Dove sono le ossa di San Pietro?
 Articolo e foto di Stefano Panizza (24/04/20138)
Se è vero che la fede non ha bisogno di prove, lo è altrettanto che queste la possono aiutare.
Definire
 cosa sia una prova non è semplice, ancor meno lo è in ambito religioso 
dove il confine fra il “certo” ed il “possibile” è molto labile.
Sicuramente lo può essere un qualcosa di tangibile perché, in quanto tale, analizzabile.
Un
 esempio? Il dimostrare l’esistenza di Pietro, il discepolo al quale 
Gesù, secondo la tradizione, affidò la fondazione della Chiesa.
Perché
 se le vicende di Pietro, testimone diretto della vita di Gesù, furono 
reali, soprattutto la persecuzione ed il martirio, allora anche gli 
eventi di quest’ultimo non possono che essere stati ragionevolmente veri
 (pensiamo alla Resurrezione).
Insomma,
 credo che il ragionamento “Pietro ha accettato il sacrificio del 
supplizio in nome di Gesù perché lo ha visto con i propri occhi ed ha 
avuto la certezza dei fatti”, possa avere una buona sostanza.   
Ci sono, allora, queste prove?
Forse si, e degli ultimi anni di vita dell’apostolo. 
Le sue ossa, infatti, potrebbero trovarsi sotto la basilica di San Pietro, in Vaticano.
Ma come si fa a capire se delle ossa, indubbiamente ritrovate, sono proprio di San Pietro?
Occorre, prima, rispondere ad un’altra domanda:
Pietro è vissuto e morto a Roma?
Perché se viene a mancare questa prima certezza, difficilmente si riesce a dimostrare il resto del ragionamento. 
Vediamo, allora, le fonti storiche che ne parlano. 
Uno scritto anonimo in lingua greca, la cosiddetta Apocalisse di Pietro,
 datato alla metà del I secolo d.C., parla del martirio dell’apostolo 
nel circo di Nerone. Lo stesso scrive il pontefice Clemente Romano in Epistolae ad Chorinthios, 1,5-6 (in pratica una lettera alla comunità di Corinto), aggiungendo che morì unitamente “ad una grande moltitudine di eletti”. 
Si
 sa, poi, che Nerone aveva scatenato una violenta persecuzione dei 
cristiani, accusandoli dell’incendio di Roma (ne parla anche Tacito nei 
suoi Annales).
Dalla Historia ecclesiastica
 di Eusebio di Cesarea sappiamo, invece, che Pietro, non ritenendosi 
degno di morire come il Salvatore, volle farsi crocifiggere a testa 
all’ingiù.   
Negli Atti apocrifi degli apostoli,
 poi, tale senatore Marcello, amico di Pietro, fa sapere che venne 
sepolto in un luogo chiamato “Vaticano”, più precisamente, presso il 
campo dove si svolgevano gli spettacoli di combattimento navale. 
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Fatto confermato anche da San Girolamo (IV secolo) con la sua opera Uomini illustri.
Infine,
 dentro la Basilica Vaticana è conservato un quadro a ricordo del 
miracolo di San Gregorio Magno (morto nel 604) che, incidendo un pezzo 
di lino che aveva toccato il sepolcro di Pietro, ne fece uscire del 
sangue. 
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Riassumendo,
 ci sono documenti storici, seppur a volte di parte, nel senso che si 
tratta sostanzialmente di scritti religiosi, che attestano la presenza e
 la morte di Pietro in Roma.
Consolidato
 questo punto, pur con tutte le incertezze che caratterizzano qualunque 
testo del passato (si pensi al semplice detto “la Storia la scrivono i 
vincitori”), si impone la vera domanda:
sono state ritrovate le ossa di Pietro?
Facciamo un breve percorso storico per inquadrare meglio il problema.
Nel
 II secolo i cristiani innalzarono sul luogo della sua tomba un “trofeo”
 (edicola marmorea commemorativa), detto di “Gaio”, dal nome del 
presbitero romano che ne parla (sotto una ricostruzione).  
Nel
 V secolo l’imperatore Costantino fece erigere nella zona della 
sepoltura una grande basilica, il cui altare maggiore è ubicato sopra 
quella che riteneva la tomba di Pietro (quella che vediamo oggi è, in 
realtà, un completo rifacimento rinascimentale voluto da papa Giulio 
II). Un lavoro di scavi lungo e costoso, con contestuale  adeguamento del terreno.  
