“La porpora di Tiro si è
dimostrata la migliore di tutte in senso assoluto; i molluschi sono raccolti
nei pressi della riva e tutto ciò che è necessario per procedere alla tintura è
facilmente reperibile. Sebbene il gran numero di laboratori di lavorazione
della porpora renda la città poco gradevole per viverci, d'altra parte ciò la
ha resa molto prospera, grazie alla suprema abilità dei suoi abitanti”.
Strabone, XVI, 2, 23, I a.C.
- I d.C.
Gli operai fenici
Salomone
si assicura per la costruzione del tempio gli operai fenici, promettendo
qualunque compenso a Hiram re di Tiro:
“Io
ti pagherò, per il salario dei tuoi operai, tutto quello che domanderai, poiché
tu sai che non vi è alcuno tra noi che sappia tagliare il legname come i
Sidonii”
Antico
Testamento, I Re,
5, 6
I Fenici e l'invenzione
dell'alfabeto
“La gente dei Fenici ha la
grande gloria di avere inventato le lettere dell'alfabeto”.
Plinio il Vecchio, Storia naturale, V, 13, 67, I
sec. d.C.
“Questi Fenici giunti con
Cadmo (in Grecia) [...] introdussero presso i Greci [...] molte conoscenze, tra
cui le lettere dell'alfabeto, che, come credo, i Greci non avevano prima”.
Erodoto, V, 58, V sec. a.C.
“Contro coloro che sostengono
che i Siri sono gli inventori delle lettere dell'alfabeto e che i Fenici,
appresele da questi, le trasmissero ai Greci, [...] (i Cretesi) dicono che i
Fenici non le inventarono dall'inizio, ma soltanto cambiarono la forma dei
segni”.
Diodoro Siculo, V, 74, 1, I
sec. a.C.
Maestria degli artigiani
fenici che costruiscono il tempio di Gerusalemme
“L'intera costruzione fu
portata avanti con grande perizia, con l'uso di pietre tagliate così
precisamente e connesse tra loro così accuratamente [...], che all'osservatore
esse apparivano senza alcuna traccia di scalpello o di altri strumenti”.
Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, VIII, 69,
I sec. d.C.
LA CIVILTA' MINOICA AL SUO APOGEO, 1600-1450 a.C. |
La scrittura: dai pittogrammi
all'alfabeto
L'invenzione della scrittura,
in stretto rapporto con la formazione delle città, rappresenta un momento
fondamentale nello sviluppo delle civiltà umane.
Il modo più semplice per
trasmettere un messaggio consiste nell'accostare disegni, ciascuno dei quali
corrisponde ad un oggetto o ad una azione: i pittogrammi. È un sistema
utilizzato presso varie culture "primitive", ma che non riproduce
ancora il suono della lingua parlata. Dai pittogrammi si sviluppò la scrittura
ideografica, che nacque in Cina intorno al 2500 a.C. L'ideogramma non è che un disegno molto stilizzato,
corrispondente ad una parola; ma per rendere in questo modo tutti gli elementi
della lingua occorrono complessi artifici e molti segni, tanti quante sono le
parole (gli ideogrammi cinesi di uso corrente sono 6000). Si capisce subito che
questo è un sistema complesso da utilizzare e molto difficile da apprendere. Un
sistema diverso fu usato per la scrittura geroglifica e cuneiforme. Queste
scritture seguono un sistema ideografico-fonetico, cioè integrano gli
ideogrammi con elementi fonetici: i segni non si collegano solo a singole
parole, ma anche ai suoni che le compongono (fonemi). La scrittura egizia prese
a indicare parole di significato diverso, ma di suono uguale o simile, con lo
stesso ideogramma (geroglifico); alcuni geroglifici persero del tutto il loro
valore ideografico originario, per esprimere solo un gruppo di consonanti (la
lingua egizia non indicava le vocali). A questo si aggiunse l'impiego di alcuni
segni come complementi fonetici (per precisare il valore fonetico di un altro
ideogramma), e come determinativi (non si leggono ma indicano in quale
categoria va inserita la parola). Il sistema in uso in Mesopotamia, da cui era
nato quello egizio, si distingueva per avere schematizzato i segni pittografici
in tratti a cuneo (da cui la definizione di cuneiforme). I segni mesopotamici
indicavano sillabe, poiché nella lingua sumera le vocali avevano la stessa
importanza delle consonanti. Nonostante questi sistemi fossero più semplici di
quello ideografico, utilizzavano ancora varie centinaia di segni e richiedevano
un lungo studio; fu così che nel II millennio si tentò di superare queste
difficoltà procedendo ad una scomposizione sistematica delle parole in elementi
più semplici. A Creta, tra il 2000 e il 1500 a.C. si passò da una scrittura
"geroglifica" (che non ha nessun rapporto con quella egizia) alla "lineare
A", una scrittura prevalentemente fonetica, finora non decifrata, in
cui i singoli segni hanno valore sillabico. Dopo il 1500, nel mondo miceneo
comparve la "lineare B", una scrittura sillabica usata per
rendere una forma arcaica di greco, decifrata da M. Ventris nel 1952. Tuttavia
i sistemi sillabici erano ancora una soluzione inadeguata al problema di
fissare per iscritto la parola umana.
