giovedì 13 giugno 2013

Baschi e Sardi



Un Bronzo di Botorrita, tra le più importanti testimonianze della lingua dei Celtiberi. Risalenti al I secolo, sono redatti in alfabeto iberico
Indoeuropeizzazione.

di M. Feo


Il vocabolo sottende un lento e lungo processo – in parte ancora non ben spiegato, in quanto avvenuto in un periodo in cui i documenti scritti erano ancora assenti o scarsissimi – d’espansione di una particolare famiglia di linguaggi, detti appunto Indoeuropei.

Non si conosce la “culla” (Urheimat) delle lingue Indoeuropee, cioè la sede d’origine, ma si pensa che fosse una zona piuttosto piccola, all’inizio del processo.
I linguisti ancora ne discutono, anche se il ventaglio di possibilità – che prima era vastissimo, includendo anche Antartide ed Artide – è ormai ristretto quasi definitivamente ad una zona più o meno vaga e più o meno vasta, sita nell’Europa Sud Orientale.

E’ ormai considerata errata l’ipotesi che le lingue Indoeuropee si siano affermate a causa di una superiorità biologica delle popolazioni che le parlavano.
Contro questa sbagliatissima opinione,  J. P. Mallory ebbe a scrivere: "We are always wary of suggesting models of expansion that will be caricaturized as hordes of frenzied Aryans bursting out of the Russian steppe and slashing thei way into the comparative grammars of historical linguists". (Siamo sempre attenti a non proporre modelli d'espansione che si possono parodiare come orde di Ariani impazziti che irrompono dalla steppa russa e si aprono la strada con fendenti di spada attraverso le grammatiche comparative dei linguisti storici).
Se da un canto si nega la superiorità biologica (che è un concetto razzista), dall’altro si ammette che esistesse qualche cosa che permetteva agli Indoeuropeo parlanti un sensibile vantaggio sulle altre popolazioni circostanti. Doveva esistere qualche elemento determinante che rendesse desiderabile, se non preferibile o addirittura indispensabile, l’apprendimento di una nuova lingua.
Nell’ipotesi di Marija Gimbutas questo qualche cosa era rappresentato dall’uso del cavallo – conosciuto ai Kurgani, che lo avevano in dono dalla natura nelle proprie terre e quindi avevano potuto addomesticarlo –   che permetteva un più ampio raggio d’azione e maggiore velocità che alle altre popolazioni.
Nelle varie ipotesi, questo fattore di vantaggio può variare, ma ha la costante di essere rappresentato sempre da un elemento di origine geografica: una fortuna casuale. Praticamente: i classici due semi identici che cadono uno sulla terra fertile e l’altro sulla terra arida, ma non per questo sono uno migliore dell’altro.

Francisco Villar[1] – parlando dei Baschi – riferisce che l’indoeuropeizzazione della Penisola Iberica cominciò tardi. È abbastanza sicuro che tutti i gruppi IndoEuropeo parlanti giunsero attraverso i Pirenei. L’indoeuropeizzazione dell’Europa era partita dalla regione Danubiana centroorientale e quello di quest’ultima dalle steppe del sud della Russia.
Ciò significa che il processo giunse in Spagna molto dopo che nell’Europa Danubiana. In precedenza,  la cultura neolitica della Vecchia Europa si era diffusa in Occidente ed aveva raggiunto la penisola iberica. Così in Spagna la civiltà della Vecchia Europa – caratterizzata da aspetti peculiari – sopravvisse ancora per molti secoli, anche dopo che quest’ultima era scomparsa dalla sua sede d’origine, la regione danubiano-balcanica.
Di tutta la Vecchia Europa, gli unici superstiti rimasti sono attualmente i Baschi, a sud (a nord della linea che gli Indoeuropei non oltrepassarono mai si trovano essenzialmente i linguaggi Ugro-finnici).
La Lingua Basca (Euskara) è l’unica lingua di quella fase remota che sia sopravvissuta. Anche nelle leggende  e nelle usanze basche permangono non pochi segni identitari dei quell’antica cultura agraria e matriarcale.
Tutti gli indizi lasciano presupporre che questo popolo (Vasconi, Autrigoni, Caristi, Varduli, Airenosi, Andosini e forse Aquitani) si sia insediato almeno nel Neolitico al di qua ed al di là dei Pirenei. Potrebbero essere giunti da un posto che non conosciamo, oppure essere discendenti di abitanti mesolitici già stanziati in quelle zone. Si sa che  si tratta di un popolo e di una lingua che hanno sempre subito la pressione di popolazioni circostanti di cultura e d’organizzazione sociale superiore, subendone talvolta le invasioni.
Eppure, ha saputo sopravvivere, pur dovendo subire la penetrazione di elementi provenienti da altre lingue (di adstrato e di sostrato, rispettivamente provenienti da lingue di popolazioni circostanti e lingue preesistenti).
Villar esprime questi ad altri concetti con estrema semplicità, senza farsi troppi problemi nel descrivere i Baschi come una popolazione (un isolato genetico) incastonata dal caso in una posizione di qualche inferiorità rispetto ad alcune delle altre circostanti: certamente non tutte, ma quelle indoeuropeo parlanti sicuramente sì.
Infatti quelle s’imposero ed il Basco no. Già fu un grande merito (che è giusto studiare in tutti i suoi risvolti) di quella cultura se essa sopravvisse e giunse fino a noi, pur navigando in ambiente ostile.

I Baschi, per loro tendenza difensori della loro elitaria posizione identitaria, probabilmente non gradiscono affatto questa esposizione dei fatti: non escluderei del tutto che alcuni tra loro ne sostengano una versione del tutto differente.

A questo punto mi fermo: faccio solamente notare come esistano numerose e strette analogie tra la posizione  della cultura dei Baschi e quella dei Sardi e similmente siano puntuali le somiglianze nell’atteggiamento orgogliosamente identitario che uniscono alcuni rappresentanti delle due rispettive popolazioni in difesa di rappresentazioni 'alternative' del proprio passato.

Amare qualcuno o qualcosa, invece, significa soprattutto conoscerne appieno la natura – amarlo per i suoi pregi e malgrado i suoi difetti – e per tale motivo rappresentare l'oggetto del proprio amore sempre obiettivamente ed in modo completo, includendo gli uni e gli altri.


[1] Francisco Villar Liébana (23 maggio 1942) è un linguista spagnolo, professore di linguistica indoeuropea all'Università di Salamanca dal 1979 e autore di numerosi lavori fondamentali della moderna indoeuropeistica.