Se avessi una colica renale, probabilmente proverei, poco prima, una serie di strane sensazioni mal definibili, confuse. Magari non ricorderei neppure di 'non essermi sentito troppo bene' nei giorni precedenti (e d'altronde può non accadere).
Più spesso la colica arriva di notte, o nel primo mattino, ma non è una regola ferrea.
Avrei
come la sensazione di dovere urinare ed insieme sentirei la necessità
di andare di corpo. Poi, in una sequenza inusitata e fastidiosa, ancora
la necessità di dovere urinare (ma come mai?) e ancora quella di andare di corpo, senza mai soddisfare né l’una né l’altra necessità (ma che cosa sta accadendo?)…
Forse noterei un colore un po’ troppo carico dell’urina, se non addirittura un colore rosso dovuto a sangue. Forse noterei un sedimento scuro, oppure ricorderei che c'è stato, nei giorni precedenti…
Neanche il tempo di preoccuparsi troppo per questo curioso fenomeno strano, e subito, veloce come una freccia, ecco il dolore!
All’improvviso, lancinante, al fianco e all’addome, irradiato verso il basso al centro. Un pugno ed una coltellata.
Una volta sola?
No,
una prima fitta fortissima, seguita da una serie di altre uguali,
subentranti senza requie, spietatamente vicine, numerose, interminabili.
Non troverei una posizione che lenisca temporaneamente il dolore.
Almeno,
nella sciatica si possono piegare le coscie sull’addome e le ginocchia,
in modo da alleviare la tensione delle emergenze nervose.
In una colica addominale, qualche volta dà sollievo ranicchiarsi in posizione fetale, al caldo, sul letto.
La colica renale, no. Non permette neppure il letto: non c’è requie, non c’è pace. Ci si deve muovere, continuamente, freneticamente, soffrendo. Si dà l’impressione – a sé e agli altri – di essere diventati pazzi, posseduti dal male (si vorrebbe scappare fuori dal proprio corpo ed andare altrove, in un altrove che purtroppo non c'è).
E’ un allarme, che urla con mille sirene dentro il corpo, mentre tutte le spie rosse s’accendono e lampeggiano (Houston, we have a problem!).
Si diviene incapaci di fare le più semplici cose.
Una
serie di dolori lancinanti, fittamente consecutivi, senza potere fare
nulla per se stesso, anche nel caso si conoscano bene i farmaci
necessari e le loro dosi e le modalità di somministrazione (cioé: anche se sei un medico!)…
Forse compare la nausea, talvolta anche il vomito,
che però non è liberatorio, come nelle indigestioni, oh no: il dolore non
si ferma, a meno a che qualcuno (non certo noi) non riesca ad
intervenire con la giusta terapia…
Passa, non passa? Sembra di no…
Mio Dio, speriamo di sì…
Per quanto poco possa durare, la colica renale è sempre e comunque troppo lunga…
E dopo?
I farmaci possono iniziare la loro azione.
Oppure
il calcolo può proseguire lungo la sua strada, nell’uretere, spinto da
una benevola peristalsi ureterale fortunata, fino ad arrivare in un punto (la
vescica) dove non dovrebbe più nuocere…
Allora, finalmente, il dolore smette.
Anche
allora, però, permane la situazione d’allarme. Per giorni ancora, per
settimane, qualunque dolorino, qualunque contrattura muscolare, ogni
minima cosa farà temere il ritorno di quell’orribile cosa: che “quel”
dolore sia davvero sul punto di riprendere.
Ma nei casi fortunati, tutto finisce lì:
il calcolo è arrivato nella vescica, spesso è stato un poco ridotto
nelle sue iniziali dimensioni dal pur delicato “massaggio” muscolare
della peristalsi, infine ha attraversato l’uretra – che è di calibro
molto maggiore dell’uretere – senza neanche farsene accorgere.
Questo è molto più vero per l’uretra femminile, più corta e senza ostacoli.
Nel maschio, può accadere che un calcolo particolarmente conformato e voluminoso resti incastrato nell’uretra prostatica. I
medici lo definiscono “morulare”, riferendosi alla sua superficie,
fatta di tante piccole protuberanze, che lo rendono simile ad una mora. I pazienti lo definiscono con modi e toni meno poetici, riferendosi al dolore ed alle peripezie alle quali li ha costretti.
Un
calcolo bloccato, incastonato nell’uretra prostatica non è un’evenienza
frequente, ma è un’esperienza sublime di dolore: si chiama ritenzione
urinaria acuta. Riesce ad essere anche peggio della colica renale.
Un calcolo urinario, inizialmente "a stampo caliceale renale", che si è gradatamente frantumato durante un'orribile colica e che poi è andato ad incastrarsi nell'uretra prostatica ed ha richiesto la rimozione endoscopica strumentale. |
Non
a caso un sadico imperatore romano, sofferente di ritenzione
prostatica, l’aveva scelta come tortura per i propri schiavi, per
vederli soffrire come soffriva lui: è una punizione atroce.
Oggi, non più: si tratta di un piccolo problema, che si risolve con un intervento endoscopico. Si utilizza un cistoscopio detto “operatore”, attraverso il quale passa una sottile pinzetta detta “da corpo estraneo”.
Mai un corpo fu così tanto maledettamente estraneo quanto un calcolo incastrato, perbacco!
Sono
tutti arnesini curiosi, che fanno pensare a quegli strumentini usati
per costruire le navi i bottiglia. Bisogna saperli usare, naturalmente:
devono passare attraverso l’uretra e la prostata, fino ad arrivare in
vescica.
Qualcuno qui storcerà il naso…
Non
è certamente una cosa che ci si lasci fare per piacere personale, per sport, oppure per
hobby: ma in caso di necessità e di dolore acuto ed impossibile, non è
tortura, è salvataggio e salute.
"Grazie, dottore", è il liberatorio sospiro del paziente, finalmente libero.
Eppure, continuiamo a stapagare i calciatori.
La prossima volta che hai una colica, vai allo stadio, allora!