Da un articolo di Maurizio Feo, pubblicato sulla rivista "Sardegna Antica", organo della ONLUS C.S.C.M. - Nuoro.
Verità di un Tabù e mistero di un Mito.
Antropofagia: s. f. [dal gr. ἀνϑρωποϕαγία, comp. di ἄνϑρωπος «uomo» e -ϕαγία «-fagia»]. – il cibarsi di carne umana, come uso
(detto anche cannibalismo) diffuso in passato presso alcune società primitive
(Africa centrale e centro-merid., talune zone dell’Asia sud-orientale e
insulare, Oceania, Amazzonia, ecc.): a. endocannibalica o esocannibalica, a
seconda che le vittime fossero scelte nel proprio gruppo sociale (individui
morti per cause naturali, bambini indesiderati, ecc.), oppure al di fuori di
esso (nemici uccisi in battaglia, stranieri catturati, ecc.); a. profana,
legata a necessità alimentari; a. giudiziaria, a spese degli individui
condannati a morte per delitti o altri motivi; a. rituale, in cui si consumavano
le carni delle vittime sacrificate in relazione a riti religiosi; a. magica, in
cui si consumavano la carne, il grasso e determinati organi (cuore, fegato,
ecc.) di un defunto per appropriarsi magicamente del coraggio, della forza o di
altre sue facoltà.
Prove indiscutibili dimostrano che l’antropofagia fu
praticata dall’uomo.
Disagio diffuso.
Il vocabolo stesso è tabù. Dell’antropofagia “non è bello
neppure parlarne”, figurarsi il credere che sia esistita: alcuni sono
decisamente contrari[1].
Comunemente, si sostiene che esista nell’uomo un impulso etico teso a
salvaguardare la vita umana, una specie di naturale repulsione, che impedisca all’uomo di consumare carne
cospecifica. Sono numerose le eccezioni dettate da circostanze “estreme” di
necessità e di fame, quali: disastri aerei, naufragi e altre situazioni nelle
quali “più che l’amor poté il digiuno”[2].
Il cannibalismo istituzionalizzato
si relega alle popolazioni dei “primitivi” ed è lì che viene usualmente cercato
e trovato[3].
Altri credono con forza nella realtà del cannibalismo umano e ne producono le
prove[4].
Ma l’Antropologia e persino l’Archeologia e la Storia ci
raccontano una versione molto cruda.
La natura bellicosa dei Chiefdom più avanzati e dei
primi Stati conferma che il sacrificio di animali sugli altari preludeva ad
uccisioni umane nei campi di battaglia. Prove chiarissime dimostrano che
guerrieri, cui era presumibilmente proibito mangiarsi tra loro, non per questo
erano meno inclini ad uccidersi reciprocamente. E poi? Potremmo subito domandarci
perché mai gli Dei delle antiche religioni dei primi Chiefdom e dei primi Stati
non accettassero carne umana nei sacrifici loro dedicati.
Eppure esisteva il sacrificio umano, in quei tempi
antichi: in essi si uccideva un essere umano. Ma tale sacrificio era molto
differente dal sacrificio d’animali. Nel sacrificio di animali, il sacrificio
stesso era seguito da un banchetto re-distributivo alla popolazione del cibo…
Ma le religioni istituzionali non prevedevano che agli Dei piacesse cibarsi
dell’uomo, pur accettandone il sacrificio, mentre evidentemente non
disdegnavano affatto cibarsi degli animali sacrificati. Perché? Si potrebbe rispondere che agli Dei piacevano le
stesse cose che piacevano agli uomini e che per questo rifiutavano di cibarsi
dell’uomo. Perché l’uomo rifiuta di cibarsi dell’uomo…
Ma non è affatto così semplice.
Innanzitutto: ecco una ben documentata e recente tradizione
d’antropofagia europea, riportata per
sfatare credenze errate, ma ormai consolidate, sul cannibalismo…
Dal XVI al XVIII secolo dopo Cristo, sia in Inghilterra sia
nel continente europeo i libri di medicina raccomandavano l’uso di un farmaco
chiamato “mummy” (lett.: “mummia”).
Questo farmaco “era ottenuto da resti di un corpo umano imbalsamato, seccato,
talvolta polverizzato o preparato in altro modo, preferibilmente da soggetto
morto per morte improvvisa, o violenta”. Le farmacie di Londra erano ben
fornite di grandi scorte di questo discutibile “farmaco”, ma la richiesta era
così grande che esistevano anche negozi appositi, detti “mummy shops”, spesso indicati dai medici stessi[5].
È una forma di cannibalismo indiscutibile e recente,
sconcertante, anche se in qualche modo “mascherata”. Ne esistono numerosissimi
in tutto il mondo, anche di molto recenti[6].
Cannibalismo
tra gli animali.
