sabato 7 settembre 2013

La Misinformazione Sarda


 SEZIONE POPOLI DELLA SARDEGNA

di Salvatore Dedola (1).

Oltre all’etimologia dei nomi dei popoli noti, inserisco nell’elenco le etimologie relative a quattro cognomi (Arbéri, Bárbaru, Barbéri, Barbòne) che a mio giudizio sono degli arcaici appellativi utilizzati per indicare il popolo dei Barbaricini. Inserisco inoltre il cognome Sassu, anch’esso indicante un etnico.


ALCHITANI, Alkitani etnico. Secondo Pittau (OPSE 79) gli Alkitani erano gli antichi abitanti dell’attuale S.Nicolò Arcidano, e stavano nel territorio che arrivava sino alle pendici del Monte Arci (donde il nome dallo stesso Monte). É possibile, anzi diamo per certo che il territorio fosse questo. Ma intanto va detto che il Monte Arci ha un diverso etimo (vedi). L’etnico Alkitani trae invece trae l’etimologia dal babilonese alku ‘regione lungo una riva’, cui s’aggiunse il tema etnico latineggiante -tani. Si chiamavano Alkitani perchè stavano anzitutto lungo la ‘riva’ del rio Mogoro, che oggi fa semplicemente sorridere ma sino a un secolo fa incuteva terrore per le catastrofiche piene improvvise. La bonifica della Piana di Terralba-Arborea partì anzitutto dall’imbrigliamento del torrente con una diga. Tre-quattromila anni fa il villaggio doveva ancora trovarsi, a un dipresso, presso le rive boscose di una specie di “fiordo”, che vogliamo così chiamare per comodità, ma era più che altro la valle incassata del rio Mogoro, la quale all’altezza del villaggio era quasi sulle rive del Golfo di Oristano, per il fatto che il mare entrava ancora profondamente nella pianura; oppure, che è lo stesso, era il torrente che con le sue alte bancate dava il nome di Alku alla regione. Il “fiordo” poi (o le bancate del rio), proprio in virtù delle piene del torrente, fu gradualmente riempito dagli apporti alluvionali, ed oggi possiamo notare soltanto un mare impantanato, il quale altro non è che la laguna di Marceddì, che oggidì si è peraltro ritirata, e sta relativamente lontana dal villaggio.


ARBÉRI cognome che Pittau crede equivalente a (b)arbéri 'barbiere' < cat. barber (Wagner). La sua proposta è inaccettabile. La base etimologica del cognome è antichissima e si riferisce agli abitanti delle aree montagnose e incolte, quelli noti come (B)arbaricini. Un tempo (2000 anni fa) quelli che furono pure noti come Ilienses ed ancora prima come Jolaenses erano chiamati propriamente, da quelli delle pianure, Arbéris, Arbérus, con la base accadica arbu(m), warbum 'incolto, selvatico', ḫarbu(m) 'territorio abbandonato, deserto, ossia non adatto alle coltivazioni' + suff. sardiano -ri, -ru.


BARBARICÍNI. È un composto sardiano con base nell’akk. arbu ‘(montagna) aspra, incolta’ + rīqu(m) ‘libero’ + akk. enu ‘signore, lord’ (stato costrutto arba-rīq-enu > [b]arbarikinu > barbaricínu). Il significato sintetico è ‘libero signore delle montagne’. È noto infatti che i Romani ebbero pieno uso soltanto dei territori di pianura o collinari, ma non di quelli pertinenti agli Ilienses, costituenti l’asse montuoso centro-orientale della Sardegna.
Altro possibile etimo per Barbaricini è arbu ‘(montagne) aspre, incolte’ + aria ‘vuoto’ + kīnu ‘legittimo’ (stato costrutto arb-ari-kīnu), col significato di ‘legittimi (sott. abitatori) del territorio vuoto e incolto’.


BÀRBARU. Per capire questo cognome occorre prendere in considerazione primamente il cognome Barbàrja, Barbària, il quale a sua volta è una variante fonosemantica del coronimo Barbàgia < *Arba-ria ‘territorio incolto (quindi adatto alle greggi)’, da bab. arbu ‘waste, uncultivated’. Ma occorre pure fare i conti con l’etnico Barbaricìno, il quale è un composto sardiano con base nell’accad. arbu ‘(montagna) aspra, incolta’ + rīqu(m) ‘libero’ + suff. sardiano -ínu, col significato sintetico di ‘(uomo) libero che abita sulle montagne’.
Bàrbaru è, con tutta evidenza, un cognome-aggettivale sorto nel medioevo per influsso latino, considerato che furono gli occupanti Romani a interpretare come ‘luogo dei barbari’ l’Arbària, che essi chiamarono per paronomasia Barbària (in sardo Barbàgia). Peraltro a questo cognome i Romani non dettero un significato spregiativo, anche perché presso di loro esisteva lo stesso cognomen Barbarus.


