L’uomo ha iniziato ad esprimersi con piccole sculture in
vari materiali circa 300.000 anni fa.
Poi, circa 80,000 anni fa, ha tracciato figure su quasi ogni
superficie: ossa, gusci d’uova, pietre.
Circa 5300 anni fa l’uomo ha iniziato a ‘scrivere’.
Che cosa è la scrittura?
Si tratta di un insieme di segni convenzionali (per una
certa popolazione), capaci d’esprimere precise concatenazioni di significati
simbolici traducibili in suoni.
Questi segni sono solitamente tracciati su supporti più o
meno duraturi, talvolta quasi indistruttibili.
La classificazione delle scritture è argomento da
specialisti: essi distinguono le scritture in ‘logografiche’ (quando il segno corrisponde ad una parola fatta
di suoni) e ‘pittografiche’ (quando il segno esprime un concetto). Le scritture fonetiche possono ulteriormente dividersi in sillabiche (in cui esiste un segno per ogni
sillaba, cioè per ogni combinazione elementare di vocali e consonanti) o alfabetiche (in cui esiste un segno per
ciascun segno, consonantico o vocalico).
Sappiamo che le prime scritture (III millennio a.C.
altopiano iranico) ebbero una forte componente ideografica e logografica per
poi evolvere abbastanza rapidamente
in senso sillabico e fonetico.
Lo sviluppo dell’alfabeto – come lo conosciamo noi oggi – ha
seguito percorsi difficili e contorti, che sono costati tentativi, errori e
fatica in un processo che ha richiesto certamente diverse generazioni umane
(nel corso del II millennio), anche se non sappiamo nel dettaglio come siano
andate le cose.
La zona geografica in cui questo processo è avvenuto è vasta: essa comprende le terre del
Levante, forse fino al settentrione della penisola Araba.
Per molto tempo non è stato affatto facile imparare a
scrivere (i segni da imparare erano persino 450!), anche se oggi si tratta di
un compito che richiede poco più di due anni d’apprendimento in età scolare.
Le lingue scritte antiche sono state in buona parte
dimenticate, col tempo (si pensi anche solo all’Etrusco, che fu scritto su
supporti deperibili, molti dei quali volutamente distrutti), tanto che quando
ne furono trovate le tracce esse erano totalmente incomprensibili. Più spesso
erano interpretate come simboli magico/misterici.
Jean F. Champollion – un genio ineguagliabile – ebbe la
‘fortuna’ di una lapide trilingue (la lapide di Rosetta: geroglifico, demotico
e greco), riutilizzata in campo edilizio come semplice mattone. La lapide aveva
tenuto in scacco gli epigrafisti per trenta anni: Champollion brillantemente
intuì che fosse in parte ideografica ed in parte fonetica e ne diede la
traduzione.
È un caso emblematico. Ci permette di stabilire che per la
decifrazione, si deve avere la possibilità di fare:
1) confronti con altre lingue
conosciute,
2) dedurre informazioni
storiche certe, e
3) si deve disporre di un
testo abbastanza lungo, meglio se più d’uno.
Questo è il motivo per cui, se – come nell’Etrusco – si
dispone solo di formule funebri tutte simili, di sigle e di abbreviazioni
sintetiche e di testi brevissimi, la decifrazione di una lingua antica diventa
difficilissima e la sua conoscenza resta lacunosa.
L’Accadico ci fornisce un altro ottimo esempio di ciò che è
necessario per una sicura decifrazione.
Quando nel 1802 Georg
Friedrich Grotefend (un professore tedesco di liceo!) comunicò al
Mondo intero di avere decifrato il cuneiforme, lo aveva fatto - pensa! - per vincere una scommessa con
un amico.
Non sappiamo quante birre e
quanti crauti tale velleitario ed allegro processo richiese, ma senz’altro –
all’inizio, almeno – vi fu verso di esso molto
scetticismo e molta incredulità verso questo
signore originale e forse un po’ pazzo, sicuramente fuori della cerchia eletta
dei linguisti, glottologi ed epigrafisti.
[Nota:
Grotefend aveva
decifrato l’Antico Persiano, lingua
Indoeuropea, che era scritto con un sistema cuneiforme di natura
alfabetica - un segno per ogni lettera .
Restavano da decifrare ancora:
A) l’Accadico, lingua semitica affine all’Arabo ed all’Ebraico odierni,
anticamente parlata da Babilonesi ed Assiri, che è un cuneiforme logo-sillabografico
(in cui ogni ‘grafema’, o segno, può avere più di un referente fonetico
sillabico e più di un referente ideografico: più o meno quello che
fai quando scrivi “6 la + bella”, usando segni che possiedono ciascuno un
significato differente in vari tipi di notazioni, ma che guarda caso hanno un
senso preciso, pronunciati nella tua lingua parlata. Un altro esempio? Il nome
del complesso rock degli “U2” potrebbe non avere alcun senso; oppure potrebbe
riferirsi all’ ormai storico aereo spia “ U due”, oppure – ma questo solo in
Inglese – potrebbe significare “You too”, anche tu).