Un caso di particolare interesse è la cosiddetta
“placentofagia”[7], presente
anche tra gli erbivori, che gli
scienziati non sanno spiegare completamente. S’ipotizza che possa servire a
eliminare odori atti ad attirare i predatori, oppure a fornire principi
nutrienti di cui la madre avrebbe bisogno dopo il parto. Altri – in relazione
alla placentofagia umana – sostengono che sia un modo per recuperare sostanze
analgesiche ed utili sia all’emostasi dell’utero della puerpera, sia all’inizio
della lattazione (prostaglandine e ossitocina). Ma certamente si tratta di
tentativi di spiegazione erudita, “a posteriori”, di un comportamento che
nell’animale è istintivo e non ben comprensibile[8].
Placentofagia in un animale erbivoro |
Di fatto la placentofagia è stata in uso un po’ dovunque (anche
in Sardegna) fino a tempi recenti: in Toscana far bere alla puerpuera il brodo
di placenta, ma a sua insaputa, garantirebbe la montata lattea. In Campania per
assicurarsi il mantenimento della secrezione lattea si consiglia di tritare la
placenta e farla soffriggere: la puerpera ne dovrà mangiare un pezzetto al
giorno.
Se si è schizzinosi si può anche nasconderla con abbondanti fagioli e pane: la puerpera sarà meglio in grado di produrre latte. Altre credenze sostebgono sia utile sotterrare la placenta sotto un fico (comunque, nei pressi della casa): questa pianta piena di latte assicurerà un’abbondante secrezione lattea.[9] Nella medicina cinese la placenta umana essiccata è usata per curare vari tipi d’astenia, impotenza, infertilità (con il nome di Ziheche).
Se si è schizzinosi si può anche nasconderla con abbondanti fagioli e pane: la puerpera sarà meglio in grado di produrre latte. Altre credenze sostebgono sia utile sotterrare la placenta sotto un fico (comunque, nei pressi della casa): questa pianta piena di latte assicurerà un’abbondante secrezione lattea.[9] Nella medicina cinese la placenta umana essiccata è usata per curare vari tipi d’astenia, impotenza, infertilità (con il nome di Ziheche).
In altri casi si tratta solo d’una moda recente[10],
che invita a riprendere “abitudini naturali e non dannose, quindi lecite”:
senza però tenere conto del fatto che sono moltissimi gli atteggiamenti
naturali del tutto leciti per gli animali che la nostra Etica d’esseri evoluti
e pensanti non consente di seguire.
La placentofagia è presente in quasi tutti i mammiferi[11] ed è ormai in via d’abbandono definitivo nella nostra specie, rimanendo d’uso comune solo nelle popolazioni meno evolute, nelle quali le tradizioni magico religiose resistono ancora.
Placenta umana cruda |
Placenta umana con broccoli |
La placentofagia è presente in quasi tutti i mammiferi[11] ed è ormai in via d’abbandono definitivo nella nostra specie, rimanendo d’uso comune solo nelle popolazioni meno evolute, nelle quali le tradizioni magico religiose resistono ancora.
Evidenze nell’uomo.
Reperti umani che suggeriscono l’antropofagia furono trovati
nella zona del Pueblo degli Indiani Nordamericani Anasazi tra il 1150 e il 1200
d.C.. Siti simili sono numerosi in quella zona e uno dei primi ad avanzare
ipotesi di cannibalismo fu il bioarcheologo C. G. Turner, nel 1967, ma
l’opinione fu accolta con incredulità.
Altre prove arrivarono nei ‘90, quando
furono esaminati al microscopio elettronico resti umani rinvenuti in un altro
sito abitato dagli Anasazi, nei pressi di Mancos[12]. Oltre a chiari segni di cottura, fu trovata anche
una pentola con residui di mioglobina umana, una proteina muscolare presente
nel cuore e nei muscoli scheletrici.
Più recentemente, l’analisi dei resti rinvenuti nella grotta
di Moula-Guercy, nella regione
dell'Ardeche, in Francia, abitata da neandertaliani (tra i 35 e i 125 mila anni
fa) ha indotto archeologi francesi e americani a formulare l’ipotesi di
cannibalismo, per via del reperimento di ossa umane che recano tagli
e fratture simili a quelle su animali macellati. Questa scoperta conferma quella fatta verso la fine del 1800 nel sito
di Krapina, in Croazia, anch'essa
abitata da neandertaliani.
Le nuove testimonianze emerse nella piccola grotta di Hilazon
Tachtit, in Galilea, suggeriscono che i banchetti funebri – cerimonie senza
cannibalismo, nelle quali la sepoltura è però collegata con un pasto –
iniziarono almeno 12.000 anni fa, verso la fine del Paleolitico[13].
Questi primi rituali gettano le basi per le più elaborate cerimonie di
commemorazione dei morti caratteristiche delle comunità agricole del
Neolitico.