BARBÉRI cognome che Pittau interpreta come ‘barbiere’, derivato dal cat. barber. Egli cita fra l’altro il cognome Barberij citato nel 1410 nel CDS II 45. Ma è proprio questa citazione a non lasciare scampo, essendo impossibile che a circa 80 anni dall’invasione la Sardegna avesse già recepito nella propria onomastica dei cognomi catalani. L’etimologia è assai diversa. Barbéri è una variante fonica e semantica di Arbéri, ed entrambi sono varianti foniche di Bàrbaru (vedi), a sua volta semplificazione di Barbaricínu.


BARBÒNE, Barbòni cognome che Pittau crede accrescitivo e peggiorativo del cgn it. Barba; alternativamente lo crede un cognome propriamente italiano. Ma sbaglia.
Barbòne, -i non è altro che una variante fonosemantica dell’etnico Bàrbaru (vedi), a sua volta semplificazione di Barbaricínu.


CAMPITÁNI popolo che il Pittau suppone esistente in Sardegna in epoca romana, dal quale egli riesce a derivare il medievale Campitanu, onde il nome Campidanu attribuito alla nota pianura sarda. Non sono d’accordo sull’impostazione della questione. Se ammettiamo l’esistenza dei Campitani, il nome può essere spiegato attraverso il lemma Idánu. Poiché Campidanu era il territorio che dai bordi orientali della pianura di Cagliari s'espande ad est attraverso le montagne ed i litorali rocciosi (per intenderci, sin oltre Burcei e sino alle lontane balze costiere di Maracalagonis), non è valida l’origine da campu come ‘pianura’, almeno non come ‘pianura’ degna di questo nome. Peraltro va notato un altro toponimo che avvalora la nostra impostazione, ed è Capitana, località tutta poggi e colline, annicchiata tra le montagne di Maracalagonis, che declina sul litorale con suoli aspramente movimentati, attualmente vocati alla pastorizia, mai ai cereali o agli ortaggi. Attualmente i bagnanti conoscono Capitana per le villette che declinano sul mare, e le attribuiscono l’etimologia popolare di ‘capitano’, ma decenni addietro quel territorio era una classica énclave vocata alla viticoltura. Onde anch’essa va ricondotta a un originario Campu Idanu ‘territorio a vigneti’, da sardo ide ‘vite’.


CARÉNSIOI, Karénsioi è uno degli etnici connotanti uno dei popoli dell’antica Sardegna. Pittau OPSE 116 propone il parallelo col nome dell’antica Karia (regione dell’Asia Minore), in virtù della sua ipotesi dell’arrivo dei Sardi dalla Lidia. Ma il fatto che la Sardegna sia letteralmente pervasa dall’antica lingua accadica suggerisce di cercare in essa il significato del termine. Karènsioi infatti è soltanto un morfema antico-greco, ma la radice del nome è accadica, da kāru(m) ‘quay, port, quay-bank; port on river, on sea’. In antico assiro significò pure ‘colonia commerciale’: proprio così. Non è la prima volta che scopriamo, nel significato dei vari etnici sardi, la vera vocazione del popolo così denominato.
Ebbene, Karénsioi significa ‘navigatori’, propriamente ‘marinai, gente che gestisce porti e moli’. Fu proprio su questa radice nominale che gli accadici forgiarono parecchi termini, quali ‘supervisore del porto’, ‘caserma dei gabellieri’, ‘prezzo corrente’, ‘negozio’. Quindi pare di capire che questo etnico ci presenti uno spaccato interessantissimo dell’attività dei Sardi d’età pre-fenicia.


DIAGHESBEÍS antica popolazione sarda che fonti romane fanno individuare in territorio dell’odierna Posada. «Alcuni la identificano con gli Ilienses-Iolei-Troes di Mulargia-Alà dei Sardi. Aveva vicino gli Esaronenses o Aisaronenses e i Falisci» (Di.Sto.Sa. 525). Strabone (V, 2, 7) scrive testualmente, a riguardo della Sardegna, che «alla bontà dei luoghi fa riscontro una grande insalubrità: infatti l’isola è malsana d’estate, soprattutto nelle regioni più fertili. Inoltre queste stesse regioni sono continuamente saccheggiate dagli abitanti delle montagne che si chiamano Diaghesbéi (Διαγησβεῖς), mentre una volta erano chiamati Iolei».
Vale la pena di dare peso all’affermazione di Strabone (2), e se proprio vogliamo dare un senso al nome di questo popolo, che Strabone precisa essere quello che abita sulle montagne, non può essere altro che il popolo altrimenti noto come Barbaricino (vedi). Non basta tale individuazione. I Barbaricini con questo appellativo di Diaghesbéis sono stati identificati come popolo errante, anzi transumante. Infatti tale etnico può avere un senso soltanto se lo traduciamo col gr. dià-ghes-baíno ‘*trans-humo’, ‘vado errando di terra in terra’. Questo appellativo indica la caratteristica più importante dei Barbaricini, eterni pastori transumanti dalla montagna al piano e dal piano alla montagna.


