SEZIONE POPOLI DELLA SARDEGNA
di Salvatore Dedola (1).Oltre all’etimologia dei nomi dei popoli noti, inserisco nell’elenco le etimologie relative a quattro cognomi (Arbéri, Bárbaru, Barbéri, Barbòne) che a mio giudizio sono degli arcaici appellativi utilizzati per indicare il popolo dei Barbaricini. Inserisco inoltre il cognome Sassu, anch’esso indicante un etnico.
ALCHITANI,
Alkitani
etnico. Secondo Pittau (OPSE
79) gli Alkitani
erano gli antichi abitanti dell’attuale S.Nicolò
Arcidano, e
stavano nel territorio che arrivava sino alle pendici del Monte
Arci (donde
il nome dallo stesso Monte). É possibile, anzi diamo per certo che
il territorio fosse questo. Ma intanto va detto che il Monte Arci
ha un diverso etimo (vedi). L’etnico Alkitani
trae invece trae l’etimologia dal babilonese alku
‘regione lungo una riva’, cui s’aggiunse il tema etnico
latineggiante -tani.
Si chiamavano Alkitani
perchè stavano anzitutto lungo la ‘riva’ del rio Mogoro, che
oggi fa semplicemente sorridere ma sino a un secolo fa incuteva
terrore per le catastrofiche piene improvvise. La bonifica della
Piana di Terralba-Arborea partì anzitutto dall’imbrigliamento del
torrente con una diga. Tre-quattromila anni fa il villaggio doveva
ancora trovarsi, a un dipresso, presso le rive boscose di una specie
di “fiordo”, che vogliamo così chiamare per comodità, ma era
più che altro la valle incassata del rio Mogoro, la quale
all’altezza del villaggio era quasi sulle rive del Golfo di
Oristano, per il fatto che il mare entrava ancora profondamente nella
pianura; oppure, che è lo stesso, era il torrente che con le sue
alte bancate dava il nome di Alku
alla regione. Il “fiordo” poi (o le bancate del rio), proprio in
virtù delle piene del torrente, fu gradualmente riempito dagli
apporti alluvionali, ed oggi possiamo notare soltanto un mare
impantanato,
il quale altro non è che la laguna di Marceddì, che oggidì si è
peraltro ritirata, e sta relativamente lontana dal villaggio.
ARBÉRI
cognome che Pittau crede equivalente a (b)arbéri
'barbiere' < cat. barber
(Wagner). La sua proposta è inaccettabile. La base etimologica del
cognome è antichissima e si riferisce agli abitanti delle aree
montagnose e incolte, quelli noti come (B)arbaricini.
Un tempo (2000 anni fa) quelli che furono pure noti come Ilienses
ed ancora prima come Jolaenses
erano chiamati propriamente, da quelli delle pianure, Arbéris,
Arbérus,
con la base accadica arbu(m),
warbum
'incolto, selvatico', ḫarbu(m)
'territorio abbandonato, deserto, ossia non adatto alle coltivazioni'
+ suff. sardiano -ri,
-ru.
BARBARICÍNI.
È un composto sardiano con base nell’akk. arbu
‘(montagna) aspra, incolta’ + rīqu(m)
‘libero’ + akk. enu
‘signore, lord’ (stato costrutto arba-rīq-enu
> [b]arbarikinu
> barbaricínu).
Il significato sintetico è ‘libero signore delle montagne’. È
noto infatti che i Romani ebbero pieno uso soltanto dei territori di
pianura o collinari, ma non di quelli pertinenti agli Ilienses,
costituenti l’asse montuoso centro-orientale della Sardegna.
Altro
possibile etimo per Barbaricini
è arbu
‘(montagne) aspre, incolte’ + aria
‘vuoto’ + kīnu
‘legittimo’ (stato costrutto arb-ari-kīnu),
col significato di ‘legittimi (sott. abitatori) del territorio
vuoto e incolto’.
BÀRBARU.
Per capire questo cognome occorre prendere in considerazione
primamente il cognome Barbàrja,
Barbària,
il quale a sua volta è una variante fonosemantica del coronimo
Barbàgia
< *Arba-ria
‘territorio incolto (quindi adatto alle greggi)’, da bab. arbu
‘waste, uncultivated’. Ma occorre pure fare i conti con l’etnico
Barbaricìno,
il quale è un composto sardiano con base nell’accad. arbu
‘(montagna) aspra, incolta’ + rīqu(m)
‘libero’ + suff. sardiano -ínu,
col significato sintetico di ‘(uomo) libero che abita sulle
montagne’.
Bàrbaru
è, con tutta evidenza, un cognome-aggettivale sorto nel medioevo per
influsso latino, considerato che furono gli occupanti Romani a
interpretare come ‘luogo dei barbari’ l’Arbària,
che essi chiamarono per paronomasia Barbària
(in sardo Barbàgia).
Peraltro a questo cognome i Romani non dettero un significato
spregiativo, anche perché presso di loro esisteva lo stesso cognomen
Barbarus.