La soluzione decisiva si ebbe con l'invenzione della scrittura alfabetica, che usava solo 20-30 segni per indicare i fonemi base. Gli antichi ritenevano che fossero stati i Fenici a inventare l'alfabeto o ad apportarvi modifiche decisive. Oggi sappiamo che la prima manifestazione dell'alfabeto, con segni dall'aspetto figurativo, si ebbe nella zona siro-palestinese, ispirandosi ai segni monoconsonantici egiziani. Nella seconda metà del II millennio l'alfabeto appare diffuso in questa zona in varie forme; l'alfabeto in uso presso i Fenici fu adottato per la scrittura ebraica e aramaica e, intorno al IX secolo a.C., fu trasmesso ai Greci, che lo chiamavano proprio phonikikà grammata, "lettere fenicie". Poiché questo alfabeto, nato per una lingua semitica, indicava solo suoni consonantici, fu modificato dai Greci per indicare le vocali e altri suoni della lingua greca. Furono i primi coloni greci giunti in Occidente, gli Euboici, a diffondere l'alfabeto presso gli Etruschi, che lo adattarono alla loro lingua. Attraverso gli Etruschi o le colonie greche dell'Italia meridionale l'alfabeto fu adottato a Roma e usato per esprimere la lingua latina. Con la diffusione di questa lingua sulla scia delle conquiste di Roma, l'alfabeto latino soppiantò ogni altro tipo di scrittura: infatti, è questo l'alfabeto in uso per tutte le lingue moderne dell'Europa occidentale.
La soluzione decisiva si ebbe con l'invenzione della scrittura alfabetica, che usava solo 20-30 segni per indicare i fonemi base. Gli antichi ritenevano che fossero stati i Fenici a inventare l'alfabeto o ad apportarvi modifiche decisive. Oggi sappiamo che la prima manifestazione dell'alfabeto, con segni dall'aspetto figurativo, si ebbe nella zona siro-palestinese, ispirandosi ai segni monoconsonantici egiziani. Nella seconda metà del II millennio l'alfabeto appare diffuso in questa zona in varie forme; l'alfabeto in uso presso i Fenici fu adottato per la scrittura ebraica e aramaica e, intorno al IX secolo a.C., fu trasmesso ai Greci, che lo chiamavano proprio phonikikà grammata, "lettere fenicie". Poiché questo alfabeto, nato per una lingua semitica, indicava solo suoni consonantici, fu modificato dai Greci per indicare le vocali e altri suoni della lingua greca. Furono i primi coloni greci giunti in Occidente, gli Euboici, a diffondere l'alfabeto presso gli Etruschi, che lo adattarono alla loro lingua. Attraverso gli Etruschi o le colonie greche dell'Italia meridionale l'alfabeto fu adottato a Roma e usato per esprimere la lingua latina. Con la diffusione di questa lingua sulla scia delle conquiste di Roma, l'alfabeto latino soppiantò ogni altro tipo di scrittura: infatti, è questo l'alfabeto in uso per tutte le lingue moderne dell'Europa occidentale.
EGEO E MEDITERRANEO ORIENTALE TRA XI E X SECOLO a.C: |
I Fenici e la porpora
Tra gli apprezzati prodotti
dell'artigianato fenicio, i più famosi erano forse le stoffe tinte in color
rosso porpora. I Fenici avevano raggiunto una notevole perizia nell'arte della
tintura, e i tessuti così tinti erano apprezzati a tal punto da divenire indice
di ricchezza e raffinatezza. L'industria della porpora ebbe una tale importanza
economica e storica, che con il colore del prodotto (phoinix=rosso; ma
perché i Greci avrebbero dovuto usare un altro termine, oltre a quello che già
possedevano, erythros, per definire il
colore rosso? Probabilmente perché si trattava di un tipo differente di rosso:
un rosso violetto scuro, la ‘Porpora’ appunto. Phoinix non è un termine greco,
né indoeuropeo. Sembra essere la versione in lingua greca di un preesistente
vocabolo semita: Fehnkw. Il vocabolo è il termine esoetnico usato dagli Egizi
per i primi Fenici, che anch’essi parlavano una lingua semitica ed è presente
negli antichi contratti per il legno di cedro e nel racconto – anch’esso antico
– “Sinhue l’Egiziano”) si connotò il nome stesso dei Fenici. Era una attività
rivolta alla tintura indelebile, e perciò pregiata, di stoffe di lana o lino,
che utilizzava un pigmento ottenuto da molluschi del genere murex, reperibili nei bassi
fondali delle coste del Mediterraneo. La città di Tiro primeggiava in questa
attività: come ricorda Plinio il Vecchio "A Tiro si trova la migliore
porpora dell'Asia".