ESARONÉSI. Tolomeo (III, 3,6) pone gli Aι̉σαρωνήσιοι nella lista dei 18 popoli che vivono in Sardegna. Il loro nome potrebbe derivare da akk. ašru(m) ‘regione’ + nēšū , nīšū ‘genti, popoli’, secondo il Semerano. Secondo Pittau (OPSE 179) occorre riferirsi al vocabolo etrusco aiser, che significa ‘déi’. Secondo lui, pertanto, l’etnico potrebbe significare ‘Religiosi, Pii’.
In realtà l’etnico greco, se scomposto bene nelle due componenti (Αἰσαρω-νήσιοι) significa, per la seconda parte, ‘isolani (νήσιοι). La prima parte, che in Teocrito indica un fiume italiano, Aἶσαρος (ed a seguirne le lusinghe andremmo lontani), è invece da accadico ešēru(m) che significa ‘fortunato, di successo (per i raccolti, i terreni, gli allevamenti, la riproduzione umana)’. Quindi Aἶσαρονήσιοι significa ‘isolani fortunati’, ‘(quelli dell’)isola fortunata’. E con ciò siamo perfettamente in linea con quanto favoleggiavano gli antichi sulla Sardegna. A ben vedere, la prima parte del composto è semanticamente vicina al lemma etrusco individuato dal Pittau.


HYPSITÁNI antichi abitatori dell’agglomerato poi chiamato Forum Traiani (oggi Fordongianus, provincia di Oristano). Le celebri acque calde, sulle quali i romani edificarono le bellissime terme ancora in piedi, furono chiamate da Tolomeo Aquae Hypsitanae. Quest'idronimo a prima vista sembra avere la base nel greco ‘ύψος 'sommità, altura, altezza', e con ciò dovremmo supporre che derivi dal fatto che in questa zona di confine i residenti erano tutti della stessa stirpe, a contatto diretto con i pastori che da quel punto in poi, al di là del limes, erano 'montanari'. In realtà la base etimologica è l’akk. ḫuppu(m) ‘buca, fossa, cratere’, ‘un genere di catino’ + ṣitu(m) ‘sorgente’.


KARÉNSIOI < akk. kārum ‘porto, molo’ (significa quindi ‘marinai, navigatori’). Vedi Carénsioi.


KORAKÉNSIOI «antica popolazione sarda che fonti romane fanno individuare in territorio degli odierni comuni di Ittiri e Villanova Monteleone. Dava o prendeva il nome dall’abitato scomparso di Coriaso» (Di.Sto.Sa. 465).
È un azzardo proporre un etimo per questo etnico. Ma è necessario. Occorre partire, a mio avviso, dal fatto che in Sardegna ci sono alcune sub-regioni caratterizzate dal fatto che le capanne, anziché essere costruite metà in pietra e metà in frasche, sono fatte integralmente in pietra, per intenderci, somigliano alle capanne pugliesi di Alberobello (3), le quali viste da fuori sembrano un forno, una fornace.
Potremmo quindi tentare di proporre questo etimo assumendo la caratteristica delle capanne che un tempo venivano costruite nella fascia di territorio che va da Bonnannaro-Borutta sino a Romana, molte delle quali ancora sopravvivono. La base etimologica è l’akk. kūru(m) ‘forno, fornace’ + kinšu ‘casa a base rotonda’.


ILIENSES (vedi Jolaenses).