BARBÉRI
cognome che Pittau interpreta come ‘barbiere’, derivato dal cat.
barber.
Egli cita fra l’altro il cognome Barberij
citato nel 1410 nel CDS II 45. Ma è proprio questa citazione a non
lasciare scampo, essendo impossibile che a circa 80 anni
dall’invasione la Sardegna avesse già recepito nella propria
onomastica dei cognomi catalani. L’etimologia è assai diversa.
Barbéri
è una variante fonica e semantica di Arbéri,
ed entrambi sono varianti foniche di Bàrbaru
(vedi), a sua volta semplificazione di Barbaricínu.
BARBÒNE,
Barbòni
cognome che Pittau crede accrescitivo e peggiorativo del cgn it.
Barba;
alternativamente lo crede un cognome propriamente italiano. Ma
sbaglia.
Barbòne,
-i non è
altro che una variante fonosemantica dell’etnico Bàrbaru
(vedi), a sua volta semplificazione di Barbaricínu.
CAMPITÁNI
popolo che il Pittau suppone esistente in Sardegna in epoca romana,
dal quale egli riesce a derivare il medievale Campitanu,
onde il nome Campidanu
attribuito alla nota pianura sarda. Non sono d’accordo
sull’impostazione della questione. Se ammettiamo l’esistenza dei
Campitani,
il nome può essere spiegato attraverso il lemma Idánu.
Poiché Campidanu
era il territorio che dai bordi orientali della pianura di Cagliari
s'espande ad est attraverso le montagne ed i litorali rocciosi (per
intenderci, sin oltre Burcei e sino alle lontane balze costiere di
Maracalagonis), non è valida l’origine da campu
come ‘pianura’, almeno non come ‘pianura’ degna di questo
nome. Peraltro va notato un altro toponimo che avvalora la nostra
impostazione, ed è Capitana,
località tutta poggi e colline, annicchiata tra le montagne di
Maracalagonis, che declina sul litorale con suoli aspramente
movimentati, attualmente vocati alla pastorizia, mai ai cereali o
agli ortaggi. Attualmente i bagnanti conoscono Capitana
per le villette che declinano sul mare, e le attribuiscono
l’etimologia popolare di ‘capitano’, ma decenni addietro quel
territorio era una classica énclave
vocata alla viticoltura. Onde anch’essa va ricondotta a un
originario Campu
Idanu
‘territorio a vigneti’, da sardo ide
‘vite’.
CARÉNSIOI,
Karénsioi
è uno degli etnici connotanti uno dei popoli dell’antica Sardegna.
Pittau OPSE
116 propone il parallelo col nome dell’antica Karia
(regione dell’Asia Minore), in virtù della sua ipotesi dell’arrivo
dei Sardi dalla Lidia. Ma il fatto che la Sardegna sia letteralmente
pervasa dall’antica lingua accadica suggerisce di cercare in essa
il significato del termine. Karènsioi
infatti è soltanto un morfema antico-greco, ma la radice del nome è
accadica, da kāru(m)
‘quay, port, quay-bank; port on river, on sea’. In antico assiro
significò pure ‘colonia commerciale’: proprio così. Non è la
prima volta che scopriamo, nel significato dei vari etnici sardi, la
vera vocazione del popolo così denominato.
Ebbene,
Karénsioi
significa ‘navigatori’, propriamente ‘marinai, gente che
gestisce porti e moli’. Fu proprio su questa radice nominale che
gli accadici forgiarono parecchi termini, quali ‘supervisore del
porto’, ‘caserma dei gabellieri’, ‘prezzo corrente’,
‘negozio’. Quindi pare di capire che questo etnico ci presenti
uno spaccato interessantissimo dell’attività dei Sardi d’età
pre-fenicia.
DIAGHESBEÍS
antica popolazione sarda che fonti romane fanno individuare in
territorio dell’odierna Posada. «Alcuni la identificano con gli
Ilienses-Iolei-Troes di Mulargia-Alà dei Sardi. Aveva vicino gli
Esaronenses o Aisaronenses e i Falisci» (Di.Sto.Sa. 525). Strabone
(V,
2, 7) scrive testualmente, a riguardo della Sardegna, che «alla
bontà dei luoghi fa riscontro una grande insalubrità: infatti
l’isola è malsana d’estate, soprattutto nelle regioni più
fertili. Inoltre queste stesse regioni sono continuamente
saccheggiate dagli abitanti delle montagne che si chiamano Diaghesbéi
(Διαγησβεῖς), mentre una volta erano chiamati Iolei».
Vale
la pena di dare peso all’affermazione di Strabone (2), e se proprio
vogliamo dare un senso al nome di questo popolo, che Strabone precisa
essere quello che abita sulle montagne, non può essere altro che il
popolo altrimenti noto come Barbaricino (vedi). Non basta tale
individuazione. I Barbaricini con questo appellativo di Diaghesbéis
sono stati identificati come popolo errante, anzi transumante.