Una prova a favore dell’esistenza del cannibalismo è data
dalla malattia detta Kuru [14],
tra i Fore della Nuova Guinea[15].
Si tratta di una patologia del sistema nervoso, trasmessa da un prione simile a quello responsabile del morbo di Creutzfeldt-Jakob[16].
Studiando tale malattia negli scimpanzè, il Nobel C. Gajdusek giunse alla
conclusione che era causata da una forma particolare di cannibalismo rituale,
che comportava l’assunzione del cervello dei parenti defunti.
Il cannibalismo del Neandertal fu accolto con minore
disagio, essendo quest’ultimo più spesso considerato, per sentire comune, un bruto
meno che umano, lontanissimo nel
tempo. Anche quello dei selvaggi della Papauasia fu accettato. Quello degli Indiani
Nordamericani, troppo vicini a noi, già dette molto più fastidio e fu subito
messo in dubbio…
Tra le varie forme che l’antropofagia può assumere, quella
che forse riveste maggiore interesse antropologico è il cosiddetto cannibalismo
di guerra. I racconti dei missionari
gesuiti contengono descrizioni dettagliate e per noi orribili, circa il consumo
dei prigionieri di guerra al termine di un cruento spettacolo pubblico. Esse
sono basate su conoscenza diretta di questo costume, tra le popolazioni del Sud
e del Nord America. Missionari protestanti e Governatori occidentali del XIX
secolo testimoniano questa presenza anche nelle isole della Melanesia. Studi
antropologici descrivono la pratica come presente nella Nuova Guinea interna[17].
E in Europa?
Non esistono testimonianze dirette di cannibalismo di
guerra pre-statale in Asia oppure in Europa, per il semplice fatto che i primi
modelli pre-statali d’aggregazione umana – precisamente: Banda, Tribù e Chiefdom,
che la praticavano – furono superati migliaia di anni fa da società di tipo
Statale, che nel tempo ne hanno cancellato tutte le tracce. In queste aree è
quindi necessario fare ricorso all’Archeologia, come unica testimone. E tracce
di una possibile antica pratica d’antropofagia devono essere prima di tutto cercate per potere essere eventualmente prima trovate e poi accuratamente interpretate. Un esempio è dato dal problematico “Inno
Cannibale”, episodio a sé stante dei Testi
delle Piramidi, che si scoprì per la prima volta nella tomba di Unis (Unas, fine della V Dinastia)[18],
in cui il Faraone si ciba degli Dei ed in tal modo ne acquisisce i poteri. Inoltre, nel 1979 Peter Warren, docente di Archeologia di Bristol,
scavando il materiale di crollo di una struttura nei pressi dell’antico palazzo
di Minosse, rinvenne un ambiente interrato che sarebbe stato ribattezzato “la
Stanza dei Bambini”. In questo ambiente, infatti, Warren si imbatté in un gran
numero di ossa umane, appartenenti ad individui molto giovani[19], mescolate ad ossa di bovini, ovini,
suini e canidi. Alcune ossa furono rinvenute anche all'interno di un pithos, insieme con gusci di lumaca e di altri molluschi
commestibili. L’esame osteologico dimostrò tracce di taglio volto al recupero
delle carni, cioè lontano dalle articolazioni, come sarebbe stato per un
semplice smembramento. L’ipotesi che formulò fu quella di antropofagia (forse solo rituale), ma quest’ultima non è
condivisa da altri autori, che ammettono al massimo un sacrificio umano[20]:
gli archeologi greci, da parte loro, non ammettono neppure questo. Eppure, il
sacrificio umano è provato, nella Creta Minoica: l’esempio più chiaro è quello
del Santuario di Anemospilia, presso Archanes. Vi si trovò lo scheletro di un
giovane, sacrificato poco prima del crollo per terremoto dell’edificio: tra le
sue ossa fu rinvenuto il coltello sacrificale e la decolorazione delle ossa
dimostrò che era morto dissanguato, sdraiato su un fianco e legato, posto su un
altare, nel 1750-1700 a.C.
All’inizio, quest’evidenza fu contrastata, in quanto si considerava
aprioristicamente la Civiltà Minoica come non violenta e pacifica. Oggi si crede ad un sacrificio,
effettuato per ingraziarsi gli Dei, allo scopo d’evitare la distruzione del
terremoto.
Andrea Carandini interpreta il rinvenimento di due
adulti ed un bambino, seppelliti nelle fondazioni delle mura cittadine di Roma
ricostruite nel 700 a.C. come possibili sacrifici umani, che si sarebbero resi
necessari in seguito all’obliterazione delle prime mura e che richiamerebbero
il mito di Remo[21]. Quindi, i
sacrifici umani sarebbero ancora ammessi in epoca così vicina, per scopi
religiosi gravi: ma l’antropofagia?
I motivi sociali.
