lunedì 30 settembre 2013

Kadesh


L'ULTIMA GRANDE BATTAGLIA DELL'ETA' DEL BRONZO

 Kadesh (1275 a.C.)

da: Nicola Zotti, modificato.

Ramses II era il giovane e ambizioso erede dei faraoni della XIX dinastia del periodo del Nuovo Regno e quando nella prima metà del XIII secolo a.C. era salito al trono, aveva ricevuto dai suoi predecessori un Egitto profondamente mutato rispetto alle epoche precedenti.

Le esperienze maturate nell’edificazione delle colossali opere dell’architettura egiziana avevano fornito ai faraoni le competenze necessarie a gestire grandi masse di uomini:
Il passaggio dall’organizzazione di un affollato cantiere alla programmazione logistica di una campagna militare con un’altrettanto numerosa armata, non era un salto semplice da compiere, ma gli scribi e gli amministratori dei faraoni vi riuscirono, fornendo loro uno strumento militare capace di proiettarsi molto oltre il bacino del Nilo.

La politica imperialista del grande faraone Thutmose I nel XVI secolo a.C. estese così a Palestina e Siria i confini del regno. La Siria soprattutto, per la sua ricchezza e la sua posizione strategica di fulcro degli scambi economici con il resto dell’Asia, aveva mutato gli orizzonti dei faraoni. Thutmose l’aveva strappata ai Mitanni, ma i suoi successori si trovarono a contenderla con alterne fortune e infine a perderla a vantaggio degli Ittiti, la nuova potenza emergente in Anatolia.
mappa strategica
Estensione e confini dei due Stati contendenti - Egizi ed Ittiti - nella battaglia di Kadesh

Nelle condizioni dell’epoca le pur ingenti risorse umane dell’Egitto non erano sufficienti a sostenere il gravoso impegno militare rappresentato dall’occupazione permanente delle nuove conquiste e i faraoni dovettero affidare il controllo territoriale locale ad alleati e vassalli, la cui lealtà era continuamente messa a dura prova dalle pressioni militari e diplomatiche dei re ittiti.
Seti I, padre di Ramses, era stato costretto a cedere con un trattato agli Ittiti la città di Kadesh, indispensabile per la conquista da sud della Siria.
Ramses si sentiva però destinato a ripetere le gesta dei suoi antenati e approfittò di una delle ricorrenti crisi di confine per dare avvio alla riconquista della Siria proprio dal primo passo necessario, ovvero riappropriandosi di Kadesh, in aperta violazione degli accordi stipulati dal padre.

Il faraone dedicò i primi anni del suo regno ai preparativi di questa impresa. Dovette contrastare anche le scorrerie di gruppi di disperati, sbandati e fuggiaschi (che sono noti con l'erronea definizione cumulativa di Popoli del Mare) e vi riuscì talmente bene che, dopo averli fatti prigionieri in una battaglia marittima, li arruolò in massa nella propria guardia personale (i SHRDN, specialmente).
L’espansione numerica del suo esercito raggiunse così almeno i 20.000 uomini, riuniti in 4 “divisioni” di 4.000 fanti e 500 coppie di carristi, dedicate ciascuna a una divinità del Pantheon egiziano e acquartierate stabilmente in altrettante città centri di arruolamento: la divisione Amun a Tebe, la P’Re a Eliopoli, la Set a Pi-Ramesse e la Ptah a Menphi.

La battaglia di Kadesh è tra le meglio documentate dell’antichità, perché gli egiziani la celebrarono come una propria vittoria in numerosi bassorilievi e con due testi, il “Poema” e il “Bollettino”, ma oggi le ricostruzioni storiche sono molto meno trionfalistiche.

Ramses e le sue armate partirono verso la fine di aprile dalla base di Sile e impiegarono un mese per arrivare nella città di Shabtuna a circa 16 km da Kadesh, il nono giorno del terzo mese della stagione del raccolto (tardo maggio). Ogni divisione si distendeva in una lunga colonna ed era distanziata dalle altre di circa mezza giornata di cammino (una decina di chilometri) mentre una quinta divisione composta dagli alleati Ne’arin, ovvero dai contingenti di truppe provenienti via mare da Palestina e Libano, percorrendo la valle della Beqa’ si sarebbe ricongiunta agli egiziani da ovest direttamente sul campo di battaglia.