Ma
 Costantino fece di più. Raccolse le ossa di Pietro dal luogo della 
sepoltura originaria, posto nel terreno, e le depositò in un loculo di 
una parete adiacente (il cosiddetto “muro G”) avvolte in un prezioso 
tessuto di porpora ed oro.
Una
 riflessione intermedia: queste vicende non possono, però, costituire 
una prova che Pietro sia morto a Roma (ed infatti non le ho inserite nel
 punto precedente) perché sono testimonianze troppo tarde rispetto al 
periodo in cui l’apostolo è vissuto. Di conseguenza non vi è nessuna 
certezza che Costantino abbia tra le mani proprio “quelle” ossa.    
Forse
 per questo che nel 1939 Pio XII decise di “vederci Chiaro”, anche per 
assecondare il volere del suo predecessore Pio XI che intendeva farsi 
seppellire vicino alla tomba di Pietro. 
Si trattò dei primi lavori dal 1600, all’epoca della costruzione del baldacchino del Bernini. 
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Infatti,
 alcune morti ritenute misteriose, fecero temere una sorta di 
maledizione su chi cercasse, volontariamente o meno, la tomba 
dell’apostolo.   
Pio XII, evidentemente, non dette molto peso alla cosa.
Fece,
 dunque, scavare sotto il pavimento della Basilica Vaticana, in 
particolare sotto l’altare della “Confessione” dove, secondo la 
tradizione, devono trovarsi i resti di Pietro. È il cosiddetto “campo P”
 (4 metri x 8), da “campus Petri”, cioè “campo di Pietro”. 
In una decina d’anni venne portata alla luce un’antica necropoli.   
Si
 rintracciò quella che si ritenne la sepoltura primitiva, vuota e, un 
poco spostato (nel cosiddetto “muro G”), il loculo dove Costantino 
spostò le ossa dell’apostolo.   
Insomma, tutto secondo la tradizione.
Ma c’è di più.
In
 una delle pareti interne del loculo emerse un graffito di sette lettere
 greche (il frammento misura cm 3,2 per 5,8) che l’epigrafista 
Margherita Guarducci tradusse in “Pietro è qui” (“petros enì”). 
Nello
 stesso muro ci sono, poi, altri graffiti, risalenti al III e IV secolo,
 che citano i nomi di Cristo, Maria e Pietro (anche se con un sistema 
crittografico).
Ma il meglio doveva ancora venire.    
Nell’apertura
 del loculo, detriti di calcinacci ed ossa si mescolarono. Queste ultime
 vennero raccolte da monsignor Ludwig Kaas e sistemate in una cassetta, 
con tanto di biglietto ad indicarne la provenienza, all’interno delle 
grotte vaticane. 
Solo
 (?!) dieci anni dopo quelle ossa (prive, però, di quelle dei piedi) 
furono analizzate dall’antropologo Venerando Correnti. Risultarono 
appartenenti ad un uomo di corporatura robusta, alto un metro e 
sessantacinque e di età compresa fra i 60 ed i 70 anni. Insieme ad esse 
si rilevarono frammenti di oro e di tessuto di porpora, a comprova della
 tradizione costantiniana. Ritornando al discorso “piedi”, il fatto è 
molto interessante, perché è probabile che, in un uomo crocifisso al 
contrario (sorte che per tradizione capitò a Pietro), il corpo finisca 
per staccarsi proprio da quelle estremità.
La
 stessa terra della quale erano incrostare le ossa, poi, era 
caratteristica del terreno dove era infossata la primitiva tomba di 
Pietro. 
Dunque anche la scienza conferma in modo schiacciante quanto tramandato nei secoli sulla sepoltura di Pietro.  
Il
 26 giugno del 1968 papa Paolo VI si sentì di affermare, durante 
un'udienza pubblica, che le ossa di Pietro erano state identificate e 
riposte nel loculo originario con la targa: "Ossa che si ritengono appartenere a San Pietro".
E dubbi non ne vengono a leggere la didascalia che porta verso la tomba dell'apostolo.
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Tutto risolto, oltre ogni ragionevole dubbio?