JOLAENSES. Va fatta un po’ di chiarezza sulla commistione Il-/Iol- sempre esistita nella storia toponimica sarda. Dobbiamo anzitutto affermare che queste due radici sono nettamente distinte, e che i Romani avevano ragione a parlare di Il-ienses quando identificavano la maggiore tribù dei montanari sardi. I Romani sicuramente sapevano del termine Jol-a-enses, ma lasciavano che a gestirsi un tale lemma fossero i Greci. Conosciamo ormai tutto della tecnica paronomastica greca e della loro indefettibile capacità di riplasmare ogni toponimo sardo a proprio uso e consumo.
Nell’antichità greca la radice (v)iol- (che indica la ‘viola’) diede forma a nomi illustri, come quello di Jole (femminile di Jòlao) che nella mitologia gre ca era attribuito alla figlia del re Eurito. Di essa s’innamorò Eracle il qua le, adirato contro il re che gliela rifiutava, lo uccise e ne distrusse il re gno, portandola via. Deianìra, moglie gelosa dell’Eroe, si vendicò (4) facendo indossare ad Ercole la camicia stregata donatale dal centauro Nesso. Ercole impazzì e si getto sul rogo. Pausania (II sec. e.v.) riporta un po’ ampia men te una tradizione secolare, secondo cui l’ateniese ’Ιόλαος, nipote di Eracle (Ercole), condusse a colonizzare la Sardegna 48 dei 50 figli avuti da Ercole con le figlie di Tespio. Accompagnati da altri Ateniesi, i Tespiesi sospin sero con le armi gli aborigeni e occuparono le pianure più fertili, fondando alcune città (X, 17, I). Altri storici, ad iniziare da Diodoro Siculo che scrive due secoli prima, citano un ’Iολαεῖον riferito alla migliore pianura sarda.
Ma qui la questione si complica davvero, perché in Sardegna le pianure e gli altri siti ancora oggi imparentati con questo nome sono parecchie decine. Va affermata intanto la parentela tra Jòlao e Iólia/Ólia (pronunciata Olla o [Parti]Olla ma anche Dólia [Dolia-Nova] per evidente fusione del coronimo col segnacaso de). S’imparenta il boscosissimo e selvaggio monte Olìa presso Monti, che non a caso segnava il confine tra l’antica Barbagia e la Gallura (esso non può, per ovvie ragioni geografico-ambientali, riferirsi all’olivo o all’olivastro, di cui manca traccia). Sembra ugualmente corretto imparentarvi i numerosi toponimi del tipo Olái (< Jola-i): si noti che l’ugaritico Ilu (Dio), derivando dal verbo ’alāh ‘ascendere, salire verso l’alto’, ha il suo participio proprio in ‘olāh ‘offerta’ (Baldacci).
È parimenti facile imparentarvi la piccola pianura d’Ilùne [Cala Luna], che crea pure una spiaggia e dunque un antico approdo. Il suo nome deriva dal fenicio Ilu ‘Dio’, con l’aggiunta del suffisso sardiano -ne, ed è dunque imparentato strettamente col nome della Perda Iliàna.
Semerano fa derivare il nome Jolao dal semitico Ilāh. Se una colonizzazione avvenne a suo tempo nelle pianure sarde (e successivamente nelle montagne), non la dobbiamo agli Eraclidi d'origine greca ma agli Eraclidi (Melkartidi) d'origine cananea. In questo caso, si capisce meglio la commistione Il-/Iol- (forma semitica e forma greca) e restano salvi i numerosi toponimi "joléi" della Sardegna nonchè la loro autenticità più antica, per nulla appannata dalla sovrapposizione del mito greco. Con tutta evidenza, il mito di Jolao fu rivivificato dai monaci bizantini “in salsa greca”, ed essi tramandarono sino ad oggi pressoché intatte tutte le forme in Jol-.
Tornando alle parentele, è impossibile non imparentare con la radice Jol- il nome dell’ex città (ora villaggio) di Ollolai, che sino al 6° secolo e.v. era stata la capitale dei Barbaricini (gli Jolaenses o Ilienses), sede dell’eroico re Ospitone che subì le imposizioni conversorie di papa Gregorio Magno (in realtà capitolando manu militari ad opera del braccio armato, il bizantino Zabarda: vedi GMS). Ollolai fin dal 1341 è stato scritto Allela, Allala, Ollala, ma è facile scorgere in Ollolai/Allala una iterazione rafforzativa, quasi sacrale, del nome (J)olái = ‘città di Jòlao. È infine corretto imparentarvi Olièna, dai residenti pronunciato Olìana/Ulìana (da [J]ulìana) e nientaffatto riferibile agli ulivi.
Sembrerebbe, a tutta prima, ovvio includervi il toponimo Giùlia/Giulìa/Giuglìa, che sembra richiamare il latino Jūlĭa, femminile di Jūlĭus (Giulio Cesare pretendeva di discendere direttamente da Jūlus figlio di Enea). Grazie all’equivalenza delle radici indoeuropee e romanze Iu-/Io-, Diu-/Dio-, Giu-/Gio-, scaturirebbe in tal caso l’identità radicale tra Jòlao e Giùlia ed anche Jūlus, col che si darebbe man forte alla tesi che gli Jolaenses (gli attuali Barbaricini) non fossero altri che i discendenti di Jūlus-Jòlao, mitico fondatore della stirpe sarda (o uno di essi). Giuglìa è un sito nel cuore del regno degli antichi Iolaenses/Ilienses: sulla carta, è il nome del grande prato appena sotto l’alta e precipite vetta del Corrasi (ai piedi della quale c’è Oliena). Ma intanto i residenti sostengono che il nome non indica il prato ma fa tutt’uno con la vicina parte cacuminale della montagna, ossia con quell’area molto accidentata culminante nelle varie vette “cornute”.
Fatti tutti i conti, però, occorre vedere in Giuglìa un radicale diverso rispetto a quello di Julìana; e nel mentre che sono conscio della piacevol ricostruzione qui fatta per Giuglìa, in realtà il toponimo non è altro che una forma sardiana con base nel sumero ḫulu ‘ruination’ + suff. territoriale sardiano in -ìa, ed indica proprio l’asprezza della parte cacuminale di questa montagna “sfrangiata”.


