Si può usare la definizione di DNA antico per tutto il
materiale biologico animale o vegentale (che contenga DNA) rinvenuto in
contesti archeologici o geologici relativi ad epoche ormai molto lontane.
Il DNA può infatti essere recuperato da ossa, da tessuti
molli mummificati, da campioni di materiale medico d’archivio non congelati, da
resti conservati di piante, da ‘carote’ di ghiaccio o di permafrost, da plancton olocenico nei sedimenti marini o
lacustri.
Differenza tra antico e moderno.
A differenza degli studi genetici su materiale di
popolazioni d’oggi, quelli sul DNA antico si caratterizzano per la cattiva
qualità del DNA stesso.
A causa del decadimento delle molecole di DNA – processo da
mettere in relazione a tempo, temperature e presenza di acqua libera – esistono
limiti oltre i quali non ci si può
aspettare che il DNA possa sopravvivere. Ciò pone alcuni limiti a ciò che se ne
può ottenere.
Degradazione del DNA.
Alcuni ricercatori hanno anche cercato di calcolare le
modalità di decadimento del DNA. Conducendo il loro studio sulle ossa di Moa
(un uccello predatore estinto, di dimensioni molto superiori a quelle di uno
struzzo), hanno dimostrato come si deteriori in modo esponenziale. Hanno
ottenuto un modello secondo il quale il mtDNA perderebbe un paio di basi ogni
6.830.000 anni, ad una temperatura di -5°C. [1]
Le cose vanno peggio per il DNA del nucleo della cellula,
che si degrada ad una velocità almeno doppia a quella del DNA mitocondriale.
Primi errori.
Per questi motivi, il DNA antico può contenere anche un
numero molto elevato di mutazioni post-mortem, destinate ad aumentare nel
tempo. Alcune regioni del polinucleotide sono più suscettibili delle altre alla
degradazione e possono anche superare i filtri che sono volti alla validazione
dell’esperimento.
Anche nella sequenziazione si può incorrere in errori. In
seguito a sostituzioni dovute alla deaminazione, la Citosina può risultare
molto sopra-rappresentata nelle sequenze di DNA antico. Gli errori più
frequenti sono l’errata codificazione
tra T e C e tra G ed A.
Antidiluviano.
I primi studi furono fatti proprio su DNA ‘antidiluviano’
(come veniva definito allora) da insetti conservati in ambra (come nel film
‘Jurassic Park’) Dominicana risalente all’Oligocene, oppure in ambra Libanese
del Cretaceo, quindi ancora più antica. Furono usati anche altri materiali:
ossa di dinosauro, uova, batteri.
Sembrò allora che si potesse identificare e riprodurr
qualsiasi DNA, per quanto antico fosse.
Ma l’entusiasmo ebbe breve vita: presto si dimostrò
l’importanza ed il rischio dell’inquinamento dei reperti con DNA moderno,
quando si reperì un cromosoma Y umano in un DNA di dinosauro ed il DNA batterico
di Halobacterio antico 250 milioni di anni risultò troppo simile a quello di
batteri moderni.
Quindi ebbe inizio la fase attuale di ricerca, con una
“Archeogenetica” più consapevole e più prudente, che ha fatto tesoro dei primi
inconsapevoli errori ed ha prodotto una vasta messe di risultati più attendibili ed interessanti.
Oggi, infatti, superati i primi errori e problemi, l’unico vero rischio è Etico.
[1] Allentoft ME, Collins M,
Harker D, Haile J, Oskam CL, Hale ML, Campos RF, Samaniego JA, Gilbert MTP,
Willerslev E, Zhang G, Scofield RP, Holdaway RN, Bunce M (2012). "The half-life
of DNA in bone: measuring decay kinetics in 158 dated fossils". Proc.
R. Soc. B 279: 4724–33.