Per comprendere meglio il problema dell’antropofagia, sarà
utile esaminare alcune dinamiche sociali nel Pre-Stato (Chiefdom) e nello
Stato, sia in Sardegna,[22]
sia nel Mondo.
La gente di Sumer, situato tra il Tigri e l’Eufrate, area
priva di piogge, ma acquitrinosa e ricca di paludi, sperimentò prestissimo
l’irrigazione di zone asciutte contigue. Presto (intorno al 4350, stando agli
archeologi), l’economia divenne dipendente da un’estesa rete di canali, in
quella che fu la prima Civiltà Idraulica.
Ma i sudditi dei Chiefdom locali, vessati da tasse e turni pressanti di
lavoro, s’accorsero allora di non potere più fuggire: non potevano portarsi via
con sé i canali e non erano più adatti alla vita nomade del pastore, non
potevano affrontare il deserto[23].
Restarono: pur non essendo schiavi, non erano veramente liberi. Col tempo, si
giunse allo Stato: i regni indipendenti datano al 3200 a.C.. Infine, un regno
più aggressivo degli altri (Sargon, circa 2350 a.C.) unificò tutta la
Mesopotamia.
A questo punto, l’organizzazione statale era ormai forte,
complessa, grande e multi-sfaccettata, tanto da potere assorbire ed
utilizzare nel lavoro servile le numerose
nuove presenze di nemici catturati in guerra. Avere più sudditi – servi, oppure liberi – avrebbe aumentato il surplus
da essi prodotto con il lavoro e quindi
avrebbe in ultima analisi resa più ricca e potente la classe dominante dello
Stato. In una società complessa organizzata, quindi, è più appetibile il lavoro
servile, che può permettere di aumentare tasse e tributi: è decisamente meglio
consumare i prodotti del lavoro degli schiavi a lungo nel tempo, piuttosto che
consumare la carne del loro corpo una volta sola.
A causa dell’esigua capacità produttiva delle loro economie,
invece, la Banda ed il Villaggio non possono usufruire dei vantaggi a lungo
termine offerti dalla cattura dei nemici: infatti, producono appena abbastanza
per se stessi. Non possiedono un apparato militare in grado di costringere i
prigionieri a servire un governo centralizzato e – infine – non possiedono una
classe dominante che si mantenga attraverso il prelievo fiscale. I nemici
sconfitti dalla Banda o dal Villaggio, pertanto, non possono essere inseriti in
attività per produrre un surplus di beni o servizi: tenerli come schiavi
prigionieri significa solamente doverli nutrire, cioè l’onere di lavorare per
mantenerli. Ecco perché – in genere – il destino degli avversari vinti, in
questo caso, è la morte, oppure la dispersione quanto più lontano possibile dai
confini. Ma – spesso – se i nemici vinti in guerra non possono servire da vivi
come produttori di cibo, possono servire altrimenti da morti, proprio come
cibo: questo è il cannibalismo di guerra. Orribile, per la nostra sensibilità
attuale, ma vero.
Un chiaro esempio accertato è dato dagli Aztechi. Già la
spedizione di Cortez rinvenne nella piazza di Tenochtitlan un vano con migliaia
di teschi umani[24]. Diversi
cronisti occidentali riportano in dettaglio le violente cerimonie d’uccisione
ed il consumo re-distributivo che si faceva dei prigionieri di guerra.
Evidentemente, gli Dei Aztechi gradivano la carne umana! Perché?
Il motivo principale è stato riconosciuto nell’ambiente
geografico nel quale essi vivevano: l’assenza assoluta d’animali erbivori che –
a partire da erbe e cellulosa indigeribili per gli uomini – producessero carne,
era seguita dalla conseguente assoluta mancanza di latte e derivati. In
considerazione del fatto che una dieta autenticamente vegetariana determina
nell’uomo adulto alcune gravi carenze (ed è assolutamente pericolosa per il
bambino, la donna gravida o pazienti traumatizzati, feriti o affetti da virosi)[25]
si deve tenere presente che gli Aztechi assumevano giornalmente meno della metà
dei proteine e grassi di quello che è lo standard della FAO. Essi erano, in un
raggio di 30 km dalla capitale circa 1.500.000: è stato calcolato che
assumevano al massimo pochi grammi di proteine al giorno. È logico presumere
che le credenze religiose degli Aztechi siano state almeno influenzate da un
ambiente così poco generoso? È credibile ipotizzare che i loro Dei avrebbero
anch’essi rifiutato la carne umana, se nell’ambiente Azteco fossero esistiti buoi, bisonti, capre,
pecore, lama, alpaca, cavalli?[26]
Probabilmente, sì.
Si deve ammettere – malgrado la comune repulsione verso
l’argomento spiacevole – che l’antropofagia, in una qualunque sua forma, sia
stata pratica comune quasi ovunque, seppure più spesso in periodi antichissimi, in qualsiasi
popolazione. Una volta dimostrato che vi sono abbastanza elementi per
affermare che il tabù è verità, è il momento di trattare del mito.