Infatti tale etnico può avere un senso soltanto se lo traduciamo col
gr. dià-ghes-baíno
‘*trans-humo’, ‘vado errando di terra in terra’. Questo
appellativo indica la caratteristica più importante dei Barbaricini,
eterni pastori transumanti dalla montagna al piano e dal piano alla
montagna.
ESARONÉSI.
Tolomeo (III, 3,6) pone gli Aι̉σαρωνήσιοι nella lista dei
18 popoli che vivono in Sardegna. Il loro nome potrebbe derivare da
akk. ašru(m)
‘regione’ + nēšū
, nīšū
‘genti, popoli’, secondo il Semerano. Secondo Pittau (OPSE
179) occorre riferirsi al vocabolo etrusco aiser,
che significa ‘déi’. Secondo lui, pertanto, l’etnico potrebbe
significare ‘Religiosi, Pii’.
In
realtà l’etnico greco, se scomposto bene nelle due componenti
(Αἰσαρω-νήσιοι) significa, per la seconda parte,
‘isolani (νήσιοι). La prima parte, che in Teocrito indica un
fiume italiano, Aἶσαρος (ed a seguirne le lusinghe andremmo
lontani), è invece da accadico ešēru(m)
che significa ‘fortunato, di successo (per i raccolti, i terreni,
gli allevamenti, la riproduzione umana)’. Quindi Aἶσαρονήσιοι
significa ‘isolani fortunati’, ‘(quelli dell’)isola
fortunata’. E con ciò siamo perfettamente in linea con quanto
favoleggiavano gli antichi sulla Sardegna. A ben vedere, la prima
parte del composto è semanticamente vicina al lemma etrusco
individuato dal Pittau.
HYPSITÁNI
antichi abitatori dell’agglomerato poi chiamato Forum
Traiani (oggi
Fordongianus,
provincia di Oristano). Le celebri acque calde, sulle quali i romani
edificarono le bellissime terme ancora in piedi, furono chiamate da
Tolomeo Aquae
Hypsitanae.
Quest'idronimo a prima vista sembra avere la base nel greco ‘ύψος
'sommità, altura, altezza', e con ciò dovremmo supporre che derivi
dal fatto che in questa zona di confine i residenti erano tutti della
stessa stirpe, a contatto diretto con i pastori che da quel punto in
poi, al di là del limes,
erano 'montanari'. In realtà la base etimologica è l’akk.
ḫuppu(m)
‘buca, fossa, cratere’, ‘un genere di catino’ + ṣitu(m)
‘sorgente’.
KARÉNSIOI
< akk. kārum
‘porto, molo’ (significa quindi ‘marinai, navigatori’). Vedi
Carénsioi.
KORAKÉNSIOI
«antica popolazione sarda che fonti romane fanno individuare in
territorio degli odierni comuni di Ittiri e Villanova Monteleone.
Dava o prendeva il nome dall’abitato scomparso di Coriaso»
(Di.Sto.Sa. 465).
È
un azzardo proporre un etimo per questo etnico. Ma è necessario.
Occorre partire, a mio avviso, dal fatto che in Sardegna ci sono
alcune sub-regioni caratterizzate dal fatto che le capanne, anziché
essere costruite metà in pietra e metà in frasche, sono fatte
integralmente in pietra, per intenderci, somigliano alle capanne
pugliesi di Alberobello (3), le quali viste da fuori sembrano un forno,
una fornace.
Potremmo quindi tentare di proporre questo etimo assumendo la caratteristica delle capanne che un tempo venivano costruite nella fascia di territorio che va da Bonnannaro-Borutta sino a Romana, molte delle quali ancora sopravvivono. La base etimologica è l’akk. kūru(m) ‘forno, fornace’ + kinšu ‘casa a base rotonda’.
ILIENSES
(vedi Jolaenses).
JOLAENSES.
Va fatta un po’ di chiarezza sulla commistione Il-/Iol-
sempre esistita nella storia toponimica sarda. Dobbiamo anzitutto
affermare che queste due radici sono nettamente distinte, e che i
Romani avevano ragione a parlare di Il-ienses
quando
identificavano la maggiore tribù dei montanari sardi. I Romani
sicuramente sapevano del termine Jol-a-enses,
ma lasciavano che a gestirsi un tale lemma fossero i Greci.
Conosciamo ormai tutto della tecnica paronomastica greca e della loro
indefettibile capacità di riplasmare ogni toponimo sardo a proprio
uso e consumo.
Nell’antichità
greca la radice (v)iol-
(che indica la ‘viola’) diede forma a nomi illustri, come quello
di Jole
(femminile di Jòlao)
che nella mitologia gre ca era attribuito alla figlia del re Eurito.
Di essa s’innamorò Eracle il qua le, adirato contro il re che
gliela rifiutava, lo uccise e ne distrusse il re gno, portandola via.
Deianìra, moglie gelosa dell’Eroe, si vendicò (4) facendo indossare
ad Ercole la camicia stregata donatale dal centauro Nesso. Ercole
impazzì e si getto sul rogo. Pausania (II sec. e.v.) riporta un po’
ampia men te una tradizione secolare, secondo cui l’ateniese
’Ιόλαος, nipote di Eracle (Ercole), condusse a colonizzare la
Sardegna 48 dei 50 figli avuti da Ercole con le figlie di Tespio.
