Numerosissimi problemi, anche giudiziari, gravano sul patrimonio culturale delle nostre isole e di tutta la nazione. Forse anche la difficoltà stessa di stabilire una priorità fra mille urgenze differenti crea l'attuale situazione di deplorevole inerzia di ogni autorità.
ISOLA di FAVIGNANA (Tp).
Graffiti e pitture.
Veri o falsi?
La vicenda dei graffiti, veri o falsi, ritrovati nella grotta detta dell'«Ucciria», in contrada Bosco, sull'isola di Favignana
pone una seria riflessione sullo stato del patrimonio culturale in
Sicilia, più vessato che protetto, più al centro di speculazioni che di
interventi volti a una reale valorizzazione e fruizione.
E' nota la vicenda del professore Torre, geologo/archeologo, che nei giorni scorsi, con toni assai trionfali accompagnati da testimonianze fotografiche, annunciava l'importante ritrovamento delle pitture legandolo a un probabile sviluppo dell'isola, ma è anche nota la pronta smentita del Comune di Favignana che, con documenti alla mano, diceva che quei graffiti erano noti da sempre.
Dello stesso parere si dichiarava la sezione di
Favignana di Legambiente nel ricordare che « la scoperta di graffiti
sull'isola risale al 1870 grazie agli studi e alle ricerche del marchese
Guido dalla Rosa».
Su tutto, il silenzio della Soprintendenza di Trapani che solo ieri, con un comunicato stampa, cerca di fare chiarezza sulla vicenda. Solo che le notizie che fornisce non sono uno spartiacque tra il vero o il falso, tra scienza e conoscenza, tra valori culturali e "bufale"; la nota, se da un canto definisce «intempestive e incaute» le notizie sul ritrovamento diffuse dal prof. Torre, dall'altro sostiene che «gli elementi della scoperta, ovvero l'esistenza dei graffiti erano noti alla Soprintendenza» e che studiosi di fama internazionale avevano nicchiato sulla loro autenticità attribuendoli a qualche buontempone che si era ispirato ai disegni incisi nella grotta dei Genovesi di Levanzo.
Su tutto, il silenzio della Soprintendenza di Trapani che solo ieri, con un comunicato stampa, cerca di fare chiarezza sulla vicenda. Solo che le notizie che fornisce non sono uno spartiacque tra il vero o il falso, tra scienza e conoscenza, tra valori culturali e "bufale"; la nota, se da un canto definisce «intempestive e incaute» le notizie sul ritrovamento diffuse dal prof. Torre, dall'altro sostiene che «gli elementi della scoperta, ovvero l'esistenza dei graffiti erano noti alla Soprintendenza» e che studiosi di fama internazionale avevano nicchiato sulla loro autenticità attribuendoli a qualche buontempone che si era ispirato ai disegni incisi nella grotta dei Genovesi di Levanzo.
La sovrintendente, arch. Paola Misuraca, nella nota, chiarisce che «già nel 2000 il prof. Sebastiano Tusa aveva inserito la grotta in un ampio e complesso progetto di studi e ricerca archeologica sulle grotte del Trapanese» e che «la presenza di figure dipinte nella grotta del Cervo non era stata rilevata da studiosi dell'Università di Firenze». Restano quindi ancora molti dubbi, anche da parte della Soprintendenza, sull'autenticità del ritrovamento.
Dal canto suo, il geologo Torre sostiene di avere informato ancor prima di diffonderne la notizia, la responsabile del comparto archeologico del servizio dei Beni culturali.
Se per tanti versi la vicenda rasenta il paradosso, non resta che ritornare alle considerazioni iniziali sullo stato e sulla gestione del patrimonio culturale in Sicilia; se in Francia e in Spagna le testimonianze della preistoria sono considerate un immenso valore storico, antropologico e culturale, non si può dire la stessa cosa della Sicilia partendo da Levanzo per raggiungere quelli meravigliosi delle grotte dell'Addaura a Palermo devastati da vandali e privi di qualunque protezione. È un patrimonio che crolla quello della cultura dell'antichità in Sicilia? Sembra proprio di sì se a "custodirlo" permane una burocrazia incapace e annoiata, se questo bene comune resta soltanto una gestione di spesa e non una opportunità di sviluppo economico, se i siti culturali permangono nell'incuria e l'abbandono.
Se così non fosse, come sarebbe potuto accadere che per un decennio la società che gestiva i servizi aggiuntivi nei musei, nei parchi archeologici della Sicilia non versasse le quote dovute alla Regione e ai Comuni per un ammontare che supera i trenta milioni di euro? Per far cessare una così scandalosa vicenda serviva l'intervento della magistratura e un mandato di cattura per il responsabile della società che gestiva questi servizi in proroga del contratto iniziale? Pare proprio di sì se nessuno dell'amministrazione regionale muoveva un dito. Per non parlare delle gare in atto per l'affidamento di tali servizi a nuovi gestori vanno avanti dal 2010 grazie a procedure lente e cavillose che finiscono per togliere fiato e risorse alla Sicilia.
Fonte: La Sicilia, 01/12/2012