Ma la città fenicia più antica è Gebeil (che sarebbe divenuta Byblos) di cui gli archeologi hanno trovato tracce risalenti al VII millennio a.C. (tracce di capanne a camera singola, con pavimenti in pitra calcarea frammentata e idoli di pietra rappresentanti la divinità El. Per questo motivo, alcuni pensano che Biblo potrebbe essere la più antica città del Mondo).
Ma la città fenicia più antica è Gebeil (che sarebbe divenuta Byblos) di cui gli archeologi hanno trovato tracce risalenti al VII millennio a.C. (tracce di capanne a camera singola, con pavimenti in pitra calcarea frammentata e idoli di pietra rappresentanti la divinità El. Per questo motivo, alcuni pensano che Biblo potrebbe essere la più antica città del Mondo).
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La scoperta della porpora era narrata da un mito. Melquart (equivalente al greco Eracle), fondatore e dio della città di Tiro, inventò questo procedimento di tintura per fare un dono ad una ninfa di nome Tiro. Essa, durante una passeggiata lungo la spiaggia aveva ammirato il colore sprigionato dal succo di un mollusco e aveva rifiutato la proprie grazie al dio fino a quando non le avesse fatto dono di una veste di quel colore (questo – naturalmente – è solamente un mito: in realtà, non ci siamo proprio con il tempo necessario per creare la tintura: più o meno come avviene con Odisseo che spreme vino direttamente dall’uva, nella caverna del Ciclope). |
Ma come si arrivava al pigmento
per tingere le stoffe? Le modalità di lavorazione erano le seguenti. Dopo avere
pescato i molluschi, forse con nasse, questi venivano messi in ampie vasche;
infrante le conchiglie che ricoprivano i molluschi, essi subivano in processo
di macerazione, durante il quale si otteneva il pigmento. A questo punto si
diluiva il colore con acqua di mare, a seconda dell'intensità della gradazione
desiderata, dal rosso cupo al violetto. Gli scavi hanno messo alla luce, alla
periferia di centri urbani fenici, enormi cumuli di gusci infranti, i resti
della lavorazione della porpora, che avveniva fuori degli abitati per il
cattivo odore emanato dal prodotto durante le prime fasi della lavorazione. Per
tutto il mondo classico la porpora e le stoffe così tinte rimasero connesse con
l'immagine del lusso e del potere civile e religioso, di cui furono il simbolo.
Nella prima età imperiale romana la porpora, anche per i suoi altissimi prezzi,
era riservata agli imperatori, ai senatori e ai sacerdoti. Il suo fascino rimase
intatto per secoli, fino alle ultime fasi del mondo antico quando ormai era
riservata solo all'imperatore e alla sua famiglia. L'imperatore d'Oriente
Teodosio II (401-450 d.C.), come si legge nel suo famoso codice, stabilì
l'invio di funzionari presso le manifatture di porpora fenicie per vigilare
contro ogni frode, perché "Ogni persona, di qualsiasi sesso, rango,
mestiere, professione o famiglia dovrà astenersi dal possedere quel genere di
prodotto, che è riservato solo all'Imperatore e alla sua Famiglia.
Sulle cause che determinarono
la fine dei regni micenei non vi è accordo tra gli studiosi. Per alcuni furono
le scorrerie dei "Popoli del mare", per altri si trattò di una crisi
seguita all'enorme sforzo economico e militare affrontato durante la guerra
contro Troia, cui si aggiunsero rivalità tra i singoli regni.
Più recenti sono le tesi che indicano
come responsabile della decadenza una serie di concause: disastrosi terremoti,
seguiti da un periodo di carestia e di anarchia da vuoto di potere.
Si sa, infatti, che i regni
micenei erano basati su un’economia molto precaria: producevano armi e metallo
per armi, ma non producevano abbastanza cibo per la propria popolazione.
Pertanto, erano fortemente dipendenti dai paesi produttori di grano (l’Egitto, ad esempio e quelle terre
che in seguito sarebbero divenute la Palestina). Si ritiene che qualsiasi
squilibrio economico nei paesi produttori avrebbe potuto sconvolgere
completamente l’economia micenea, in seguito ad un aumento del prezzo del grano
dovuto anche ad una modesta riduzione della produzione. Probabilmente, così avvenne.