I Sardi.
Gli unici resti umani protosardi su cui siano stati
effettuati alcuni studi (che già per onesta ammissione degli autori stessi sono
limitati ed incompleti, essendo quasi esclusivamente morfologici), si sono
focalizzati su ossa e sulle dentature, rinvenute nelle varie sepolture, di
tutte le epoche: grotte, tafoni galluresi, ciste, Domos de Janas e Tombe dei
Giganti.
Si assiste alla comparsa di lesioni ipotizzabili come
“prodotte da scontri di guerra” nel
gruppo dei diffusori della Cultura di Ozieri nel Neolitico Medio.
Nell'Eneolitico (Monte Claro), tali reperti di problemi traumatologici aumentano in modo evidente. Il ricercatore antropologo o medico biologo in questi casi
consulta l’archeologo e mette - quasi naturalmente - questi fenomeni in
rapporto con la comparsa della cosiddetta architettura “militare” di Padria, di
Monte Baranta, di Monte Ossoni etc. Non risulta che siano state neppure cercate tracce, o prove, d’antropofagia tra i reperti umani
rinvenuti in Sardegna. In realtà, non sono stati neppure condotti
estensivamente esami di composizione per risalire alla dieta. Anzi, sembra che
da alcune domos de janas remote, le ossa non siano neppure state prelevate. Si
ritiene che i defunti fossero inumati in posizione fetale e (forse) dipinti con
ocra rossa. Non esistono studi più approfonditi sul trattamento che i corpi
eventualmente ricevevano prima e dopo la morte. È vero che – per le domos de
janas e le altre sepolture sarde – esistono seri problemi derivanti dal molto lungo
periodo d’uso[27], di riuso
anche recente, di profanazioni e rimaneggiamenti già in antico, che complicano
assai l’approccio dello studioso. Gli studi più completi, dal punto di vista
medico ed antropologico, restano quelli del Germanà[28].
Ma – anche nel suo caso – si comprende bene che egli era attratto solo dalle
patologie naturali[29],
dalle misure antropometriche, dallo stato di nutrizione dedotto e dalle terapie
sorprendenti per l’epoca (ad es.: trapanazioni riuscite in vita). Egli stesso
ammette che il primo limite è dato dall’effettuare tali valutazioni solamente a
partire dal tessuto osseo. Le
patologie traumatiche inducevano a pensare a “ferite di guerra”[30].
Il rinvenimento di “decine d’individui, ammucchiati disordinatamente,
alcuni cremati ed altri no”[31]
l’induce a pensare ad una pestilenza, non ad altro. Nello stesso gruppo, “un’elevata
percentuale (55%) di mutilazioni – ovviamente post mortali – del forame
occipitale è riferita a rituali magico-religiosi”[32] non conduce
i ricercatori alla formulazione di alcuna ipotesi ulteriore sul rito, che
evidentemente, invece, mirava a realizzare un ampio e facile accesso proprio
all’encefalo, dopo avere staccato la testa dal corpo del defunto… Si tratta di
dettagli piuttosto importanti, invece, che non andrebbero trascurati, proprio
perché il “bersaglio” di tali manovre è con ogni evidenza il cervello (ed il
suo successivo consumo in un pasto rituale).
In questa situazione sarda di documentazione un
po’carente, è forse possibile stabilire se i Sardi preistorici indulgessero in
quella che al giorno d’oggi sembra un’inaccettabile aberrazione, ma che
nell’antichità era una pratica comunemente adottata? Esistono alcuni pro ed
altrettanti contro...
Le risorse del suolo sardo – intese come superficie di
terreno produttivo coltivabile con le tecniche antiche – erano scarse. Ma ciò era controbilanciato da
fattori importanti: innanzitutto il numero totale della popolazione sarda,
sempre caratterizzato da cifre assolutamente basse. D’altro canto, seppure l’ambiente non offrisse
grandi estensioni di terreno di prima qualità, sicuramente era molto più
generoso dal punto di vista faunistico, con abbondante offerta per la caccia e
la pesca. In seguito, l’allevamento fu certamente praticato: l’archeologia
mostra anzi i primi segni dell’impoverimento di boschi dovuto proprio a questa
pratica crescente. Le tracce archeologiche, biologiche e paleobotaniche
depongono anche per una dieta completa e varia della popolazione sarda, in
quasi tutte le epoche. Questo
eliminerebbe ogni ipotesi di un’antropofagia di necessità, del tipo Azteco.
È ancora discusso se i protosardi abbiano mai raggiunto lo
stadio organizzativo di Chiefdom, cosa che forse sarebbe avvenuta all’inizio
del Ferro[36]. Ma è certo
che abbiano attraversato la Storia, dalle poche migliaia di presenze del
Paleolitico, nello stadio aggregativo di Tribù. Come già detto, tale tipo di
aggregazione è proprio quello che giustifica eventualmente l’antropofagia di
guerra. Nel corso di Neolitico, Eneolitico e tutto il Bronzo, complessità
sociale, numero di abitanti, stratificazione della società, ricchezza e varietà
di scambi e di attività appaiono in continua e progressiva crescita, con la
fioritura di una Cultura Monumentale.