Accompagnati da altri Ateniesi, i Tespiesi sospin sero con le armi
gli aborigeni e occuparono le pianure più fertili, fondando alcune
città (X, 17, I). Altri storici, ad iniziare da Diodoro Siculo che
scrive due secoli prima, citano un ’Iολαεῖον riferito alla
migliore pianura sarda.Ma qui la questione si complica davvero, perché in Sardegna le pianure e gli altri siti ancora oggi imparentati con questo nome sono parecchie decine. Va affermata intanto la parentela tra Jòlao e Iólia/Ólia (pronunciata Olla o [Parti]Olla ma anche Dólia [Dolia-Nova] per evidente fusione del coronimo col segnacaso de). S’imparenta il boscosissimo e selvaggio monte Olìa presso Monti, che non a caso segnava il confine tra l’antica Barbagia e la Gallura (esso non può, per ovvie ragioni geografico-ambientali, riferirsi all’olivo o all’olivastro, di cui manca traccia). Sembra ugualmente corretto imparentarvi i numerosi toponimi del tipo Olái (< Jola-i): si noti che l’ugaritico Ilu (Dio), derivando dal verbo ’alāh ‘ascendere, salire verso l’alto’, ha il suo participio proprio in ‘olāh ‘offerta’ (Baldacci).
È parimenti facile imparentarvi la piccola pianura d’Ilùne [Cala Luna], che crea pure una spiaggia e dunque un antico approdo. Il suo nome deriva dal fenicio Ilu ‘Dio’, con l’aggiunta del suffisso sardiano -ne, ed è dunque imparentato strettamente col nome della Perda Iliàna.
Semerano fa derivare il nome Jolao dal semitico Ilāh. Se una colonizzazione avvenne a suo tempo nelle pianure sarde (e successivamente nelle montagne), non la dobbiamo agli Eraclidi d'origine greca ma agli Eraclidi (Melkartidi) d'origine cananea. In questo caso, si capisce meglio la commistione Il-/Iol- (forma semitica e forma greca) e restano salvi i numerosi toponimi "joléi" della Sardegna nonchè la loro autenticità più antica, per nulla appannata dalla sovrapposizione del mito greco. Con tutta evidenza, il mito di Jolao fu rivivificato dai monaci bizantini “in salsa greca”, ed essi tramandarono sino ad oggi pressoché intatte tutte le forme in Jol-.
Tornando alle parentele, è impossibile non imparentare con la radice Jol- il nome dell’ex città (ora villaggio) di Ollolai, che sino al 6° secolo e.v. era stata la capitale dei Barbaricini (gli Jolaenses o Ilienses), sede dell’eroico re Ospitone che subì le imposizioni conversorie di papa Gregorio Magno (in realtà capitolando manu militari ad opera del braccio armato, il bizantino Zabarda: vedi GMS). Ollolai fin dal 1341 è stato scritto Allela, Allala, Ollala, ma è facile scorgere in Ollolai/Allala una iterazione rafforzativa, quasi sacrale, del nome (J)olái = ‘città di Jòlao. È infine corretto imparentarvi Olièna, dai residenti pronunciato Olìana/Ulìana (da [J]ulìana) e nientaffatto riferibile agli ulivi.
Sembrerebbe, a tutta prima, ovvio includervi il toponimo Giùlia/Giulìa/Giuglìa, che sembra richiamare il latino Jūlĭa, femminile di Jūlĭus (Giulio Cesare pretendeva di discendere direttamente da Jūlus figlio di Enea). Grazie all’equivalenza delle radici indoeuropee e romanze Iu-/Io-, Diu-/Dio-, Giu-/Gio-, scaturirebbe in tal caso l’identità radicale tra Jòlao e Giùlia ed anche Jūlus, col che si darebbe man forte alla tesi che gli Jolaenses (gli attuali Barbaricini) non fossero altri che i discendenti di Jūlus-Jòlao, mitico fondatore della stirpe sarda (o uno di essi). Giuglìa è un sito nel cuore del regno degli antichi Iolaenses/Ilienses: sulla carta, è il nome del grande prato appena sotto l’alta e precipite vetta del Corrasi (ai piedi della quale c’è Oliena). Ma intanto i residenti sostengono che il nome non indica il prato ma fa tutt’uno con la vicina parte cacuminale della montagna, ossia con quell’area molto accidentata culminante nelle varie vette “cornute”.
Fatti tutti i conti, però, occorre vedere in Giuglìa un radicale diverso rispetto a quello di Julìana; e nel mentre che sono conscio della piacevol ricostruzione qui fatta per Giuglìa, in realtà il toponimo non è altro che una forma sardiana con base nel sumero ḫulu ‘ruination’ + suff. territoriale sardiano in -ìa, ed indica proprio l’asprezza della parte cacuminale di questa montagna “sfrangiata”.
LESITÁNI.