Ecco giungere, allora, la nostra terza domanda:
la vicenda è tutta così cristallina o presenta, al di là delle apparenze, aspetti poco chiari?
La
 verità è che, andando oltre alle dichiarazioni “ufficiali”, ci sono 
troppe zone d’ombra che fanno dubitare dell’intera vicenda.
Vediamole sinteticamente: 
-
 Pietro è un nome piuttosto comune. Sarebbe come ritrovare oggi la 
parola “Rossi”. Chissà quanti “Pietro” c’erano a quel tempo. 
- Secondo il Liber Pontificalis
 del VI secolo (una sorta di storia dei papi), Costantino avrebbe 
celebrato la tomba di Pietro con grosse lastre di bronzo ed una grande 
croce in oro massiccio. Perché non sono stati ritrovati?
-
 Mi chiedo come mai i primi cristiani seppellirono una figura così 
importante nell’umile ed anonima terra. L’idea che fosse per evitare “di
 dare nell’occhio” ai romani non regge se si pensa che, per evitarne il 
culto, bastava non restituirne il cadavere.  
-
 Carlo Carletti, docente di Epigrafia e Antichità cristiane 
all’Università di Bari, ha sostenuto, basandosi sulle ricerche degli 
archeologi Adriano Prandi e Domenico Mustilli,  che
 la tomba più vecchia nell’area degli scavi risale all’epoca di Marco 
Aurelio (161-180). Quindi, troppo recente rispetto ai tempi 
dell’apostolo. 
-
 Il“campo P” è inserito in una necropoli pagana. Sono stati ritrovati i 
resti di culti a Cibele e Mitra, oltre che di polli, maiali e topi. È un
 po’ strano che un personaggio come Pietro venisse sepolto in un 
contesto simile, poco sicuro e irrispettoso. 
-
 La scritta “petros enì” è il risultato dell’inserimento delle lettere 
mancanti “os” e dell’interpretazione di “enì” (a cui forse manca la “e” e
 la “n” è molto distante dalla “i”) come abbreviazione del verbo 
“enesti”. Insomma, la traduzione “Pietro è qui” sembra piuttosto una 
libera spiegazione che un dato di fatto. 
-
 Anche ammesso che la traduzione della Guarducci sia corretta, la frase 
potrebbe essere stata il semplice desiderio di un anonimo signor Pietro 
di far sapere che si era fermato in quel posto (mi vengono in mente le 
scritte sui muri durante le gite scolastiche). Il fatto che fosse 
all’interno del loculo potrebbe significare che era passato del tempo 
tra la sua apertura e la sua chiusura o che gli addetti non si fossero 
accorti della sua presenza (i caratteri, infatti, sono piccoli e poco in
 rilievo).  
-
 Secondo lo studioso Danilo Mazzoleni, la frase corretta sarebbe “Pietro
 in pace” e non “Pietro è qui” (anche in questo caso la traduzione è, 
però, figlia di un’integrazione di lettere apparentemente mancanti). In 
pratica, non si sa cosa significhino quei pochi segni.  
-
 La parola “petros” (ammettendo che sia tale) potrebbe riferirsi alla 
parola “pietra” del culto di Mitra, nato, appunto, da una pietra.
- La scritta “petros enì” è del IV secolo, quindi troppo tarda rispetto ai tempi di Pietro (e quindi non può dimostrare nulla).
-
 Non appare credibile che, volendo indicare un luogo di sepoltura, sia 
stata posta all’interno del loculo dove nessuno, cioè, la potesse 
leggere. Ricordo che nel IV secolo il periodo delle persecuzioni era 
solo un lontano ricordo.    
-
 Tale epigrafe non venne ritrovata dalla Guarducci. Il frammento, 
infatti, sul quale era deposto il graffito, venne prelevato e portato 
direttamente a casa da Ferrua e riconsegnato solo in un secondo momento.
 In pratica, solo una persona (ora morta) sa dove si trovassero 
esattamente quelle incisioni
-
 Gaio (quello dell’edicola-trofeo) non parla mai di una tomba. Quindi, 
il piccolo artefatto potrebbe semplicemente essere un ricordo del 
martirio.