Quindi, riassumendo: per quanto concerne una possibile spinta
ambientale verso l’antropofagia di
necessità si può risolutamente
rispondere negativamente. Ma cosa si può affermare per quanto concerne il
fenomeno di “antropofagia
di guerra”, oppure anche per quella magico-rituale, che – per quanto imbarazzanti – sono state pratiche
più comuni ed universali di quanto si pensasse, seppure in tempi antichissimi?
Certamente, agli inizi, le antiche società sarde non avevano
l’elasticità, né le risorse per potersi avvalere di un’attività servile
estranea, dopo un’eventuale guerra vinta.
Dei riti si conosce poco e nulla, anche per la già accennata carenza di
ricerca. La certezza non è data, quindi, ma la possibilità non è affatto
esclusa.
Il Mito, ad esempio, parrebbe adombrare proprio tale
ipotesi, rafforzandola.
Esistono alcune particolari suggestioni, quali quella del
mitico “riso sardanio”: l’espressione
assomiglia molto e forse si accosta troppo vicino alla “laughing
desease”, che caratterizza un sintomo
descrittivo della malattia neurologica detta “Kuru” (“tremore”,
per i Papua).
Aspetto microscopico della Neurospongiosi |
Le neurospongiosi sono encefalopatie trasmesse dai prioni[37] che vengono assunti toccando e mangiando
carne infetta. Nei bovini (che non contemplano nella loro dieta naturale la
carne), i prioni erano assunti a mezzo di “mangimi” illegali che contenevano
carne ed ossa di bovini macellati ed erano ovviamente infetti... Nell'uomo, la
malattia è legata in genere alla pratica del cannibalismo: non si sa bene se il
contagio sia anche causato dalla manipolazione della carne cruda, come si
pensava dell'infezione Kuru dei Papua (che maneggiavano il cervello del
defunto, prima di cibarsene
ritualmente). Sta di fatto che gli australiani vinsero alla fine la malattia
solo proibendo il cannibalismo. I casi più recenti, invece – avvenuti nel mondo
occidentale – riguardano l’assunzione di carni bovine infette, probabilmente
per contatto con tessuto nervoso infetto.
Disposizione nello spazio della molecola proteica detta Prione. |
Il dubbio che resta, per la Sardegna, è: ammesso (e non concesso,
naturalmente) che il riso sardanio fosse uno dei sintomi - il più
impressionante - della neurospongiosi di Creuzfeldt-Jacobs, perché la malattia
finì da sola in Sardegna? Perché non ci furono più altri casi? Certamente, si
tratta di troppo tempo fa, perché i cronisti riportassero al riguardo notizie
complete. Il dubbio si potrebbe almeno in parte chiarire se esistessero prove
di ossa umane ritualmente “trattate”, oppure macellate in modo indiscutibile,
in Sardegna, in alcune delle sepolture più antiche. Perché ciò costituirebbe la
prova dell'esistenza di una possibile via di contagio da prione, anche in
assenza di antropofagia (che
comunque perdoneremmo, in una popolazione così antica). Purtroppo, pur nelle
molte difficoltà oggettive che lo studio delle sepolture più antiche della
Sardegna presenta, sembra che proprio nessuno abbia mai avuto anche solamente
l’idea di ricercare con criteri medico-biologici e chimici fra questi antichi
(e preziosi) resti.
Dello stesso senso sono i miti cruenti a cui si
rifarebbero espressioni recenti quali il sardo “Carrasegare”, molto meno neutra
dell’italiano “Carnevale”, che pure possiede un più velato, ma identico significato…
L’abitudine di consumare carne cruda, oltre ad essere
presente anche in altre zone non solo italiane, non è probabilmente da mettere
in relazione con questa possibilità inquietante.
Le nuove testimonianze emerse a Hilazon Tachtit, in
Galilea, suggeriscono che i banchetti funebri iniziarono almeno 12.000 anni fa,
verso la fine del Paleolitico, tra i Natufiani[38].
Questi primi rituali gettano le basi per le più elaborate cerimonie di
commemorazione dei morti caratteristiche delle comunità agricole del Neolitico.
Probabilmente ogni tipo di banchetto funebre in tutto il mondo deriva da qualche antica pratica d’antropofagia
magico-religiosa. Gli archeologi hanno rinvenuto tracce sicure di antropofagia
rituale funebre in Europa Orientale
Meridionale (Ucraina) risalenti a 32.000 anni fa[39].