LESITÁNI. Pittau fa gravitare questa antica tribù attorno a Lesa (attuali Terme di S.Saturnino). È probabile che anche il Nuraghe Losa abbia preso il nome da Lesa e dai Lesitani (5).  


LACONÍTI dicesi di un popolo stanziato attorno a Laconi in epoca romana. Il toponimo Laconitzi (Villagrande) sembra raccordarsi con Laconi, significando letteralmente ‘la cisterna della sorgente’, da akk. lakku ‘vasca’ + aram. itza ‘sorgente’, Il composto subì l’inserzione della -n- eufonica.


SARDÀNA, SHARDÀNA, ŠARDÀNA. A questo etnico calza male l’etimo proposto dal Semerano, dall’akk. šarru ‘re, gran re’ + dannupotente’ = ‘Signore potente’. É incontrovertibile che questo etnico sia stato, a dispetto degli increduli, uno dei più famosi dell’antichità preromana. Il suo primo membro (šar-) ha parecchi etimi cui attingere per una traduzione valida. Oltre a quello del Semerano, abbiamo šar = ‘3600’ (indicato come numero indefinito, idea d’immensità); sarru ‘falso, criminale; ribelle’; bab. ṣar in ṣar maḫaṣu ‘colpire brutalmente, duramente’; šarāru(m) ‘andare in testa (nelle battaglie); incoraggiare’.
Per tutto quanto sappiamo attraverso i testi ugaritici ed egizi, uno qualunque dei termini mesopotamici addotti calza perfettamente alla fama che questo Popolo del Mare si è conquistata. Gli Shardana, come sappiamo, erano infatti, ad un tempo, in numero ‘indefinito’ (vedi testi di Ugarit); erano ‘odiati’ dagli Ugaritici e dal Faraone; indubbiamente erano ‘ribelli’ e quindi ‘falsi’ o ‘criminali’ agli occhi del Faraone; il re di Ugarit ed il Faraone concordavano nell’affermare che ‘colpivano brutalmente’ lasciando dietro di loro solo terra bruciata; infine dal Faraone sappiamo che quei valorosi ‘andavano sempre in testa nelle battaglie’ in qualità di truppe scelte.
Il termine Šardana (ŠRDN), rinvenuto nella celebre stele di Nora (oltrechè nei testi egizi), nel mentre che è da tradurre come ‘Sardegna’, è pure l’omofono del suo etnico (Šardana = ‘abitante della Sardegna’). La Fuentes-Estanol, per il fenicio, dà Šrdn per ‘Sardo’ e Šrdn’ come gentilizio ‘Sardo’ ma anche Šrdny (possibile pronuncia Šardany), Šrdnt ‘Sardo’ come nome proprio.
Nei testi egizi gli Shardana sono registrati come Šarṭana, Šarṭenu, Šarṭina (EHD 727b). Altre volte nei testi egizi sono indicati proprio come Šarṭana n p iām ‘gli Shardana quelli del mare’ (per n EHD 339a, per p EHD 229a, per iām EHD 142b). Wallis Budge li considera provenienti dalla Sardegna. Lo stesso pensano gli archeologi ed i filologi egiziani, assieme alla maggioranza degli studiosi di scuola inglese e americana.
Dal sumerico ricaviamo šar ‘splendido’ + dan ‘puro, limpido’ (šardan), da tradurre come ‘Gli splendidi’, ‘I purissimi’, ‘Gli Immortali’ o simili. Peraltro tale etnico non poteva avere altra spiegazione, visto che gli stessi Sumeri chiamavano la Sardegna Sardō, da sar ‘giardino’ + ‘tutto quanto’, componibile in sar-dū ‘tutta un giardino’: come tale la Sardegna doveva essere vista dai popoli abituati alle grame fioriture dei deserti.