Le prime notizie del nemico giunsero da due nomadi intercettati a Shabtuna i quali riferirono a Ramses che Muwatalli e l’esercito ittita erano ancora lontani, addirittura ad Aleppo, prospettando al faraone un insperato colpo di fortuna: poter scegliere la posizione migliore per il proprio esercito e condizionare i rispettivi schieramenti nella futura battaglia.

Ramses, che guidava l’avanguardia alla testa della divisione Amun, decise allora di allungare il passo per conquistare questo vantaggio posizionale. La divisione Amun, alla quale si aggiungeva il voluminoso bagaglio reale, accelerò fino ad accamparsi a ovest di Kadesh, in un luogo dove poteva controllare la città e contemporaneamente vigilare tanto sulle possibili vie di approccio settentrionali ad essa quanto proteggere l’imminente arrivo da ovest dei suoi alleati Ne’arin. Si trattava di un rischio, perché Ramses pagava il vantaggio tattico ottenuto provocando una pericolosa frattura tra sé e il resto del proprio esercito e ben presto si rivelò un errore che poteva costargli carissimo. La cattura di spie ittite rivelò infatti a Ramses che i due nomadi erano stati inviati da Muwatalli per ingannarlo: in realtà i suoi nemici erano già presenti in forze e lo aspettavano nascosti a nord-est di Kadesh. Dal campo egiziano partirono messaggeri verso le divisioni arretrate con urgenti richieste di soccorso.

Anche Muwatalli, però, aveva un problema da risolvere. Guidava una forza di coalizione di 3.500 carri e quasi 40.000 fanti e quindi vantava al momento una superiorità schiacciante su Ramses, ma ignorava l’entità complessiva dell’esercito egiziano. Predispose allora per la mattina successiva un piano di battaglia in due fasi: un primo contingente di 2.500 carri avrebbe aggirato Kadesh da sud e dato inizio all’attacco contro la prima divisione egiziana che prevedibilmente sarebbe giunta seguendo lo stesso tragitto della prima. Il resto dell’armata, guidato da lui personalmente, schierato oltre l’Oronte, sarebbe intervenuto in un secondo momento, presumibilmente appena il faraone fosse uscito dal campo per sostenere i suoi uomini.



qadesh 1
Prima fase della battaglia: gli Ittiti hanno il sopravvento e distruggono completamente una divisione Egizia, la P'Re.

Nelle prime ore del giorno, come Muwatalli aveva previsto, arrivò la seconda divisione egiziana, la P’Re, in una colonna di almeno 3 km, che la marcia accelerata aveva reso disunita e scomposta.

L’ansia di raggiungere il faraone ne dovette anche rilassare le cautele e quando l’enorme massa di nemici emerse sul proprio fianco destro ne fu totalmente sorpresa. Dopo aver guadato i corsi d’acqua che circondavano Kadesh, i pesanti carri ittiti si gettarono contro la P’Re senza interrompere il movimento, probabilmente in molte colonne di decine di mezzi, provocando il panico e l’immediata fuga degli egiziani in ogni direzione.

La disintegrazione totale della P’Re sottraeva agli ittiti un bersaglio ma gliene forniva un altro ancora più prezioso: l’opportunità di chiudere la battaglia in un unico colpo. Compiendo un largo movimento aggirante, i carri ittiti si gettarono sul campo di Ramesse e della Amun. Qui si era assistito sgomenti alla distruzione della P’Re, ma il faraone aveva avuto il tempo di coordinarne una strenua difesa. I guerrieri shardana della sua guardia si distinsero nel combattimento, sicuramente agevolati dal disordine dell’attacco ittita (vale qui la pena di ricordare di passaggio che non si sa ancora bene che cosa fossero i shardana: un corpo scelto, forse? Questo è reso più probabile dal fatto che guerrieri  'shardana' sono presenti anche tra gli Ittiti, come accadrebbe proprio in quest'ultimo caso di un corpo specializzato: granatieri, corazzieri, guastatori etc).