Pittau fa gravitare questa antica tribù attorno a Lesa
(attuali Terme di S.Saturnino). È probabile che anche il Nuraghe
Losa
abbia preso il nome da Lesa
e dai Lesitani (5).
LACONÍTI
dicesi di un popolo stanziato attorno a Laconi
in epoca romana. Il toponimo Laconitzi
(Villagrande) sembra raccordarsi con Laconi,
significando letteralmente ‘la cisterna della sorgente’, da akk.
lakku
‘vasca’ + aram. itza
‘sorgente’, Il composto subì l’inserzione della -n-
eufonica.
SARDÀNA,
SHARDÀNA, ŠARDÀNA.
A questo etnico calza male l’etimo proposto dal Semerano,
dall’akk. šarru
‘re, gran re’ + dannu
‘potente’ = ‘Signore potente’. É incontrovertibile che
questo etnico sia stato, a dispetto degli increduli, uno dei più
famosi dell’antichità preromana. Il suo primo membro (šar-)
ha parecchi etimi cui attingere per una traduzione valida. Oltre a
quello del Semerano, abbiamo šar
= ‘3600’ (indicato come numero indefinito, idea d’immensità);
sarru
‘falso, criminale; ribelle’; bab. ṣar
in ṣar
maḫaṣu
‘colpire brutalmente, duramente’; šarāru(m)
‘andare in testa (nelle battaglie); incoraggiare’.
Per
tutto quanto sappiamo attraverso i testi ugaritici ed egizi, uno
qualunque dei termini mesopotamici addotti calza perfettamente alla
fama che questo Popolo
del Mare
si è conquistata. Gli Shardana,
come sappiamo, erano infatti, ad un tempo, in numero ‘indefinito’
(vedi testi di Ugarit); erano ‘odiati’ dagli Ugaritici e dal
Faraone; indubbiamente erano ‘ribelli’ e quindi ‘falsi’ o
‘criminali’ agli occhi del Faraone; il re di Ugarit ed il Faraone
concordavano nell’affermare che ‘colpivano brutalmente’
lasciando dietro di loro solo terra bruciata; infine dal Faraone
sappiamo che quei valorosi ‘andavano sempre in testa nelle
battaglie’ in qualità di truppe scelte.
Il
termine Šardana
(ŠRDN),
rinvenuto nella celebre stele di Nora (oltrechè nei testi egizi),
nel mentre che è da tradurre come ‘Sardegna’, è pure l’omofono
del suo etnico (Šardana
= ‘abitante della Sardegna’). La Fuentes-Estanol, per il fenicio,
dà Šrdn
per ‘Sardo’ e Šrdn’
come gentilizio ‘Sardo’ ma anche Šrdny
(possibile pronuncia Šardany),
Šrdnt
‘Sardo’ come nome proprio.
Nei
testi egizi gli Shardana
sono registrati come Šarṭana,
Šarṭenu,
Šarṭina
(EHD
727b). Altre volte nei testi egizi sono indicati proprio come Šarṭana
n p iām ‘gli
Shardana quelli del mare’ (per n
EHD
339a, per p
EHD
229a, per iām
EHD
142b). Wallis Budge li considera provenienti dalla Sardegna. Lo
stesso pensano gli archeologi ed i filologi egiziani, assieme alla
maggioranza degli studiosi di scuola inglese e americana.
Dal
sumerico ricaviamo šar
‘splendido’ + dan
‘puro, limpido’ (šardan),
da tradurre come ‘Gli splendidi’, ‘I purissimi’, ‘Gli
Immortali’ o simili. Peraltro tale etnico non poteva avere altra
spiegazione, visto che gli stessi Sumeri chiamavano la Sardegna
Sardō,
da sar
‘giardino’ + dū
‘tutto quanto’, componibile in sar-dū
‘tutta un giardino’: come tale la Sardegna doveva essere vista
dai popoli abituati alle grame fioriture dei deserti.
SARDUS.
Secondo Pausania, Sardos
libico è l’eponimo dei Sardi di Sardegna. Per l’ascendenza
dobbiamo citare però l’omerica Σάρδεις,
Sárdeis in
Anatolia (Lidia). Il Semerano afferma che la denominazione originaria
di Sardeis
è Sfard,
persiano Saparda,
ebraico Sephārad.
Questo lemma è collegato anche al nome del villaggio sardo Sàrdara.
Pittau
(OPSE
235) propone il parallelo tra l’etnico antico Sardiános
e l’etrusco-toscano Sartiano
(= Sarteano)
nonché Sartiana.
Indubbiamente Pittau su basi linguistiche fa intendere ciò che
peraltro già sappiamo, grazie a lui stesso, ossia che una parte dei
Sardiani,
una volta trasferitisi in Etruria, non poterono fare a meno di
lasciare, in qualche villaggio, il proprio nome d’origine, così
come fecero in Corsica, dove lasciarono il toponimo Sartène.Ma su Sardus possiamo accampare pure qualche base sumero-semitica.