SARDUS. Secondo Pausania, Sardos libico è l’eponimo dei Sardi di Sardegna. Per l’ascendenza dobbiamo citare però l’omerica Σάρδεις, Sárdeis in Anatolia (Lidia). Il Semerano afferma che la denominazione originaria di Sardeis è Sfard, persiano Saparda, ebraico Sephārad. Questo lemma è collegato anche al nome del villaggio sardo Sàrdara.
Pittau (OPSE 235) propone il parallelo tra l’etnico antico Sardiános e l’etrusco-toscano Sartiano (= Sarteano) nonché Sartiana. Indubbiamente Pittau su basi linguistiche fa intendere ciò che peraltro già sappiamo, grazie a lui stesso, ossia che una parte dei Sardiani, una volta trasferitisi in Etruria, non poterono fare a meno di lasciare, in qualche villaggio, il proprio nome d’origine, così come fecero in Corsica, dove lasciarono il toponimo Sartène.
Ma su Sardus possiamo accampare pure qualche base sumero-semitica.
Le agglutinazioni sumeriche šar-du si prestano purtroppo a traduzioni collocabili ciascuna in un diverso campo semantico: quale šar ‘designazione della vacca’ + du ‘ammucchiare’ (come dire ‘quelli che allevano tante vacche’); oppure šar ‘scannare’ + du ‘dilagare’ (come dire ‘coloro che invadono e scannano’); oppure šar ‘essere perfetto, rendere splendido’ + du ‘suonare’ (come dire ‘splendidi musicisti’); a quest’ultimo proposito ricordo che sardium nell’antico assiro e ‘un canto di benedizione’.
Anche in accadico abbiamo più di una occorrenza. Prima occorrenza: abbiamo visto che sardium in antico assiro e ‘un canto di benedizione’, ed ha evidenti rapporti col sacro. Seconda occorrenza: si è sempre parlato della sardìna come pesce relativo alla Sardinia (e su ciò non c’è obiezione) ma nessuno ha mai messo in relazione quest’ittionimo con l’antico assiro sardum ‘impacchettato, appesantito’, segno evidente che proprio quel pesce era soggetto già da allora ad essere conservato sotto sale in ceste di legno o di asfodelo, e che dunque l’attuale sardìna deriva l’etimo dal concetto accadico di “impacchettamento”. Terza occorrenza: Sardus e Sardinia possono avere la stessa base linguistica del lemma Šardana (vedi), da akk. šarru ‘re’ + dannu ‘potente’ (OCE 591). Non possiamo dimenticare che la radice Sard- era nota ed usata un po’ in tutto il Vicino Oriente. L’ultimo nome noto è Sarduri II re di Urartu, capo di una coalizione di regni neo-ittiti che perse la guerra di fronte al re-usurpatore assiro Tiglat-phalasar (744-727). Anche gli Ebrei conoscevano la radice citata. L’ebreo Sèred סֶרֶד (Gn 46,14 e altri passi biblici) era uno dei tanti che si trasferirono da Israele in Egitto.
Come si vede, c’è una pletora di occorrenze delle quali soltanto una sarà attendibile; o può esserlo a un tempo più di una. Ma, occorrono dei “distinguo”. L’affermazione di Pausania che Sardus libico è l’eponimo dei Sardi, aiuta a mettere in relazione Sardus-Sardi ma non porta acqua all’approfondimento della ricerca etimologica. Parimenti, non aiuta a trovare l’etimologia il sapere che i Sardi possono derivare il proprio etnico dalla citta lidia Sardeis. Peraltro, le due attestazioni storiche sembrano escludersi a vicenda.
Con l’accadico e le lingue del Vicino Oriente poniamo invece una base linguistica di maggiore solidità, anzi quattro basi su cui argomentare, ma le quattro basi a loro volta non possono non partire dalla celebre attestazione della Stele di Nora, dove si legge lo storicissimo e incontrovertibile vocabolo Šardana (da intendere come isola e quindi come nome d’origine).
La Sardegna è stata l’unica regione dove si estraevano pro di giose quantità di sale. Che ne facevano, i Sardi, di tanto sale, se non lo usavano nemmeno a conservare le sardine che da loro presero il nome? Altro che, se lo usavano! Chiaramente, sardina è collegata al lemma acca dico sardum. Quanto a Sardus, che esso sia almeno da 3000 anni l’etnico dell’uomo sardo, è anch’esso incontrovertibile. E pure qui ci ritroviamo tra le mani un termine accadico: non si può infatti respingere la forza dell’evidenza, che cioè tutti i termini riferiti alla Sardinia ed a Sardus hanno la base accadica. È da mettere nel conto pure l’apporto di sardium in quanto ‘canto di benedizione’, sul quale non c’è altro da argomentare se non che, evidentemente, questo modo di salmeggiare era tipico dei sacerdo ti dell’isola di Sardinia, e che furono proprio gli Šardana a farlo conoscere nel Mediterraneo.
Ma come la mettiamo, infine, con šarru-dannu = ‘re po ten te’, proposto dal Semerano? Che valore gli diamo? È veramente l’etimo degli Šardana? Forse sì. Può darsi infatti che gli Egizi, i quali per primi usarono questo etnico, accettassero proprio tale significato accadico, intendendo quindi Šarṭana nel senso di ‘guerrieri illustri, re potenti’. Peraltro fu un uso mediterraneo quello di catalogare i popoli erranti e guerrieri nella categoria logica suprema, quella riservata ai Re. Gli Hyksos furono tra quelli, furono i ‘Re pastori’(6), così come lo furono pure tutti i grandi proprietari di greggi che colonizzarono le montagne della Sardegna, i quali lasciarono il loro appellativo nei toponimi in , -: vedi per tutti Arcu ‘e Rì (Arquerì) che ha la base nell’akk. (w)arḫu ‘passo, valico transitabile’ (v. urḫu ‘way, path’) + ebr. rē’û = ‘pastore’, ed anche ‘re pastore’ (come dire: patriarca, padrone di mandrie).
Non si può però chiudere l’argomento di šarru-dannu senza dire qualcosa pure sul termine ebraico Dan. Ma a proposito rimando al lemma Šardana.