In ogni caso e in assenza di studi mirati e
documentazioni univoche, l’unica considerazione finale possibile al momento –
per la Sardegna – è incerta e non conclusiva.
L’unica conclusione circa l’esistenza dell’antropofagia
(bellica, o rituale, o magica) in Sardegna, può essere così enunciata: le
possibilità della sua esistenza, seppure in tempi preistorici remotissimi, sono
le stesse che in qualsiasi altra terra coeva circostante.
La possibilità che il riso sardanio fosse un sintomo
estremamente impressionante di una malattia
neurologica mortale, trasmessa attraverso il cannibalismo rituale, da un
contagio ancora oggi poco noto, rimane tutta da verificare, se qualche
ricercatore sardo mai vorrà e potrà farlo. Fino ad allora, possiamo continuare
ad attenerci alla tesi corrente, secondo la quale la medicina ufficiale s’è
ormai appropriata arbitrariamente del riso sardonico[40].
Il consenso comune lo considera provocato originariamente
dall’avvelenamento rituale con l’herba sardonia[41].
L’espressione ha riempito pagine di storie mitiche e di versi famosi. E' diventata un topos letterario, simbolico della Sardegna.
L’espressione ha riempito pagine di storie mitiche e di versi famosi. E' diventata un topos letterario, simbolico della Sardegna.
Concludendo, si può affermare che l’antroplogia suggerisce
la concreta possibilità della pratica antichissima dell’antropofagia in
Sardegna, più probabilmente a carattere magico rituale, mentre il terribile
“Riso Sardonico” conserva ancora il suo carattere elusivo e misterioso, di un
Popolo che Ride sprezzante di fronte alla Morte. Il Tabù antico cade, forse, ma
il Mito sardo certamente resiste.
[1] Arens, W.: “Man
Eating Myth: Antrhopology and Athropophagy”-
1980.
[2] Tre episodi
in particolare sono famosi: il “Donner Party”, un gruppo di coloni rimasti isolati verso la metà dell’800, mentre
erano in viaggio verso la California;
quello dei giocatori di rugby precipitati con l’aereo sulle Ande nel
1972; la spedizione di sir Franklin,
partita nel 1845 per cercare il passaggio a NordOvest, di cui non si seppe più
nulla. A parte quello Dantesco del Conte Ugolino…
[3]
Gordon-Grube, K.: “Antropophagy in Post-Renaissance Europe: the Tradition of
Medieval Cannibalism”, American
Anthropologist, N° 9, 1998, pagg. 405-409.
[4] White, T.: “Prehistoric
Cannibalism at Mancos”, 1992; Zigas, V.: “Laughing Death: The
Untold Story of Kuru”, 1990; Harris, M.: “Cannibals
and Kings”, 1991; “Good To Eat”, 1998; “The Rise of Anthropology Theory”, 2001.
[5] Harris, M.:
“La Nostra Specie” (“Our Kind”) - RCS,
2002, Milano.
[6] Fino al
1980, il GH (“Growth Hormone”, ormone della crescita o Somatotropina) era
estratto da ipofisi di cadavere e somministrato ai vivi: ora si produce in
laboratorio, con tecniche genetiche (GH ricombinante).
[7] L’atto
(della femmina di molti mammiferi) di cibarsi della propria placenta subito
dopo il parto.
[8] Janet
Balaskas nel suo Manuale del parto attivo
(pag. 149) fa notare come studi recenti dimostrerebbero che anche solo mettendo
un pezzo di placenta cruda fra le labbra della puerpera si possano indurre
contrazioni uterine antiemorragiche.
[9] P. Sarti. Gravidanza
e puericultura. La guida completa. Dal
concepimento ai sei anni, Pag 99.
[10] Nicole
Kidman e Tom Cruise dichiararono pubblicamente che si sarebbero cibati della
placenta del loro figlio, qualche anno fa.
[11] E’ assente
nei cetacei e nei marsupiali.
[12] White, T.:
“Prehistoric Cannibalism at Mancos”,
1992.
[13] G. e N.
Munro: Proceedings of the Nat. Acad. of Sciences, Univ. Connecticut: vi si descrive la sepoltura di una sciamana
Natufiana. I Natufuani furono tra i primi ad abbandonare la vita nomade.
[14] Detto anche
“Laughing desease”, (malattia
del riso): l’infarcimento emorragico del
midollo allungato e del ponte producono scoppi di riso irrefrenabile (e pianto)
immotivati. Zigas, V.: “Laughing Death: The Untold Story of Kuru”, 1990.
[15] http://www.youtube.com/watch?v=drq0j0T-yrc&feature=related
[16] Una
neurospongiosi umana, analogo umano di quella bovina, meglio nota come “mucca
pazza”.
[17] Dovuta
anche alla mancanza di proteine animali, che sulle coste è supplita dal pesce.
[19] Almeno
quattro bambini, d’età intorno ai 10 anni.
[20] D.H.
