mondo. A peggiorare un
quadro già triste, sono comparsi nuovi ceppi del batterio, tra le popolazioni
affette, che mostrano una resistenza agli antibiotici convenzionali, rendendo
il trattamento più problematico.
Il
prolungato – e difficile – rapporto tra l’umanità ed il batterio della
tubercolosi è ben documentato. Ad esempio: la TBC era diffusa già nell’Antico
Egitto; segni della presenza del batterio sono stati riconosciuti in mummie
vecchie di 6.000 anni. La scienza è stata in grado di riferire le origini della
malattia ad un periodo che gli archeologi definiscono come “Transizione Neolitica”, che avvenne
circa 10.000 -11.000 anni fa. In quell’epoca gli esseri umani dettero inizio
alla produzione alimentare con la pratica dell’agricoltura e con l’addomesticamento
degli animali. Si pensava infatti che l’agente causale della tubercolosi si
fosse trasmesso dagli animali all’uomo e fosse quindi, almeno inizialmente, una
zoonosi.
Attualmente,
un gruppo di ricerca internazionale, condotto da Sebastien Gagneux dell’Istituto Svizzero per le Malattie
Tropicali e la Salute Pubblica, ha
sfidato queste vedute tradizionali, sostenendo la tesi per cui la TBC si
sarebbe originate in Africa, molto più precocemente, e direttamente nell’uomo,
non nell’animale.
Materiali e
metodi.
A mezzo di
259 campioni di batteri tubercolari raccolti in differenti parti del mondo, si
è proceduto ad un’attenta analisi genetica, che ha permesso la costruzione di
un albero filogenetico (una specie di ‘albero familiare’, che illustra il rapporto
di discendenza degli antenati) del germe, rimarcando la sua evoluzione
attraverso la storia dell’uomo, attraverso le mutazioni che sono state
riscontrate.
I risultati
sono apparsi sulla rivista scientifica “Nature
Genetics”: essi indicano che il micobatterio della tubercolosi apparve
circa 70.000 anni fa, nella popolazione umana dell’Africa. Da allora, emigrò
con l’uomo, seguendone l’espansione nel mondo.
In che modo il
batterio sia riuscito ad ‘aderire’ all’uomo, accompagnandolo per un periodo di tempo così lungo, è stato un
quesito non risolto per lunghissimo tempo. Da una parte, il micobatterio è un
patogeno esclusivamente umano, il che significa che letteralmente ha bisogno
dell’uomo per sopravvivere. Dall’altra parte si tratta di un patogeno
estremamente efficace nello sterminare
le proprie vittime e questo aspetto è in netto contrasto biologico con la sua
stessa sopravvivenza. La ricerca genetica del gruppo di Gagneaux aiuta a comprendere e spiegare questo
paradosso. Infatti evidenzia come – tra 20.000 o 30.000 anni fa – il micobatterio
ha sviluppato la capacità di assumere un atteggiamento ‘dormiente’ nel proprio
ospite, per poi ritornare attivo dopo alcune decine di anni. Questa abilità
potrebbe essersi sviluppata come una necessaria strategia di sopravvivenza in
un periodo nel quale la popolazione umana era rappresentata da minuscole comunità
di cacciatore raccoglitori, sparute ed isolate l’una dall’altra. Un agente infettante 'troppo efficace', che distrugga il proprio
ospite troppo rapidamente, in quelle condizioni, può facilmente restare senza
altri ospiti disponibili a cui diffondersi e sparire esso stesso. Questa
capacità del micobatterio di restare latente è proprio ciò ne che rende così
difficile il controllo: l’agente può nascondersi per periodi di tempo anche
prolungati tra i suoi ospiti umani e poi fare un improvviso ritorno in ambienti
nuovi. Si nota infatti che la diversità del micobatterio è marcatamente aumentata
in corrispondenza dell’espansione territoriale e numerica dell’uomo. L’interazione
immunologica tra micobatterio e uomo, oltre che molto lunga, è complessa e potrebbe anche avere
costituito – in qualche caso – un fattore di protezione verso altri germi
patogeni molto pericolosi, in alcune epoche passate. Ma questo fa parte di studi – anche genetici – del futuro,
volti a identificare i meccanismi di attivazione e disattivazione della
malattia.
La speranza,
naturalmente è quella di ottenere, attraverso una più completa
comprensione dei complicati rapporti tra
uomo e TBC, strumenti migliori per combattere questa lunga battaglia contro una
malattia devastante che fino ad oggi non siamo riusciti a sconfiggere
definitivamente.