SASSU. Questo cognome manca nel Wagner ma c’è nel codice di S.Pietro di Sorres e nel CDS II 58/2, 60/1. Ciò è segno di alta antichità. Pittau (CDS) lo fa derivare dal sardo sassu ‘sabbione’ < lat. saxum. In realtà deriva dal bab. sassu ‘base, pavimento’. Va in ogni modo ricordato che Šašu erano chiamati nel Nuovo Regno egizio i nomadi del Sinai (1540-1070 a.e.v.), onde forse è da qui che deriva il cgn. sardo Sassu. In tal caso, avremmo una ulteriore prova, per via indiretta, del "ritorno degli Shardana" in terra sarda. Infatti la teoria che gli Shardana d'Egitto si fossero almeno mischiati agli Hyksos, prima che questi rifluissero verso il Sinai, ha parecchi sostenitori. Vedi al lemma Hyksōs.


TIRRENI. Per gli antichi Greci i Τυρςηνοί provengono dalle alture dell’Athos, le quali figurarono da loro occupate. Secondo Erodoto (I, 7; I, 94) Tyrsenos, figlio di Atys, avrebbe guidato i Lidi in Italia e avrebbe dato nome ai Tirreni. Ma c’è pure la terza citazione, quella di Strabone (V, 2,7), secondo cui, arrivando in Sardegna, gli Joléi, si mischiarono con gli abitanti delle montagne che si chiamavano Tυρρηνοί. Secondo Ellanico, i Pelasgi sono stati designati col nome Tυρσηνοί dopo il loro arrivo in Italia. Le quattro attestazioni, a ben vedere, non si contraddicono ma vanno interpretate.
Anzitutto, il popolo etrusco, da qualcuno chiamato Tirreno, non gradì mai quell’appellativo, pago del più antico rāš-, di Rasenna, da accadico rēšu ‘head, top quality’, cananeo rāš, ebraico rōš ‘capo, principe, leader’ + akk. enu ‘lord’, col significato di ‘signore-principe’. Tirreni, da altri interpretati “erranti”, è più consono ai Tirreni della Sardegna (vedi Strabone), perché in tal caso l’appellativo sarebbe semanticamente identico a quello di Diaghesbeís (= *Transhumantes), come in seguito i montanari sardi furono chiamati.
L’appellativo Tyrrèni può essere spiegato in verità come un composto creato sulla base dell’aramaico tur ‘monte’ + accadico-sumerico enu ‘lord’ e si riferisce a Tiro, la quale stava sopra un alto scoglio. Il sardiano Tur-enu (poi lat. Tyrrenus) significò quindi, letteralmente, ‘signore di Tiro’, ‘dominatore, abitante di Tiro’. È quindi chiaro che i Tyrr-eni non erano altro che i Tyr-i, gli abitanti di Tiro, ossia erano i Šardano-Fenici che ritornavano ad abitare o frequentare la madrepatria, la Sardegna, dopo l’epopea dei Sea Peoples.
In ogni modo, non possiamo omettere di citare il Tirreno proveniente dalla Lidia. Secondo il confluire di fonti quali Dionigi d’Alicarnasso 1,27, Erodoto I, 7; I, 94, Nicola Damasceno FGrH 90, 15, Gige nonno di Atys, prima d’inaugurare la lista dei re lidii in Sardi, fu tiranno a Tύρρα. È da qui che si giustifica il nome di Tyrrhenos figlio di Atys, che letteralmente significò ‘Signore, dominatore di Tyrrha’ (nome di nostalgia). È pure da qui che deriva il cognome sardo Turra. Non va quindi sottovalutata l’importanza della citazione di Erodoto e degli altri autori. Quel Tirreno proveniente dalla Lidia avente lo stesso nome dei nostri Tirreni, crea confusione. Ma secondo il mio modo d’intendere, il concorrere del nome lidio-accadico Tirreno inteso come ‘Signore, dominatore di Tyrrha’ è una conconcomitanza fortuita che non inficia il fatto che i Tirreni che diedero il nome al Mare Tirreno furono gli Shardana-Fenici tornati da Tiro.