Le agglutinazioni sumeriche šar-du si prestano purtroppo a traduzioni collocabili ciascuna in un diverso campo semantico: quale šar ‘designazione della vacca’ + du ‘ammucchiare’ (come dire ‘quelli che allevano tante vacche’); oppure šar ‘scannare’ + du ‘dilagare’ (come dire ‘coloro che invadono e scannano’); oppure šar ‘essere perfetto, rendere splendido’ + du ‘suonare’ (come dire ‘splendidi musicisti’); a quest’ultimo proposito ricordo che sardium nell’antico assiro e ‘un canto di benedizione’.
Anche in accadico abbiamo più di una occorrenza. Prima occorrenza: abbiamo visto che sardium in antico assiro e ‘un canto di benedizione’, ed ha evidenti rapporti col sacro. Seconda occorrenza: si è sempre parlato della sardìna come pesce relativo alla Sardinia (e su ciò non c’è obiezione) ma nessuno ha mai messo in relazione quest’ittionimo con l’antico assiro sardum ‘impacchettato, appesantito’, segno evidente che proprio quel pesce era soggetto già da allora ad essere conservato sotto sale in ceste di legno o di asfodelo, e che dunque l’attuale sardìna deriva l’etimo dal concetto accadico di “impacchettamento”. Terza occorrenza: Sardus e Sardinia possono avere la stessa base linguistica del lemma Šardana (vedi), da akk. šarru ‘re’ + dannu ‘potente’ (OCE 591). Non possiamo dimenticare che la radice Sard- era nota ed usata un po’ in tutto il Vicino Oriente. L’ultimo nome noto è Sarduri II re di Urartu, capo di una coalizione di regni neo-ittiti che perse la guerra di fronte al re-usurpatore assiro Tiglat-phalasar (744-727). Anche gli Ebrei conoscevano la radice citata. L’ebreo Sèred סֶרֶד (Gn 46,14 e altri passi biblici) era uno dei tanti che si trasferirono da Israele in Egitto.
Come si vede, c’è una pletora di occorrenze delle quali soltanto una sarà attendibile; o può esserlo a un tempo più di una. Ma, occorrono dei “distinguo”. L’affermazione di Pausania che Sardus libico è l’eponimo dei Sardi, aiuta a mettere in relazione Sardus-Sardi ma non porta acqua all’approfondimento della ricerca etimologica. Parimenti, non aiuta a trovare l’etimologia il sapere che i Sardi possono derivare il proprio etnico dalla citta lidia Sardeis. Peraltro, le due attestazioni storiche sembrano escludersi a vicenda.
Con l’accadico e le lingue del Vicino Oriente poniamo invece una base linguistica di maggiore solidità, anzi quattro basi su cui argomentare, ma le quattro basi a loro volta non possono non partire dalla celebre attestazione della Stele di Nora, dove si legge lo storicissimo e incontrovertibile vocabolo Šardana (da intendere come isola e quindi come nome d’origine).
La Sardegna è stata l’unica regione dove si estraevano pro di giose quantità di sale. Che ne facevano, i Sardi, di tanto sale, se non lo usavano nemmeno a conservare le sardine che da loro presero il nome? Altro che, se lo usavano! Chiaramente, sardina è collegata al lemma acca dico sardum. Quanto a Sardus, che esso sia almeno da 3000 anni l’etnico dell’uomo sardo, è anch’esso incontrovertibile. E pure qui ci ritroviamo tra le mani un termine accadico: non si può infatti respingere la forza dell’evidenza, che cioè tutti i termini riferiti alla Sardinia ed a Sardus hanno la base accadica. È da mettere nel conto pure l’apporto di sardium in quanto ‘canto di benedizione’, sul quale non c’è altro da argomentare se non che, evidentemente, questo modo di salmeggiare era tipico dei sacerdo ti dell’isola di Sardinia, e che furono proprio gli Šardana a farlo conoscere nel Mediterraneo.
Ma come la mettiamo, infine, con šarru-dannu = ‘re po ten te’, proposto dal Semerano? Che valore gli diamo? È veramente l’etimo degli Šardana? Forse sì. Può darsi infatti che gli Egizi, i quali per primi usarono questo etnico, accettassero proprio tale significato accadico, intendendo quindi Šarṭana nel senso di ‘guerrieri illustri, re potenti’. Peraltro fu un uso mediterraneo quello di catalogare i popoli erranti e guerrieri nella categoria logica suprema, quella riservata ai Re. Gli Hyksos furono tra quelli, furono i ‘Re pastori’(6), così come lo furono pure tutti i grandi proprietari di greggi che colonizzarono le montagne della Sardegna, i quali lasciarono il loro appellativo nei toponimi in Rì, -Rì: vedi per tutti Arcu ‘e Rì (Arquerì) che ha la base nell’akk. (w)arḫu ‘passo, valico transitabile’ (v. urḫu ‘way, path’) + ebr. rē’û = ‘pastore’, ed anche ‘re pastore’ (come dire: patriarca, padrone di mandrie).
Non si può però chiudere l’argomento di šarru-dannu senza dire qualcosa pure sul termine ebraico Dan. Ma a proposito rimando al lemma Šardana.