B) L’Elamico, una lingua un po’ meno nota, priva di
parentele tra le famiglie linguistiche note, diffusa in area iranica e scritto
come l’Accadico.]
Circa 50 anni dopo, nel 1853, Edwin
Norris riuscì ad interpretare anche
l’Elamico.
Resisteva, quindi, solamente
l’Accadico: ma si rinvenivano con crescente frequenza sempre nuove tavolette,
fino a che lo svedese Isidior Lowenstern dedusse che si trattava di una lingua
semitica.
Come si poteva fare, per
dirimere il dubbio?
La Royal Asiatic Society, nel
1857 decise di adottare un metodo tanto biblicamente Salomonico, quanto
prudentemente e rigorosamente scientifico: riunì a Londra tutti coloro
che avevano dato il proprio significativo contributo alla decifrazione e
traduzione degli scritti cuneiformi. I nomi sono: Edward Hinks, Paul Emile
Botta, Henry Rawlinson,William Henry Fox Talbot e Jules Oppert.
Ad ognuno di essi fu assegnata
una copia di un medesimo testo cuneiforme, con la preghiera di fornire una
traduzione, ottenuta indipendentemente dagli altri studiosi. Ed essi
(miracolo!) fornirono ciascuno la propria decifrazione, concordante con
le altre nelle linee fondamentali.
L’Accadico era stato decifrato!
Era stato necessario mezzo
secolo di fatiche interpretative e di ricerche sul campo con la scoperta di
nuovi testi. Ma ci si era riusciti, scientificamente .
Quindi arriviamo al punto 4,
che è il seguente:
4) Fare un
confronto in doppio cieco, con una traduzione del testo antico, fatta
contemporaneamente da diversi epigrafisti esperti.
La decifrazione delle
scritture di Micene è un altro esempio utile. Evans le classificò (geroglifico
cretese, Lineare A e Lineare B), ma non riuscì a tradurle. Il geroglifico ed il
Linare A restano ancora non tradotti. L’impresa è riuscita, invece, per il
Lineare B: fu il risultato della collaborazione a distanza tra Alice Kober (che
produsse 186.000 schede sulle scritte micenee), Michael Ventris (architetto
inglese d’origine greca, con una particolare versatilità per le lingue) e John
Chadwick, suo collaboratore, che ne completò le ne concluse il lavoro.
Questo ci permette di
aggiungere il punto 5, che è di seguito:
5) La
quantità di conoscenze necessaria per tradurre una lingua scritta antica
dimenticata è – di solito – troppo grande per una persona sola: si richiede la
collaborazione di più esperti…
6) Alcune scritture - infine - non sono ancora decifrate (per esempio, la scultura della Civiltà dell'Indo, fra le tante): per alcune di esse, come scritto in precedenti post, non si è neppure certi che veramente si tratti di 'scritture'. Il solo presunto 'Nuragico scritto' è certamente incluso obbligatoriamente tra queste.
Ecco il motivo per cui non credo affatto – personalmente – che sia possibile in alcun modo giungere alla decifrazione dell’antico sardo/nuragico scritto, nel caso esso esistesse:
Ecco il motivo per cui non credo affatto – personalmente – che sia possibile in alcun modo giungere alla decifrazione dell’antico sardo/nuragico scritto, nel caso esso esistesse:
1) Non si possono fare confronti
con altre lingue conosciute, in testi bi- o tri- lingui.
2) Non si possono dedurre
informazioni storiche certe del periodo Nuragico.
3) Non si dispone di un testo
abbastanza lungo e anche quelli prodotti da alcuni ‘volenterosi’ ricercatori
sono o semplici 'lettere', o fuori contesto, o molto dubbi, o lampanti falsi accertati...
4) E’
impossibile procedere ad un confronto in doppio cieco, con una traduzione del
testo antico, fatta contemporaneamente da diversi epigrafisti esperti.
5) La
quantità di conoscenze necessaria per tradurre una lingua scritta antica
dimenticata è – di solito – troppo grande per una persona sola: si richiede la
collaborazione di più esperti… Unica eccezione fu Champollion, in un contesto
completamente diverso da quello del ‘Nuragico’.
6) La sfida, naturalmente, è quella a produrre alcuni testi lunghi di ‘Nuragico scritto’, con grammatica e sintassi corrette e con significative coincidenze di fatti storici con nomi reali. Questi testi non esistono. Personalmente, penso che nessuno potrà raccogliere questa sfida.
6) La sfida, naturalmente, è quella a produrre alcuni testi lunghi di ‘Nuragico scritto’, con grammatica e sintassi corrette e con significative coincidenze di fatti storici con nomi reali. Questi testi non esistono. Personalmente, penso che nessuno potrà raccogliere questa sfida.
E non solo per i motivi sopra citati.