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Fase due della battaglia: è la più confusa. Gli Ittiti tentano l'attacco al Faraone, ma i shardana lo difendono...


Ramesse contrattacca
Perso l’impeto iniziale, l’attacco ittita viene prima contenuto e poi respinto: con ammirevole freddezza e intuito, Ramesse radunò ogni carro disponibile e li lanciò in una sortita sul fianco avversario: la freschezza e l’agilità delle sue truppe ebbe in breve la meglio sugli ittiti, buona parte dei quali dovevano essere solo inermi cocchieri, costringendoli alla fuga e ad abbandonare la gran parte dei loro passeggeri ancora impegnati nel combattimento del campo.

Non fu comunque un'impresa semplice, perché il resoconto egiziano narra che il faraone dovette impegnarsi in ben sei cariche.
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Fase tre: i Ne'arin intervengono al fianco degli Egizi: gli Ittiti ripiegano.

Muwatalli aveva assistito da lontano agli iniziali successi dei suoi carri e non aveva ritenuto necessario o potuto partecipare al combattimento: forse per eccesso di sicurezza o perché l’attacco al campo dei suoi carri non era stato previsto e lo aveva colto impreparato. Ora che esso era fallito, però, il re ittita non poteva più procrastinare un intervento e attraversò l’Oronte per andare in soccorso alla sua armata in fuga.

Troppo tardi, però: Ramesse abbandonò senza esitazioni l’inseguimento per affrontare il suo diretto avversario. Prima del faraone, però, intervennero i suoi alleati Ne’arin, giunti con provvidenziale tempestività sul campo di battaglia.

Il loro attacco sul fianco sconcertò gli Ittiti che si videro minacciati anche da sud per il sopraggiungere della divisione Ptah.

Nonostante abbiano forze ancora superiori, prudentemente si ritirarono oltre il fiume.

Ramesse con il suo coraggio si era sicuramente guadagnato una vittoria morale, ma entrambe le armate erano esauste e Kadesh rimaneva saldamente in mano ittita.

L'impresa progettata dal Faraone poteva quindi considerarsi fallita e le sue ambizioni di conquista erano state vanificate.
Infatti, l'Egitto non si azzardò più a riesaminare i piani delle proprie mire espansionistiche.
Ma il faraone pubblicizzò la battaglia come una personale grande vittoria dell'esercito da lui condotto.




L'arte della guerra nell'Età del Bronzo




Una delle poche certezze che possiamo annoverare sulle forme della guerra nell'Età del Bronzo è che il ruolo principale nel combattimento era svolto - su pianure adatte e scelte apposta, i 'campi della guerra' - da carri trainati da coppie di cavalli: questo è più o meno tutto, perché per il resto siamo a congetture via via sempre più labili.

La potenza dei re si contava col numero dei carri che possedevano: questo suggeriscono, lasciando pochissime incertezze, i documenti e l'iconografia del periodo, come, ad esempio, quelli relativi la Battaglia di Kadesh (sopra descritta).

Sulla piattaforma del carro gli egiziani avevano un solo combattente, armato di arco composito e di giavellotti, oltre al cocchiere, mentre gli ittiti, su carri più pesanti, avevano posto anche per uno scudiero.
Il predominio dei carri sul campo di battaglia era cominciato nel 2000 a.C. circa con l'invenzione della ruota a raggi che aveva reso molto più leggero il carro, permettendo che venisse trainato dai cavalli e quindi rendendolo anche più agile e veloce (rispetto a quello trainato dai buoi!).

Ulteriori progressi tecnologici ne fecero un mezzo sempre più robusto ma al contempo leggero ed inaspettatamente stabile: il carro egiziano, ad esempio, era dotato di una piattaforma di cuoio intrecciato che ammortizzava i sobbalzi dovuti alle irregolarità del terreno, aiutando la stabilizzazione del tiro, mentre l’asse sul quale erano montate le sottili ruote a sei raggi era fissato sul retro del carro ed era più lungo della piattaforma di circa 25 cm per ciascun lato, conferendo ancora maggiore stabilità e agilità al mezzo.