SASSU.
Questo cognome manca nel Wagner ma c’è nel codice di S.Pietro di
Sorres e nel CDS II 58/2, 60/1. Ciò è segno di alta antichità.
Pittau (CDS)
lo fa derivare dal sardo sassu
‘sabbione’ < lat. saxum.
In realtà deriva dal bab. sassu
‘base, pavimento’. Va in ogni modo ricordato che Šašu
erano chiamati nel Nuovo Regno egizio i nomadi del Sinai (1540-1070
a.e.v.), onde forse è da qui che deriva il cgn. sardo Sassu.
In tal caso, avremmo una ulteriore prova, per via indiretta, del
"ritorno degli Shardana" in terra sarda. Infatti la teoria
che gli Shardana d'Egitto si fossero almeno mischiati agli Hyksos,
prima che questi rifluissero verso il Sinai, ha parecchi sostenitori.
Vedi al lemma Hyksōs.
TIRRENI.
Per gli antichi Greci i Τυρςηνοί provengono dalle alture
dell’Athos, le quali figurarono da loro occupate. Secondo Erodoto
(I, 7; I, 94) Tyrsenos,
figlio di Atys, avrebbe guidato i Lidi in Italia e avrebbe dato nome
ai Tirreni.
Ma c’è pure la terza citazione, quella di Strabone (V, 2,7),
secondo cui, arrivando in Sardegna, gli Joléi, si mischiarono con
gli abitanti delle montagne che si chiamavano Tυρρηνοί.
Secondo Ellanico, i Pelasgi sono stati designati col nome Tυρσηνοί
dopo il loro arrivo in Italia. Le quattro attestazioni, a ben vedere,
non si contraddicono ma vanno interpretate.
Anzitutto,
il popolo etrusco, da qualcuno chiamato Tirreno,
non gradì mai quell’appellativo, pago del più antico rāš-,
di Rasenna,
da accadico rēšu
‘head, top quality’,
cananeo rāš,
ebraico rōš
‘capo, principe, leader’ + akk. enu
‘lord’, col significato di ‘signore-principe’. Tirreni,
da altri interpretati “erranti”, è più consono ai Tirreni
della Sardegna (vedi Strabone), perché in tal caso l’appellativo
sarebbe semanticamente identico a quello di Diaghesbeís
(= *Transhumantes),
come in seguito i montanari sardi furono chiamati.
L’appellativo
Tyrrèni
può essere spiegato in verità come un composto creato sulla base
dell’aramaico tur
‘monte’ + accadico-sumerico enu
‘lord’ e si riferisce a Tiro,
la quale stava sopra un alto scoglio. Il sardiano Tur-enu
(poi lat. Tyrrenus)
significò quindi, letteralmente, ‘signore di Tiro’, ‘dominatore,
abitante di Tiro’. È quindi chiaro che i Tyrr-eni
non erano altro che i Tyr-i,
gli abitanti di Tiro,
ossia erano i Šardano-Fenici che ritornavano ad abitare o
frequentare la madrepatria, la Sardegna, dopo l’epopea dei Sea
Peoples.
In
ogni modo, non possiamo omettere di citare il Tirreno
proveniente dalla Lidia. Secondo il confluire di fonti quali Dionigi
d’Alicarnasso 1,27, Erodoto I, 7; I, 94, Nicola Damasceno FGrH
90, 15, Gige nonno di Atys, prima d’inaugurare la lista dei re
lidii in Sardi, fu tiranno a Tύρρα. È da qui che si giustifica
il nome di Tyrrhenos
figlio di Atys, che letteralmente significò ‘Signore, dominatore
di Tyrrha’ (nome di nostalgia). È pure da qui che deriva il
cognome sardo Turra.
Non va quindi sottovalutata l’importanza della citazione di Erodoto
e degli altri autori. Quel Tirreno
proveniente dalla Lidia avente lo stesso nome dei nostri Tirreni,
crea confusione. Ma secondo il mio modo d’intendere, il concorrere
del nome lidio-accadico Tirreno
inteso come ‘Signore, dominatore di Tyrrha’ è una
conconcomitanza fortuita che non inficia il fatto che i Tirreni
che diedero il nome al Mare Tirreno
furono gli Shardana-Fenici tornati da Tiro.
UDDADHADDAR.
Quest etnico fu letto in agro di Cuglieri su una iscrizione
confinaria latina recante la seguente frase: TERMINUS
QUINTUS UDDADHADDAR NUMISIARUM,
che può essere tradotto di primo acchitto come segue: Quinto
cippo terminale degli Uddadhaddar delle Numisie.
La frase, da me verificata presso il Museo di Cagliari, è scritta in
un latino pulito, ma resta da chiarire anzitutto il significato di
Uddadhaddar.
Anzitutto
va precisato che il terminus
quintus
è un cippo di delimitazione territoriale: il ‘quinto cippo’.