-
 L’edicola venne costruita un secolo dopo la morte di Pietro. In 
mancanza di indicazioni (se ce ne sono non se ne è trovata traccia), non
 è probabile che si fosse persa traccia della semplice sepoltura 
originaria (ammesso che sia esistita) e che quindi essa sia stata posta 
nel sito sbagliato?   
-
 Unitamente alle ossa furono ritrovate monete medioevali. Forse 
scivolarono all’interno del loculo, attraverso delle fessure nel muro, 
come offerta dei fedeli che compivano pellegrinaggi sulla tomba 
dell’apostolo. Ma è solo un’ipotesi.
-
 Fra le ossa rinvenute vi furono anche quelle (non tutte) del cranio. 
Ma, secondo la tradizione, la testa di Pietro è conservata all’interno 
della Basilica Lateranense. Quindi o è un falso oppure quelle ossa non 
sono di Pietro. 
-
 I quattro archeologi che parteciparono agli scavi, fra i quali il 
gesuita Antonio Ferrua, non videro alcun osso all’interno del loculo. 
Quest’ultimo scrisse, infatti, che “la cassetta era vuota, con solo 
resti insignificanti di scaglie ossee, un po’ di piombo, un paio di fili
 d’argento e una moneta dei conti di Limoges”. Quindi, c’erano o non 
c’erano delle ossa dentro al loculo?
- L’accusa di Margherita Guarducci a monsignor Kaas di averlo svuotato senza dirlo agli archeologi è una mera supposizione. 
-
 Solo dalla testimonianza di una persona si presume la provenienza delle
 ossa. Ma, si sa, in campo scientifico la sola testimonianza non può 
bastare. E, poi, a guardar bene, la storia non sta in piedi: nessuno 
degli scavatori si accorse delle ossa, lo stesso Kaas non sospettò di 
chi fossero (ma come, se provenivano dal loculo costantiniano?) e non 
disse nulla a nessuno (papa compreso). Poco credibile.    
- L’analisi delle ossa non riuscì a stabilire in modo definitivo il sesso del defunto, anche se erano probabilmente di un uomo.
-
 Lo studio dei frammenti della mano sinistra escluse che essa fosse 
stata trafitta da un chiodo. Quindi quell’uomo potrebbe non essere stato
 crocifisso. 
-
 In ogni caso, è verosimile che delle ossa seppellite nella umida terra 
sopravvivano per 300 anni, e cioè fino al loro spostamento da parte di 
Costantino?       
-
 Appare curioso, poi, che salvo la dubbia iscrizione più volte citata, 
non ve ne siano altre di incontrovertibili a parlare di Pietro, che 
invece abbondano in altri luoghi di culto. Non è credibile che manchino 
proprio dove venne sepolto.    
- Vi sono antiche testimonianze (ad esempio graffiti sopra un muro di gesso) secondo le quali la tomba di Pietro era ad Catacumbas, cioè presso le attuali catacombe di San Sebastiano, poste sulla Via Appia (zona che consiglio di frequentare non da soli). 
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Non per nulla nel IV secolo dopo Cristo, il 29 giugno, più precisamente, si festeggiava la ricorrenza di Pietro in catacumbas. La basilica delle catacombe, poi, era originariamente chiamata Memoria Apostolorum in ricordo delle reliquie di Pietro (e Paolo). 
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Forse in un primo momento, e cioè prima di essere spostate in Vaticano, avevano riposato proprio li?
Conclusioni
Mi
 sembra di poter affermare che non ci sia una sola prova inoppugnabile 
che le ossa ritrovate in Vaticano appartengano a San Pietro. 
Troppe
 sono, infatti, le incongruenze dal punto di vista storico ed 
antropologico, così come le zone d’ombra nella ricostruzione dei fatti. 
Probabilmente
 Costantino fece murare una cassetta in una parete delle grotte 
vaticane. Ma questa era vuota, ovviamente all’insaputa dei fedeli. Il 
suo scopo (politico)  era unicamente quello di cementare la fede della nascente religione. 
Fonti bibliografiche, sitografiche: 
La Necropoli sotto la Basilica di San Pietro in Vaticano – Pietro Zander – Elio de Rosa editore
Nota: le fotografie a cura dell'autore sono di proprietà del medesimo. Per un loro utilizzo è sufficiente citarne la fonte. Si
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