UDDADHADDAR. Quest etnico fu letto in agro di Cuglieri su una iscrizione confinaria latina recante la seguente frase: TERMINUS QUINTUS UDDADHADDAR NUMISIARUM, che può essere tradotto di primo acchitto come segue: Quinto cippo terminale degli Uddadhaddar delle Numisie. La frase, da me verificata presso il Museo di Cagliari, è scritta in un latino pulito, ma resta da chiarire anzitutto il significato di Uddadhaddar.
Anzitutto va precisato che il terminus quintus è un cippo di delimitazione territoriale: il ‘quinto cippo’. Forse ce ne furono degli altri. Nei tempi andati le delimitazioni territoriali avvenivano in tale modo, legalmente riconosciuto, in uso anche presso i Sumeri ed i Babilonesi. Ancora oggi nei villaggi sardi ci sono degli esperti in grado di individuare tutti i cippi di confine. Evidentemente, ci fu un preciso accordo giuridico affinchè gli Uddadhaddar avessero un territorio di pertinenza.
Il lemma Uddadhaddar ha il suffisso tipicamente sumerico (-dr in sumerico è una semplice consonante finale sostituente spesso la -d, e al tempo dei Romani fu letta evidentemente come -dar). Per Uddadhaddar l’unica base valida è la lingua sumera, dove abbiamo u-dada-dar (u ‘pastore, pecoraio’ + dada ‘ostile’ + dar ‘disperdere’ (of crowd: break up), col significato di ‘pastori ostili dispersi’.
Quanto a Numisiarum, espresso col tema latino, se ci attenessimo al nome della gens romana di cui i dizionari dànno il maschile Numisius, sembrerebbe che gli Uddadhaddar siano appartenuti a un latifondista della gens Numisia (come schiavi?). Ma perché il plurale femminile? Perchè certamente Uddadhaddar, sentito latinamente come femminile, esprimeva già di per sé un plurale (i Latini non declinavano mai i nomi semitici). Poiché l’etnico Uddadhaddar è sumerico, anche Numisiārum deve avere la base sumerica, anche perché l’uso del latino nella parte radicale darebbe seri problemi. Alcuni traducono Numisiarum ‘della Numidia’. Ma è scorretto: ci saremmo aspettati allora Uddadhaddar Numidiae ‘U. della Numidia’. Se invece si dovevano citare delle donne nùmide, ci saremmo aspettati U. Numidārum. Se poi sostituiamo il lemma con una parola greca, questa deriverebbe soltanto da νομεύω ‘fare il pastore, pascolar le greggi’, νομή ‘luogo del pascolo’, νομῆες ‘pastori’, da cui νομάς - νομάδος ‘nomade, che erra per mutare pascolo’: ma questi termini greci hanno basi semitiche, da akk. numītu ‘pasturage’, numû ‘wasteland’, sum. numun ‘erba’, numun ‘moltiplicare’. Eccoci dunque alla traduzione giusta.
Aggiungendo al sintagma u-dada-dar il composto sumero-accadico in stato costrutto numi- + šiyû ‘forza’, siyû ‘a plant’ (Numi-si-ārum), abbiamo il significato di ‘pastori ostili dispersi tra i pascoli. Si vede che a questa gente fu negata l’opportunità di risiedere entro la città di Cornus e che essa fu relegata a un destino pastorale, quale tributaria del commercio cornense.
Esplicando il sintagma sintetico TERMINUS QUINTUS UDDADHADDAR NUMISIARUM, abbiamo quindi: “Quinto cippo dei pastori ostili dispersi nei pascoli (del vicino Montiferru)’. È facile immaginare cosa era successo in quel periodo. Gli U (pastori) erano dada (ostili: alla città punico-romana di Cornus; la assalivano con le bardàne, ossia con cavalcate guerrigliere). Per tale ragione furono dispersi dalla truppa romana e costretti a vivere sul Montiferru selvaggio, con reciproche garanzie confinarie.

Legenda:

Ho preso - senza modificarlo - l'articolo di Salvatore Dedola dal suo sito (www.linguasarda.com), salvo l'aggiunta dei seguenti codici colore:

In rosso : nome di glottologo o linguista
in azzurro : lingua ipotizzata come origine di parole sarde
sottolineato : panzana evidente, a mio vedere.
in grassetto: nome di storico.

1) Laureato in glottologia con tesi in Germanistica. E' stato più volte presidente del Club Alpino Regionale e credo sia - oltre che una persona amabile ed interessante - anche un ottimo naturalista. Ma credo (e spero) si muova molto  meglio tra piante e fiori, che tra etimi e cenni di storia.
2) Strabone, geografo greco del la metà del I secolo a.C.: scarsamente attendibile in genere, ma specialmente per le questioni riguardanti questo argomento, che rimanda a duemila anni prima.
3) L'autore sembra non conoscere il nome dei Trulli, né la loro origine cronologicamente molto più recente (sono di epoca moderna), che li esclude da qualsiasi confronto etimologico formale con vocaboli appartenenti alle lingue antiche.
4) In realtà, il mito racconta che Nesso ingannò Deianira, dicendole trattarsi di un filtro d'amore per riconquistare Ercole, che ella temeva di perdere.
5) Il nuraghe Losa prese il nome dal vocabolo 'losa', che significa lapide,  lastra di pietra (in sardo, come in spagnolo e persino in italiano) per via delle numerose sepolture rinvenute sul posto.
6) M. Bernal descrive invece tutta un'altra etimologia (Black Athena), più convincente: in particolare cita il noto gioco di parole (presente anche nelle 'Supplici' di Eschilo) tra hikes(ios) e Hyksos.