Forse ce ne furono degli altri. Nei tempi andati le delimitazioni
territoriali avvenivano in tale modo, legalmente riconosciuto, in uso
anche presso i Sumeri ed i Babilonesi. Ancora oggi nei villaggi sardi
ci sono degli esperti in grado di individuare tutti i cippi di
confine. Evidentemente, ci fu un preciso accordo giuridico affinchè
gli Uddadhaddar
avessero un territorio di pertinenza.
Il
lemma Uddadhaddar
ha il suffisso tipicamente sumerico (-dr
in sumerico è una semplice consonante finale sostituente spesso la
-d,
e al tempo dei Romani fu letta evidentemente come -dar).
Per Uddadhaddar
l’unica base valida è la lingua sumera, dove abbiamo u-dada-dar
(u
‘pastore, pecoraio’ + dada
‘ostile’ + dar
‘disperdere’ (of crowd: break
up),
col significato di ‘pastori ostili dispersi’.
Quanto
a Numisiarum,
espresso col tema latino, se
ci attenessimo al nome della gens
romana di cui i dizionari dànno il maschile Numisius,
sembrerebbe che gli Uddadhaddar
siano appartenuti a un latifondista della gens
Numisia
(come schiavi?).
Ma perché il plurale femminile? Perchè certamente Uddadhaddar,
sentito latinamente come femminile, esprimeva già di per sé un
plurale (i Latini non declinavano mai i nomi semitici). Poiché
l’etnico Uddadhaddar
è sumerico, anche Numisiārum
deve avere la base sumerica, anche perché l’uso del latino nella
parte radicale darebbe seri problemi. Alcuni traducono Numisiarum
‘della Numidia’. Ma è scorretto: ci saremmo aspettati allora
Uddadhaddar
Numidiae
‘U. della Numidia’. Se invece si dovevano citare delle donne
nùmide,
ci saremmo aspettati U.
Numidārum.
Se poi sostituiamo il lemma con una parola greca, questa deriverebbe
soltanto da νομεύω ‘fare il pastore, pascolar le greggi’,
νομή ‘luogo del pascolo’, νομῆες ‘pastori’, da cui
νομάς - νομάδος ‘nomade, che erra per mutare pascolo’:
ma questi termini greci hanno basi semitiche, da akk. numītu
‘pasturage’, numû
‘wasteland’, sum. numun
‘erba’, numun
‘moltiplicare’. Eccoci dunque alla traduzione giusta.
Aggiungendo
al sintagma u-dada-dar
il composto sumero-accadico in stato costrutto numi-
+ šiyû
‘forza’, siyû
‘a plant’ (Numi-si-ārum),
abbiamo il significato di ‘pastori ostili dispersi tra i pascoli’.
Si vede che a questa gente fu negata l’opportunità di risiedere
entro la città di Cornus e che essa fu relegata a un destino
pastorale, quale tributaria del commercio cornense.
Esplicando
il sintagma sintetico TERMINUS
QUINTUS UDDADHADDAR NUMISIARUM,
abbiamo quindi: “Quinto cippo dei pastori ostili dispersi nei
pascoli (del vicino Montiferru)’. È facile immaginare cosa era
successo in quel periodo. Gli U
(pastori)
erano dada
(ostili:
alla città punico-romana di Cornus; la assalivano con le bardàne,
ossia con cavalcate guerrigliere). Per tale ragione furono dispersi
dalla truppa romana e costretti a vivere sul Montiferru selvaggio,
con reciproche garanzie confinarie.
Legenda:
Ho preso - senza modificarlo - l'articolo di Salvatore Dedola dal suo sito (www.linguasarda.com), salvo l'aggiunta dei seguenti codici colore:
In rosso : nome di glottologo o linguista
in azzurro : lingua ipotizzata come origine di parole sarde
sottolineato : panzana evidente, a mio vedere.
in grassetto: nome di storico.
1) Laureato in glottologia con tesi in Germanistica. E' stato più volte presidente del Club Alpino Regionale e credo sia - oltre che una persona amabile ed interessante - anche un ottimo naturalista. Ma credo (e spero) si muova molto meglio tra piante e fiori, che tra etimi e cenni di storia.
2) Strabone, geografo greco del la metà del I secolo a.C.: scarsamente attendibile in genere, ma specialmente per le questioni riguardanti questo argomento, che rimanda a duemila anni prima.
3) L'autore sembra non conoscere il nome dei Trulli, né la loro origine cronologicamente molto più recente (sono di epoca moderna), che li esclude da qualsiasi confronto etimologico formale con vocaboli appartenenti alle lingue antiche.
4) In realtà, il mito racconta che Nesso ingannò Deianira, dicendole trattarsi di un filtro d'amore per riconquistare Ercole, che ella temeva di perdere.
5) Il nuraghe Losa prese il nome dal vocabolo 'losa', che significa lapide, lastra di pietra (in sardo, come in spagnolo e persino in italiano) per via delle numerose sepolture rinvenute sul posto.
6) M. Bernal descrive invece tutta un'altra etimologia (Black Athena), più convincente: in particolare cita il noto gioco di parole (presente anche nelle 'Supplici' di Eschilo) tra hikes(ios) e Hyksos.