Per trasformarlo in un'arma da guerra si doveva fornirlo di un equipaggio: individui altamente selezionati perché combattere su un carro richiedeva riflessi eccezionali e un senso dell'equilibrio altrettanto speciale. Un lungo addestramento li trasformava poi in una squadra affiatata, un vero e proprio sistema d'arma, come si direbbe oggi.

L'impostazione del combattimento era responsabilità del cocchiere, mentre all'arciere, che tirava da un solo lato del carro, spettava il compito di colpire l'avversario con le frecce del suo arco composito: nonostante la sua gittata in combattimento fosse di circa 180 metri, è probabile che le battaglie si trasformassero ben presto in un'intensa e vorticosa serie di duelli molto più ravvicinati. L'arciere cominciava a tirare già durante  la corsa d'avvicinamento all'avversario ed aveva quindi la possibilità di colpire diverse volte, (un buon arciere scoccava 15, 20 frecce al minuto) prima che il suo carro con una stretta curva riguadagnasse la distanza. I carri, molto probabilmente, correvano in colonne uno dietro all'altro: pertanto lo scoccare delle frecce era multiplo e continuo e forniva una certa copertura reciproca, grazie ad un'imponente densità di fuoco.

I carri erano riuniti in unità decimali ed è probabile che non combattessero in linee, ma in colonne di 5-10 mezzi: il cavallo, infatti, è un animale intelligente che evita spontaneamente gli ostacoli: la formazione in colonna permetteva di sfruttare l'agilità del mezzo e dava profondità all'attacco.
(Quanto sopra è relativo alla battaglia di Kadesh. Ipotizziamo che l'oplita greco combattesse in modo affatto differente e richiedesse un utilizzo completamente differente del carro. Quest'ultimo serviva per portare il guerriero - armato così pesantemente da non potere camminare a lungo - sul posto dell'incontro armato. Serviva anche per riprenderlo dopo alcuni minuti, esausto e  preferibilmente ancora riutilizzabile in seguito).
Sono improbabili attacchi di carri portati direttamente  alla fanteria, così come sono stati spesso rappresentati nei film. Questo è dovuto alla sensibilità dell'animale, il cavallo, che tende spontaneamente ad evitare e non calpestare i corpi dei caduti o dei guerrieri in piedi: un attacco fisico diretto di un carro ad un corpo di fanteria sarebbe un suicidio per l'auriga ed il suo carico.

Tanto l'equipaggio quanto i cavalli erano protetti da corazze in piastre di metallo o di cuoio, e per ferirli occorreva un tiro molto preciso, oppure a distanza ridotta e quindi con maggiore forza di penetrazione.

E qui arriviamo al punto dolente: un esercito basato sui carri era sì il massimo che la tecnologia dell'epoca potesse offrire, ma il costo del suo mantenimento era elevatissimo, sostenibile solo dagli stati più ricch: tanto ingente che dovevano essere le stalle reali a provvedere agli animali ed a accudirli a spese del tesoro reale.

Se allevare e nutrire i cavalli era un'impresa, il carro in sé, spesso di proprietà del guerriero, era ancora più costoso: non solo considerando le spese di costruzione, ma soprattutto quelle della sua manutenzione.

Un problema ancora maggiore, infatti, non risolvibile solo con risorse economiche, era rappresentato dalla lunga schiera di artigiani specializzati necessari per costruire i carri e per mantenerli in efficienza, e del piccolo esercito di amministratori che dovevano tenere la contabilità di tutto questo apparato.

Solo gli stati più organizzati ed efficienti potevano permettersi un'impresa del genere, incentrata su magazzini di pezzi di ricambio, prima ancora che di guerrieri.

Quando le fanterie degli immigrati fuggiaschi (ed invasori aggressori, dal punto di vista degli Egizi) che talvolta qualcuno ancora definisce Popoli del Mare si mostrarono in grado di resistere efficacemente alle loro cariche, il dominio dei carri sul campo di battaglia finì drammaticamente, trascinando con sé nel declino le civiltà per le quali avevano combattuto.