Hughes, “Human Sacrifice in Ancient Greece”
– Routledge, N.Y. (1991).
[21] La
violazione delle mura, o dello scavo di esse, o delle relative pietre
terminali, determinava una condanna divina,
che poteva essere espiata solo con l’uccisione del colpevole, escluso dalla
comunità e consacrato alle divinità infere.
[22] Perra, M.:
“Osservazioni sull’evoluzione sociale e politica in età nuragica” Riviste di Scienze e Protostoria, LIX, 2009
355-368.
[23]
L’isolamento è una delle condizioni che
conducono alla formazione della Chefferie o Chiefdom.
[24] A seconda
degli autori: da 136.000 a 60.000, comunque un numero impressionante.
[25] La carne è
fonte di: Ferro, Vit. A, ed E, tutto il complesso B, inclusa la B12, che non è
presente in alcun vegetale; il suo grasso
è essenziale per assorbimento e trasporto delle Vit A, D, E, K.
[26] Esistevano
il tacchino ed il cane. Il primo, troppo scarso, necessitava comunque di essere
alimentato con cibo adatto agli uomini. Il secondo, essendo carnivoro egli
stesso, era un controsenso, come animale da carne.
[27] Si va dal
Pre-neolitico/neolitico antico della Grotta Corbeddu (15.000 aa fa) fino al
Bronzo recente(1380-850 a.C.).
[28] “L’uomo
in Sardegna”, Ed Zonza, 1998, Sestu Ca.
[29] Ne riporta
una vasta varietà: odontopatie, osteopatie acute e croniche, anemie, tumori,
difetti di sviluppo, deformità etc.
[30] L’esposizione del cervello, le
mutilazioni facciali, ossa bruciate, smembramento, segni di lama, rottura di
ossa e tracce d’ascia di pietra, assenze di vertebre: sono tutti criteri
d’identificazione del cannibalismo per tutti gli archeologi del mondo. Non per
quelli sardi, sembra.
[31] Nella
grotta di Tanì (Su Cungiareddu de Serafini) – Ca, in un contesto culturale
Monte Claro (periodo eneolitico).
[32] Maxia C.,
Fenu A., “Sull’Antropologia dei Protosardi e dei Sardi Moderni”- Nota IV Rendiconti Seminario della Facoltà di
Scienze, Univ. Cagliari, 2,44, pp1-84 1963.
[33] L. Lai, R.
Tykot, M.R. Manunza, E. Usai, E. Goddard, D. Hollander: “Dieta e società a
Is Calitas: contributo degli isotopi stabili”.
Altri studi riguardano le due fasi Campaniformi della tomba di Padru Jossu di
Sanluri (Ugas, 1982), il Neolitico recente di San Benedetto, Iglesias (Floris,
2001). Alcuni studi – seppure eseguiti – non sono stati ancora pubblicati.
[35] R.H. Tykot:
“Stable isotopes and diet: You are what you eat”. IOS Press. Amsterdam 2004.
[36] La
condizione di numero sufficiente di popolazione e di “circoscrizione” (mare)
erano sicuramente presenti. La re-distribuzione non è stata provata in modo
definitivo.
[37] “Prion” è
un neologismo coniato dal Nobel S.B.
Prusiner nel 1982, derivato da “protein” e “infection”, in
quanto si tratta di una proteina (modificata
nella disposizione spaziale), che si comporta come agente infettante (di una malattia per ora sempre mortale).
[38] “Proceedings
of the National Academy of Sciences”,
Munro, N. zooarcheologa
dell’Università del Connecticut e Grosman,
L. archeologa dell’Università Ebraica di Gerusalemme.
[39] Località: Buran-Kaya
III in Ukraina, comunicazione di Stephane Pean, paleozoologo ed archeologo del
Museo Nazionale di Storia Naturale, Parigi – Luglio 2011.
[40] Per
descrivere la contrattura del muscolo massetere (“trisma”, o lock-jaw)
causata dal Clostridio del tetano. Il t. si accompagna anche a crisi spastiche
dei muscoli di faccia e collo, così che il paziente assume un aspetto
caratteristico (riso sardonico).
In tal caso è parte di una contrattura generalizzata di tutti i muscoli
antigravitari. Vi sono anche altre cause generali di t.: altre affezioni del sistema nervoso centrale
(meningite cerebro-spinale epilessia, encefalite epidemica, rabbia, siringomielia), avvelenamento da
stricnina, intolleranza a fenotiazine, isterismo. Inoltre il t. può essere
l’espressione di un processi infiammatori locali particolarmente forti.
[41] In realtà,
non sarebbe l’Apio Rustico (Apium Risum),
bensì una pianta delle ombrellifere, d’origine sardo-corsa, simile al sedano
selvatico (Oenanthe Crocata,
chiamato variamente in sardo: Apiu areste, Fenugu de acqua,
Turgusone, Lua).